STOCCOLMA – Il Moderna Museet, architettura museale, immersa nel verde più rigoglioso e incontaminato di Stoccolma, residenza di alcune opere d’arte contemporanee di inestimabile valore culturale (Picasso, Braque, Matisse, Legér, Kirchner, Duchamp, Ray, De Chirico, Magritte, Dalì, Rauchenberg, Pollock, Klein, Fontana, Warhol), dedica il suo spazio espositivo alla retrospettiva dell’artista Yayoi Kusama, dal titolo Ioändligheten / In Infinity. Kusama è un’artista eclettica che negli anni si è mossa tra pittura, scultura, video arte, performance art, design, costumi, installazioni. Di origini giapponesi, la sua formazione inizia con l’apprendimento dell’arte Nihonga, che ben presto le starà stretta per via delle sue rigide regole stilistiche. Alle soglie degli anni sessanta Yayoi Kusama lascia la sua terra natia alla volta di New York. Da questo momento la sua arte sarà sempre intrisa di elementi occidentali e orientali in un vortice di integrazione o di aperto e voluto respingimento. Sempre in questo periodo inizia a dar vita alle performance di carattere politico e sessuale, dipingendo per esempio le natiche dei partecipanti alle sue performance con dei pois, che diventeranno la sua cifra stilistica, quasi un’ossessione, una perversione perpetrata negli anni. La mostra In Infinity presenta un gran numero di lavori dell’artista: disegni, pitture, costumi, video e grandi installazioni ambientali.
Tra queste è presente la nota Infinity Mirror Room – Phalli’s Field (Floor Show). Punto di transito della sua vocazione artistica, tale installazione deriva da sue precedenti opere come le sculture accumulative, oggetti quotidiani che venivano ricoperti da protuberanze falliche in stoffa, altra ossessione della Kusama, e decorate con i suoi pois. Si tratta di una delle prime opere dell’artista che si svincolano dal concetto di oggetto d’arte da esporre su una parete di un museo, per assumere caratteristiche teatrali. La stanza è interamente ricoperta di specchi e di forme falliche in stoffa. Lo spettatore è invitato ad entrare nella stanza che viene chiusa alle sue spalle. Davanti a sé un paesaggio straniante, ambiguo, innaturale. Gli specchi replicano le protuberanze falliche in una sequenza infinita. Lo spettatore diventa soggetto attivo, attore dell’installazione, poiché viene immesso nell’opera trasformandola con la sua presenza fisica, ma allo stesso tempo diviene spettatore di se stesso, nell’infinito rispecchiamento della sua persona. Collocato freudianamente di fronte allo specchio, viene privato però della possibilità di riconoscersi come individuo.
Se per Freud il bambino davanti allo specchio riesce a simbolizzare se stesso, imponendosi come identità autonoma poiché riesce a controllare l’apparizione e la sparizione della sua immagine, nell’installazione della Kusama questa possibilità viene meno. Lo spettatore perde questa atavica acquisizione poiché non riesce più a controllare la sua apparizione e sparizione e quindi la possibilità di autoriconoscersi come individuo. Messo di fronte a una moltiplicazione infinita della sua immagine e della sua più intima ossessione, il fallo, lo spettatore perde il controllo su di sé, non riesce più a controllare la sua immagine, non riesce a decidere quando vedersi o non vedersi, specchiarsi o non specchiarsi e quindi non riesce più a ritrovarsi, cadendo prenda dell’ossessione dell’artista che diventa anche la sua.
Sempre sull’ossessione e sulla perdita della propria identità, di un rispecchiamento pressoché infinito si situa un’altra famosa installazione dell’artista, riproposta nella retrospettiva. Si tratta di Narcissus Garden, presentata per la prima volta nel 1966 alla Biennale di Venezia, in cui l’artista non fu invitata ufficialmente ma fu fortemente supportata da Lucio Fontana e dal presidente stesso della Biennale, che fece allestire l’opera. È composta da 1500 sfere dalla superficie cangiante e lucida che, disposte su un’intera stanza come se fossero realmente dei cespugli, permettono, attraverso la creazione di veri e propri sentieri, di entrare dentro e potersi rispecchiare sullo sfere. La distorta visione di Narciso, di sé, che è quella dell’artista, dell’ambiente circostante, diventa al tempo stesso la visione distorta dello spettatore, che ancora una volta, decidendo di accogliere le ossessioni di Kusama, abbandona la propria identità di soggetto autodefinito attraverso la fantasmatica moltiplicazione e distorsione del proprio corpo sulle numerose sfere luccicanti che lo accolgono.
Altra significativa installazione riproposta nella retrospettiva è Mirror Room (Pumpkin) del 1991. Come le altre due installazioni si pone nel solco della perdita dell’identità, nella replicazione infinita di soggetti e oggetti e dei loro rispecchiamenti. Qui l’ossessione della Kusama si trasferisce totalmente sullo spettatore che però riesce ad acquisire una certa autonomia, a esplicare le proprie ossessioni in stretto contatto con quelle dell’artista. In questa versione della stanza-specchio prende vita su grandi superfici un’altra ossessione artistica della Kusama: la zucca. Tutte le zucche della Kusama hanno generalmente una trama ben riconoscibile, sono di un giallo brillante e presentano sulla loro superficie dei piccoli punti neri. Tale trama invade dal soffitto al pavimento la stanza dentro la quale è presente un’ulteriore stanza, un cubo al centro, fatta esclusivamente di specchi che si ricoprono di giallo e puntini neri. Attraverso un’apertura lo spettatore può osservare all’interno del cubo di specchi le famose zucche che grazie al gioco di riflessi si moltiplicano all’infinito. Lo spettatore però è qui libero di agire, di dare libero sfogo alle proprie ossessioni, rifugiandosi in un angolo della stanza, specchiandosi in una parte o in un’altra. In questa installazione riesce in qualche modo a recuperare la sua capacità di specchiarsi o non specchiarsi, sebbene questa libertà sia solo apparente. La composizione della stanza infatti lo conduce irrimediabilmente verso lo specchio, verso quel doppio di se stesso, verso quel desiderio di perdersi e non ritrovarsi.
La retrospettiva presenta inoltre una camera inedita progettata per l’occasione dalla Kusama: Infinity Mirrored Room – Hymn of Life. L’installazione è composta da una stanza nera di specchi fisici e specchi d’acqua e da un insieme di sfere di carta di riso con pois neri che lentamente cambiano colore. Degli stretti corridoi permettono allo spettatore di attraversarla e di muoversi al suo interno. A differenza delle altre stanze, il rispecchiamento coinvolge soltanto gli oggetti al suo interno. Difficilmente lo spettatore riesce a distinguere la sua immagine e quindi è come se l’ossessione verso la propria identificazione fosse sparita. Lo spettatore però è aggredito percettivamente. Molto più che in altre stanze, la fisicità e la sensazione di trovarsi in uno spazio fisico e reale spariscono. Tutto diviene evanescente, le pareti, i pavimenti, il soffitto diventano indistinti, fluidi, mobili. Tutto è in continua trasformazione, tutto è in continuo divenire, come la vita, come l’uomo nella totale sparizione di confini, di certezze, per aprirsi definitivamente al sogno, al mondo onirico; la “camera astratta” dell’uomo si spalanca definitivamente, qui dentro l’essere umano perde i suoi confini fisici ma concretizza le sue sensazioni, i suoi stati d’animo, entrando nel suo mondo interiore, che può riscoprire e apprezzare prima di uscire e di ritrovarsi nel suo corpo fisico.
Queste sono soltanto quattro delle numerose opere che la retrospettiva, curata da Jo Widoff, offre allo spettatore. Tantissimi i dipinti, come i monocromi Infinity Net o la serie di fiori o di zucche; i ritratti fotografici in cui l’artista stessa appare come protagonista, ricoperta dai suoi punti, in cui la sua arte e il culto della sua immagine si legano indissolubilmente; ancora video delle sue famose performance; la vetrina per Louis Vitton in cui il “simulacro” dell’artista appare negli abiti rossi a pois e immerso nelle sue famose forme falliche di stoffa; costumi, foto, sculture gonfiabili a pois e installazioni ambientali come Ascension of Polka Dots on the Trees, in cui gli alberi del giardino del museo sono totalmente ricoperti dall’arte-ossessione della Kusama: i pois bianchi su fondo rosso. Frutto di allucinazioni, paure, ossessioni che caratterizzavano Yayoi Kusama sin dalla tenera età, la sua arte è un invito rivolto agli spettatori a perdersi insieme a lei in un mondo fisicamente irreale, infinito, fantastico, in cui la follia non è una patologia medica ma una scelta di vita consapevole, ragionata e perseguita giorno dopo giorno, per tutta la propria esistenza.
Yayoi Kusama – In Infinity
Moderna Museet – Stockholm
11.06-11.09.2016
Curator: Jo Widoff
Assistant curator: Olga Krzeszowiec Malmsten
Yayoi Kusama – In Infinity was organised by the Louisiana Museum of Modern Art, Denmark, in association with Heine-Onstad Center, Norway, the Helsinki Art Museum, Finland, and Moderna Museet/ArkDes, Sweden. Curator: Marie Laurberg, Louisiana Museum of Modern Art.
Vista a Stoccolma il 16 giugno 2016