ALTRITEATRI, Chi fa teatro — 22/07/2022 at 10:52

Trasfigurata in sogno Valentina Banci dà corpo e voce alla poesia di Marina Cvetaeva

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RUMOR(S)CENA – FIGLINE DI PRATO – (Prato) – Si cammina per circa trenta minuti, percorrendo un sentiero di alberi e roccia per arrivare infine alla cava Macine, altrimenti detta antro della strega, un luogo suggestivo e ruvido, circondato da due costoni di roccia e altrettanti alberi, in cui ci si sente -quasi in contraddizione- protetti come dentro un utero materno. È qui, in questo luogo primordiale, in cui solo la Natura scandisce il tempo, che va in scena Insonnia, un esperimento di teatro escursione che fa parte del cartellone del Monteferrato Festival organizzato alla cava di marmo verde di Figline di Prato, luogo sperduto sul monte, dove la Bellezza avviene. Valentina Banci dà corpo e voce alla poesia aspra ed inquieta della poetessa russa Marina Cvetaeva.

Sono Marina, nessuna minaccia, nessuna paura, entrate, questa è la mia mansarda”: così spiega l’attrice al suo pubblico, a noi anime scorticate, che arriviamo gradualmente alla cava e prendiamo posto. Il suo monologo è un flusso di coscienza, che fa luce nel buio dei ricordi che non si vorrebbero riportare alla mente ma che è impossibile dimenticare.

crediti foto Miaomiao Huang

Raccontare per poi lasciare andare”, come in un esercizio terapeutico di purificazione, Valentina Banci si presenta al pubblico come un’apparizione fantasmatica, eterea nella sua tunica bianca resa ancora più candida dalle luci al neon e con la sua valigia piena di ricordi e di frasi frastagliate, che combinano diversi piani temporali. Siamo a Mosca nel 1919. La Cvetaeva abita in una casa enorme e vuota su quattro piani, con soffitta e mansarda, dove vengono custoditi i manoscritti. In un inverno senza legna, vive in una condizione di totale indigenza, rifiutata dalla comunità ed abbandonata al suo destino, e non riesce a mantenere e curare le figlie Anja e Irina. Sempre a Mosca, il 3 febbraio 1920, giorno in cui muore per debolezza la figlia minore Irina, affidata ad un orfanotrofio, la Cvetaeva non riesce neppure ad andare al funerale per assistere la figlia maggiore, anche lei gravemente malata. In un altro passaggio temporale d’ inverno, la Cvetaeva osserva l’acqua del fiume che scorre e questa immagine ci riporta di nuovo al freddo, che svanisce di fronte alla fiamma inquieta di una poesia irriverente che sbeffeggia il marciume per far sbocciare la purezza della rosa.

crediti foto Miaomiao Huang

Valentina Banci in scena gioca con le parole e con i suoni e si lancia in un racconto delirante e allucinato, che culmina proprio nella necessità dell’insonnia. “Non dormire, Marina” viene ripetuto come un mantra, come se il sonno fosse il preludio della morte e potesse spengere la fiamma infuocata della poesia, che invece è l’unica di forma di vita possibile ed al tempo stesso tiene in vita. Nella seconda parte dello spettacolo diventa centrale il ruolo della valigia, portata appresso come un’estensione corporea fino a quel momento. In un campo di olivi ascoltiamo la biografia della poetessa russa, morta suicida all’età di quarantanove anni. Il racconto ci arriva come se fosse trasmesso da una radio degli anni Quaranta con una musica di pianoforte in sottofondo. Torna il flusso di coscienza, ma stavolta in ordine cronologico, a scandire il tempo, il corpo e il giorno in cui inevitabilmente cadiamo quando nasciamo.
La voce della Cvetaeva racconta i suoi viaggi in Europa tra Berlino e Parigi, la nascita del figlio Mur e poi il ritorno a Mosca, dove la figlia Alja e il marito Sergej vengono arrestati e condannati. La protagonista è ancora in scena, come trasfigurata in sogno, presente alla vicenda narrata ma come se vi assistesse perfino lei da spettatrice. Le ultime parole della Cvetaeva, rivolte alla famiglia e strozzate in gola, vengono sussurrate al pubblico come un ultimo soffio vitale, prima di sparire per sempre alla vista, e fare ritorno a quel luogo primigenio, insieme utero e tomba, a cui tutti un giorno torneremo.

crediti foto Miaomiao Huang

Visto alla cava di marmo verde di Figline di Prato il 15 luglio 2022

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