RUMOR(S)CENA – TEATRI APERTI – Ieri sera (22 febbraio) 500 teatri si sono illuminati in tutta Italia (tra le 19.30 e le 20.30) per rivendicare il proprio ruolo di teatri aperti al pubblico (la chiusura forzata dura da un anno salvo un periodo di riapertura molto limitato), oggi nelle piazze la manifestazione dei tecnici e degli artisti. L’iniziativa che ha “riaperto” per due ore le sale teatrali e i palcoscenici è nata dall’Unione nazionale interpreti teatro e audiovisivi: UNITA. Fari e luci di sala accese, ingressi dei palcoscenici da dove entrano le scene aperti per permettere la vista dall’esterno. Visioni e prospettive affascinanti, quanto tristi e desolatamente vuote. Luci che emanavano malinconia e tanta rassegnazione per un settore della cultura pesantemente colpito dalla pandemia. Conseguenze inevitabile di una crisi economica mondiale. Tra i 500 teatri c’era anche il Sociale di Trento, illuminato dal retro su piazza Battisti dove c’è l’ingresso al palcoscenico foderato da un’immagine dei palchi e della platea; un teatro nel teatro reso accessibile alla vista degli astanti e di alcuni ospiti d’eccezione accolti dal direttore del Centro Servizi Culturali Santa Chiara Francesco Nardelli, e da Katia Cont responsabile dell’Ufficio Comunicazione. A portare la loro solidarietà e sostegno all’iniziativa di sensibilizzazione c’era anche Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa (presente a Trento ieri in Comune per intervenire ad “Un’ora con..” con il sindaco Franco Ianeselli che ha annunciato la disponibilità ad accogliere in una casa dell’amministrazione i cronisti minacciati), Rocco Cerone segretario del Sindacato giornalisti del Trentino Alto Adige insieme al suo vice Lorenzo Basso.
Un breve incontro dove si è ribadito, ancora una volta, l’urgenza di trovare delle risorse per sostenere i lavoratori dello spettacolo e un proficuo scambio di opinioni tra giornalisti impegnati a livello sindacale e dirigenza del Teatro Sociale. I teatri chiedono “più luce” e UNITA ha raccolto l’appello facendo riaccendere tanti teatri prestigiosi, tra i quali figuravano il Teatro alla Scala di Milano, il Piccolo Teatro d’Europa Strehler (Milano) il Teatro Argentina di Roma, il Teatro della Pergola e il Teatro di Rifredi di Firenze, il Teatro San Carlo di Napoli, il Massimo di Palermo, il Teatro la Tosse di Genova, e molti altri sparsi su tutta la penisola. Chiusi e inoperativi senza avere una prospettiva capace di vedere nel futuro immediato una “luce” e una “speranza” (parafrasando il ministro della salute Roberto Speranza), ma anche il responsabile del dicastero per i Beni culturali Dario Franceschini. Basterà questa rete di luci accese per far riportare l’attenzione (anche) su un settore che secondo l’Agis è composto da circa 140mila lavoratori senza prospettive immediate di tornare sulle scene? Nel frattempo il ministro Franceschini ha convocato in tavolo sullo spettacolo dal vivo. La conduzione è stata assegnata ai due direttori generali del settore cinema e teatro. Chiediamo a chi ha partecipato di dirci come è andata: «È stato fatto l’altro ieri… Erano presenti 90 realtà, un tempo di incontro di 60 minuti e la richiesta da parte del ministero: “entro 24 ore consegnate le vostre proposte e protocolli per una ripartenza, in 24 ore faremo la sintesi che verranno portate al Comitato tecnico scientifico…” ».
24 ore per trovare idee, soluzioni, proposte, alternative per poi elaborarle in altrettante ore al fine di trovare la “sintesi”. Una richiesta con i minuti contati. Aprire o non aprire ? Questo è il dilemma…. Basterà per ridare agli artisti la possibilità di ritornare sulle scene? Conviene aprire subito o attendere? Interrogativi che ora non sappiamo trovare delle risposte esaustive.
Oggi 23 febbraio anche i tecnici (una categoria spesso dimenticata), insieme agli artisti, sono scesi nelle piazze per manifestare.
Anche Trento ha fatto la sua parte: sempre al Teatro Sociale (lato palcoscenico) sono intervenuti una delegazione di operatori che lavorano dietro le quinte, insieme a registi, attrici e attori, insegnanti di danza. Testimonianze raccolte in tutta Italia lette a turno. In mano cartelli rossi con scritto:«attivazione OSSERVATORI regionali e nazionali TUTELE e DIRITTI per lo streaming;la Cultura è LAVORO; UN ANNO SENZA LAVORO #Torniamoafarespettacolo;». Tra i tanti interventi, anche un testo scritto da Emanuela Bizi, ex segretaria nazionale SLC (settore produzione culturale/comunicazione spettacolo) – CGIL, letto in pubblico da Filippo: «Draghi ieri (oggi per chi legge, ndr) ha citato la cultura. Ma ancora una volta manca un riferimento alla sua funzione in una società moderna. Cultura non è solo identità. Se il livello culturale dei cittadini si è abbassato, come testimoniano numerose ricerche, il problema è serissimo. Non solo cosi si mina la democrazia, ma anche la possibilità di crescere come paese. Se affermiamo a ragione che è necessario formare i lavoratori perché il lavoro cambi, non possiamo ignorare che un basso livello culturale rende impossibile questa azione. Significa che rispetto alle trasformazioni non sapremo difendere il lavoro. L’Italia investe poco in istruzione e cultura. L’Istat ci dice da anni che pochi cittadini vanno a teatro, che ci sono profonde differenze tra città e periferie e classi sociali. D’altra parte l’offerta culturale è enormemente disomogenea nel paese. Il sistema di finanziamento al comparto dello spettacolo è sbagliato e troppo poche sono le risorse. Da sempre chi opera nello spettacolo si occupa del disagio. Lavorano nelle periferie, nelle carceri, non solo nei teatri. Ma queste imprese sono poco finanziate e la perversione di non avere certezze di finanziamento, quando c’è, su base pluriennale, che rende estremamente difficili queste realtà. È evidentemente che questo impatta sui diritti dei lavoratori. Se non riconosciamo alla cultura un valore fondamentale, questo paese rimarrà sempre arretrato. Avere i cittadini culturalmente preparati significa dare un grande impulso alla creatività. Di questo beneficiano tutti i settori, compreso quello industriale. Legare la cultura all’identità è miope. Se la politica non deciderà una vera inversione di rotta questo è un paese destinato al declino».
In piazza a Trento c’era anche Marta Marchi, attrice teatrale e tra le promotrici della manifestazione ci spiega come sia nata l’idea di organizzare i vari sit-in nelle città: «un lavoro organizzativo che è iniziato due mesi fa e la mobilitazione continua nata dal basso, grazie alla partecipazione anche dei collettivi Cobas».
La crisi del teatro e del cinema è stato affrontato dal Fatto Quotidiano il 21 febbraio scorso: “Il Dossier Teatro & Cinema: un anno di sale chiuse”. Un Focus dal titolo: “Crolla il sipario: 1 Miliardo e mezzo bruciato nel 2020!”, firmato da Leonardo Bison, Federica Pontiggia, Camilla Tagliabue. In neretto “il bilancio impietoso” di «un miliardo e mezzo di euro in fumo, di cui quasi uno per palco e maxischermo» (…) Da fonte Siae i numeri sono impressionanti (compresi circo, sport e mostre nei musei), tanto da far scrivere: «Nel 2020 sono stati bruciati 4,1 miliardi (…)» e leggendo di seguito, trattenendo ogni altro ragionamento, su come la pandemia abbia colpito inesorabilmente anche tutti gli altri settori economici (sociosanitari, vitali, indispensabili e inalienabili), nonostante qualcuno pensi che lo spettacolo venga prima della sanità, ad esempio, come scritto sui social!), anche il botteghino: «spesa crollata a 92 milioni: persi 334 milioni, -78,45 per cento (nel 2019 erano 426 milioni..)».
Ci pensa anche l’Agis a fare da cassa di risonanza: «conteggiando anche gli eventi di musica leggera e danza, stima che gli incassi sono stati solo 177 milioni di euro, mentre le perdite si aggirano sui 582 milioni» Forse un comparto che potremmo definire “figlio di un dio minore”, o la “Cenerentola” rispetto alle “sorellastre maggiori e ben più influenti e determinanti per muovere sulla scacchiera le proprie pedine. Forse. Il dossier pubblicato dal Fatto cita anche la contabilità del contributo erogato tramite i decreti Ristori per aiutare gli artisti, ma c’è un ma.. Non ci è chiesti prima se valeva la pena riaprire i teatri per poi vedersi richiudere subito dopo? Così com’è accaduto prima dell’estate quando molti teatri avevano ripreso la programmazione (con un investimento considerevole per garantire la sicurezza sanitaria al pubblico) e a distanza di poche settimane ricevere l’ordine di fermarsi. Alcuni direttori artistici teatrali, contattati per avere un loro parere, si sono dichiarati contrari ad accendere i riflettori sul palcoscenico, senza le inderogabili certezze che il loro lavoro non venga nuovamente interrotto.
Il Fatto Quotidiano nel capoverso: “Questi fantasmi” (! di eduardiana memoria, compreso l’esclamativo, commedia di Eduardo De Filippo da lui scritta ed interpretata al Teatro Eliseo di Roma nel 1946, ndr): «secondo l’Agis, la platea dei lavoratori dello spettacolo è di circa 140mila persone, la cui retribuzione mediana annua è di circa 4.328 euro per i dipendenti e 194 giorni di lavoro, benché il 77percento della categoria non arrivi a 90 giornate (dati Istat)». Ma ci sono anche chi ha rendicontato giornate di lavoro che non superano le poche decine, e in qualche caso anche meno, su cui sarebbe utile fermarsi per un ragionamento più complessivo nel chiedersi cosa non ha funzionato nel passato. Quali sono state le cause e le criticità che hanno impedito un lavoro regolare e continuativo nel corso degli anni. Non facile e sicuramente complesso nel cercare le diverse ragioni a monte del problema. L’Inps fornisce anche un’altra cifra: « (…) tutti i lavoratori con almeno una giornata pagata all’anno si arriva a 330mila persone, con una retribuzione media di 10.664 euro». Cifre che vanno analizzate con molta cura per capire se in passato ci sono state delle criticità, disattenzioni, e forse anche una certa leggerezza nell’affrontare i problemi (ora acuiti dalla pandemia), per guardare avanti e trovare delle soluzioni condivise.
Nel frattempo chi non proferisce parola sono gli artisti o i cantanti che vanno per la maggiore in televisione, nei concerti (parliamo del settore della musica leggera), dove il loro silenzio è assordante e le prenotazioni per le tournée delle star continuano ad essere accolte. Tra pochi giorni il Festival di Sanremo (dal 2 al 6 marzo), senza pubblico ma con polemiche a strascico.