RUMOR(S)CENA – BUTI – (Pisa) – In prima nazionale nello spazio teatrale di Cascine di Buti è andato in scena La Figlia di Iorio del vate nazionale Gabriele D’Annunzio. Uno spettacolo con la regia e la riduzione per le scene di Dario Marconcini, direttore storico del Teatro di Buti, regista e attore di memorabili micro pièce da Pinter a Beckett a Peter Handke. Sempre attento a testualità originali e minimaliste, nella lunga carriera iniziata con il Centro di ricerca e sperimentazione teatrale di Pontedera, era davvero sorprendente sulla carta, leggere come proposta di programma questa scelta di drammaturgia cosi datata (1903), ma soprattutto di un Autore assai prolifico fra romanzi, opere in versi (l’Alcyone è alta poesia, legata alle sue innumerevoli passioni femminili fra cui Eleonora Duse e i soggiorni con lei sui litorali pisani), di un periodo storico molto lontano dai tempi di Internet, la Rete e l’influencer Chiara Ferragni e Fedez.
Si tratta infatti di un dramma architettato dentro una dimensione agreste, pensato da D’Annunzio nella congerie pastorale di matrice abruzzese. Luoghi d’origine ben noti al giovane scrittore, in seguito finalmente approdato al Vittoriale sul Garda. L’intuizione della proposta e ricerca drammaturgica, pare sia arrivata da Giovanna Daddi, anche in scena, attrice di gran sensibilità e talento, compagna storica di Dario, recente Premio Ubu alla carriera alla coppia. Lo sguardo sorprende e sposta il focus interiore sul lavoro (presentato anche al Teatro Era di Pontedera nella stagione del Teatro Nazionale della Pergola
Tutto il dramma gira intorno a Mila di Codro, la Figlia, la prostituta la Strega. Una bellissima ragazza immortalata, letteralmente, dentro una famigliarità strutturata patriarcale-pastorale quindi non industriale o borghese o intellettuale o ma soprattutto, e forse, superata dalla Storia. Ma quale Storia? Peccato che non sia cosi! L’attualità di questo femminile incarnato da Mila di Codro (Maria Bacci Pasello, giovane attrice figlia d’arte), è di un sconvolgente attualità. In questa scrittura drammaturgica, sicuramente nell’inconsapevolezza del suo Autore, girano e risplendono assieme a versi sublimi, archetipi strutturali della società italiana contemporanea, anzi della più bieca quotidianità fatta di stupri e violenze domestiche sulle donne da cronaca nera, e da molestie segnalate a livello planetario dal movimento Me Too.
Dove Padri si scagliano contro Figli in nome del dio Denaro, dove le figlie, le femmine, sono oggetti in quanto sono Natura, alla stregua di animaletti da pastorizia in balìa delle bestialità maschili. E quando le bambine non si adeguano, si ribellano, vengono barbaramente uccise o, masochisticamente, si auto immolano all’arbitrio dei patriarchi in quanto definite Streghe. In questo caso pure dal promesso sposo, il pastore Aligi, che in una passionale difesa di Mila verso il Padre, finisce per ucciderlo. Insomma una tragedia agreste che ha titanicamente tutte le frecce all’arco per una riedizione rivista e opportunamente scorciata ( Dario Marconcini ne fa una riduzione per circa un’ora di spettacolo, quindi di ben due terzi della scrittura originale).
Leggendo le note di regia, si comprende il fascino letterario suggerito ed evocato da Gabriele D’Annunzio d’antan: “versi di una qualità vertiginosa, arcana, incomparabile”. Parola di Carmelo Bene che ne aveva tratto una sua versione. La mise en espace del piccolo ma funzionale spazio del Teatro di Cascine (in attesa della riapertura dello storico scrigno di bellezza del Teatro di Buti), ha svelato la quintessenza dell’attualità davvero insolita de La figlia di Iorio, grazie ad una intuizione profonda di proposta, di una Compagnia affiatata e generosa di attrici ed attori giovani, affiancata dalla sapienza dei Maestri. Una visione da non perdere.
Visto a Buti ( Pisa), il 12 dicembre 2023