Teatro, Va in scena a — 23/05/2011 at 15:19

“I Cenci” Artaud Le Scimmie Nude-Teatro delle Contraddizione

di
Share

 L’Atélier Scimmie Nude presenta in prima assoluta “I Cenci” di Antonin Artaud, spettacolo in programma al Festival ExPolis al Teatro della Contraddizione di Milano. Il dramma di Antonin Artaud è il lavoro di restituzione nel 2010 dell’Atélier Scimmie Nude, al quale partecipano ogni anno anche gli attori stabili della compagnia, diventata una produzione teatrale come lavoro di presentazione vicino al tipo di filosofia che sottende al festival e rappresentativo del lavoro di ricerca svolto dalla compagnia.

Tratto da una storia vera, “I Cenci” viene scritto da Artaud come testo che concretizzi la sua idea di ‘dramma crudele’. L’azione è ambientata a Roma, nel 1599. Il Conte Cenci, dopo aver commesso un delitto, è riuscito a sfuggire al carcere grazie alla mediazione di Camillo, che intercedendo presso il papa, commuta la sua pena in una confisca di terre. Ma Cenci è ben lungi dal pentimento: travolto dal suo stesso furore distruttivo organizza un ricevimento durante il quale festeggia la morte dei suoi figli minacciando tutti gli invitati, poi, interpretando fino in fondo il suo ruolo di anticristo, torturerà la moglie Lucrezia e violenterà la figlia Beatrice. Lei stessa poi verrà condannata a morte da papa Clemente VIII per aver assassinato il padre.

Antonin Artaud, nato a Marsiglia nel 1896 è stato una figura dominante dell’avanguardia francese del 900. Un dramnmaturgo capace di elaborare un teatro necessario e crudele, al quale le Scimmie Nude si ispirano nella loro ricerca e sperimentazione teatrale. Un teatro che indaga sull’Uomo, dove la recitazione poetica anti – psicologica viene messa in primo piano, affiancata dalla ricerca fisico-vocale e dalla convinzione per cui tutto quello che il corpo manifesta è strettamente legato al cuore. Il cuore, motore centrale dell’attore, restituisce tutta la propria potenza solo quando l’attore s’investe completamente nella scena. Nello stile “crudele” delle Scimmie Nude l’istinto viene stimolato fino ad arrivare a toccare le radici più intime dell’attore. Il teatro della crudeltà presuppone una crudezza dell’ attore verso se stesso per aprire il proprio cuore e per essere onesto, sincero e puro nei confronti del pubblico, attraverso lo spettacolo delle sue azioni e delle sue parole. L’ attore graffia il suo cuore grazie alla propria apertura intima teatralizzandola, diventa il tormento di se stesso: sia comico che tragico.

Per Artaud la responsabilità individuale del male e dell’ingiustizia si propaga all’ intera società. Nessuno è innocente se non reagisce con coscienza e libertà alle forze del male. Vittime e colpevoli sono risucchiati dallo stesso gorgo d’infamia e di morte.Esiste in una società una data quantità di “male” latente che si localizza su di uno o più individui corrompendo poi tutte le anime di quel popolo, nessuno escluso. Due allora sono le soluzioni possibili: o una distruzione totale o un’estrema purificazione. Noi, oggi, di fronte a tanta violenza, nutriamo la segreta speranza per la seconda soluzione.

I Cenci di Antonin Artaud

Adattamento e regia Gaddo Bagnoli

Con. Angelo Bosio, Michela Bologna, Eri Cakalli, Paola Figini, Claudia Franceschetti, Federica Garavaglia, Elena Lietti, Igor Loddo, Andrea Magnelli, Stefania Morino, Marco Olivieri, Laura Rinaldi, Tania Ricciardi,

Eleonora Zampierolo

Da lunedi 23 a mercoledi 25 maggio. Inizio alle 20.45

Teatro della Contraddizione

Via Privata della Braida 6 Milano

www.teatrodellacontraddzione.it

Beatrice Cenci. La storia di un dramma famigliare.

L’esecuzione di Beatrice Cenci, della matrigna  e del fratello Giacomo avvenne  l’11 settembre nell’anno del Signore 1599, sotto papa Clemente VIII Aldobrandini, nella piazza di Castel S’Antangelo a Roma. Le due donne vennero decapitate con la mannaia, mentre Giacomo fu straziato con ferri roventi e poi squartato. Il fratello minore Bernardo di soli 15 anni venne graziato ma  obbligato ad assistere all’esecuzione dei suoi famigliari. Una sentenza di morte voluta dal papa per punire l’omicidio del  padre Francesco Cenci, uomo di indole violenta, arrogante e depravato,  più volte incarcerato e processato per delitti infamanti. La figlia Beatrice subiva da lui ogni tipo di  abusi, costretta alla fame, e segregata nel castello di Petrella a Rieti. La disperazione della sfortunata ragazza fece maturare in lei, nella matrigna e nel fratello Giacomo, la decisione di uccidere il padre. Il suo cadavere fu trovato la notte del 10 settembre 1598. Si pensò  in un primo momento ad una disgrazia accidentale, ma alcuni indizi crearono il sospetto di omicidio e le indagini portarono all’arresto dei Cenci e dei sicari, che sotto tortura confessarono il delitto. Nel processo in cui tutta la città fu coinvolta,  nonostante l’appassionata difesa dell’avvocato Prospero Farinacci, il papa  non concesse la grazia: la loro condanna a morte doveva essere d’esempio come monito al popolo e  questo gli consentì di confiscare i beni a una delle famiglie più ricche di Roma. Le cronache raccontano che tra la folla che aveva assistito all’esecuzione ci fosse anche un giovane pittore lombardo. Il suo nome era Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. In quell’epoca le decapitazioni erano all’ordine del giorno. Che la presenza dell’artista sia accertata o no, quell’esecuzione doveva lasciare comunque un’impressione profonda nel grande pittore, che poi la tradusse nel dipinto:” Giuditta che decapita Oloferne”, di violento e drammatico realismo, soggetto ripreso anche da Artemisia Gentileschi, pittrice di talento straordinario.

 Il corpo di Beatrice, come chiesto nel testamento, fu sepolto sotto l’altare della chiesa di San Pietro in Montorio in Roma, e la sua testa  posata su un piatto d’argento. Per il popolo era diventata una martire da venerare. Iniziava così il mito. Si diffonderà in tutta Europa, con la creazione di una inevitabile commistione tra il sublime e il macabro. La storia dei Cenci suscita enorme interesse tra i letterati e la cultura del ‘700. Il poeta Shelley e lo scrittore Stendhal saranno tra i primi a scrivere su di lei, insieme a Dumas, fino ad arrivare in epoca contemporanea con il teatro di Artaud, e un dramma di Moravia. La figura immortale di Beatrice resta fissata indelebile sulla tela di Guido Reni, un ritratto definito: “il quadro più triste che sia mai stato dipinto, o concepito, è unimago mortis, un’immagine che evoca non solo immensa profondità e dolore, ma anche un senso di morte…”

 

 

Share

Comments are closed.