L’AQUILA – Realizzato con lamine d’oro e argento, è uno dei quadri più affascinanti di sempre. Protagonista è una donna elegante, dal volto curato, ma con qualcosa di serio, quasi triste. Qualcuno lo definì “La Monna Lisa d’Austria”. E’ una delle opere di Klimt più famose. L’artista austriaco la creò ad inizio Novecento ritraendo Adele Bloch, sposata Bauer, su commissione del raffinato marito. Erano ebrei. Questo particolare se a lui non interessava, è stato invece fondamentale per il Nazismo che, dopo averlo trafugato (insieme ad altri) dalla casa che adornava, lo apprezzò tanto da farlo esporre alla Galleria Belvedere di Vienna, ma lo ribattezzò “La donna d’oro”, togliendogli l’identità.
Da sempre noto sia per lo splendore che per il valore che supera i 100 milioni di dollari, in anni più recenti, quando Maria, nipote della ritratta, ereditando i suoi beni, decise di riaverlo ha destato attenzione internazionale per la lunga causa giudiziaria che la donna emigrata negli USA ha intrapreso e vinto con il museo viennese che se ne riteneva il proprietario.
Gli eventi sono fedelmente raccontati nel film “Woman in gold”, diretto da Simon Curtis nel 2014, presentato al Festival Internazionale del Cinema di Berlino ed uscito nelle sale in Italia il 15 ottobre 2015. Se la sceneggiatura è tanto essenziale quanto delicata, va notato che l’autore del soggetto è E. Randal Schoenberg, ossia il vero giovane avvocato americano (nipote del noto compositore dodecafonista austriaco) voluto da Maria, da Bloch-Bauer divenuta Altmann in America, in nome di una vecchia conoscenza familiare. Il legale, appassionatosi, scoprì il cavillo che dava podestà testamentaria sul quadro a Ferdinand, marito di Adele (interpretata nel film da Antje Traue) e quindi infuso coraggio nella demoralizzata e impaurita erede. Se quest’ultima, ormai anziana, è interpretata dalla pluripremiata attrice britannica Helen Mirren, il tenace compagno di lotta che si è scelta trova corpo in Ryan Reynolds (sua moglie in Katie Holmes).
Da notare come Gustav Klimt in questi tempi sia al centro dell’attenzione: un po’ per il film in questione, un po’ per la boutade del sindaco di Venezia di vendere il quadro conservato in un museo lagunare (richiamando mestamente alla memoria un famoso film in cui Totò vendeva opere pubbliche) per risanare le casse della città, un po’ perché alla Galleria Belvedere di Vienna, fino al 28 febbraio 2016, è in programma una mostra sulla femminilità descritta dai pittori austriaci a cavallo tra Ottocento e Novecento, Art Nouveau ed Espressionismo, con protagonisti Klimt, appunto, Schiele e Kokoschka.
E pure i beni trafugati agli Ebrei non smettono di essere al centro dell’attenzione, se è vera la notizia di qualche settimana fa del ritrovamento, poco distante da Auschwitz, del vagone-treno contenente i tesori loro confiscati all’epoca dai Nazisti.
“Woman in gold” rievoca la lotta definita “Republic of Austria v. Altmann” e gli affetti d’infanzia di Maria Altmann, con la sua famiglia, ebraica, che tenta di condurre una vita tranquilla, tra matrimoni, danze, opere d’arte e strumenti ad arco. Il terrore, invece, è negli eventi nazisti dei flashback di Maria (interpretata nelle scene da giovane da Tatiana Maslany), ma è anche nella Maria anziana che ripercorre le strade viennesi che le suscitano ricordi, a scapito della gentilezza dei viennesi d’oggigiorno, come il portiere d’albergo. Le inquadrature ampie mostrano che anche gli Ebrei salutarono con gioia l’arrivo del partito nazionalsocialista al potere, quando, inaspettatamente, iniziò la confisca dei loro beni, a seguito di controlli che adducevano il reato di evasione fiscale, insieme a differenziazioni e discriminazioni con l’obbligo di segnarsi come “Jud” e l’impossibilità di lasciare il Paese senza un valido motivo. E’ rocambolesca e ad alta tensione la scena centrale in cui Maria ed il marito (Max Irons) con un espediente fuggono per le strade di Vienna, inseguiti a gran furia dalle guardie naziste. E solo la scusa della voce lirica del marito convincerà l’ufficiale a rilasciargli i biglietti aerei. Non perdonandosi mai, però, di aver lasciato a casa i genitori.
Azzeccata la scelta registica di differenziare la lingua utilizzata nel gioco filmico. I flashback, di intimità familiare o coercisione nazista in Austria, sono in lingua tedesca (per noi italiani con i sottotitoli), mentre la “nuova” vita in America è in inglese (doppiato in italiano), come a voler distinguere lì e qui. O per Maria, vecchio e nuovo.
Gli eventi storici sono noti e la sceneggiatura non ci si addentra. Le immagini si alternano dal passato degli anni ’30 al presente degli anni ’90 solo affidando lo scorrimento narrativo ai ricordi di Maria, le prime, e all’insistenza appassionata di Randal, le seconde. L’interesse del film, essendo biografico, non è quello di giudicare il risultato della Vienna odierna, dove tutto ora è diverso. E’ per questo che la Altmann, ormai paga, consola Hubertus (Daniel Brühl), suo unico amico austriaco, giornalista esperto di opere trafugate agli Ebrei (le cause di restituzione dei loro beni oggigiorno sono numerose) e che le rivela il proprio dramma psicologico nell’aver scoperto a 15 anni che l’amato padre era stato un ufficiale nazista. Il passato malvagio ora non c’è più. E quindi è anche inutile chiedersi chi sia quell’azienda che oggi risiede nell’appartamento che fu casa Bloch-Bauer nella capitale austriaca, tant’è che quando l’anziana Maria entra a perlustrarla, pur dovendosi “presentare” al sorridente addetto del varco d’ingresso, rivede solo sé stessa ed i suoi cari (come il padre Gustav, interpretato da Allan Corduner) in un piano-sequenza tanto tenero quanto commovente e che contrasta con le precedenti immagini di occupazione nazista e giustifica ancora una volta l’inflessibilità che la donna aveva avuto fino ad allora con i responsabili della Galleria Belvedere.
Un film commovente. Dalle emozioni spietate.
Il quadro “Ritratto di Adele Bloch-Bauer I” di Gustav Klimt è tuttora conservato alla Neue Galerie di New York, museo che espone opere di arte e design tedesche e austriache del ventesimo secolo.
Visto il 19 ottobre 2015, c/o Multisala Movieplex, L’Aquila
“Woman in gold”
sceneggiatura: Alexi Kaye Campbell, E Randal Schoenberg
regia: Simon Curtis
fotografia: Ross Emery
montaggio: Peter Lambert
musiche; Hans Zimmer
con: Helen Mirren, Ryan Reynolds, Katie Holmes, Tatiana Maslany, Daniel Bruehl, Max Irons, Allan Corduner, Charles Dance, Antje Traue, Elizabeth McGovern, Frances Fisher, Moritz Bleibtreu, Tom Schilling
produzione: Origin Pictures, BBC Films
distribuzione: Eagle Pictures
Paese di origine: Gran Bretagna, USA