RUMOR(S)CENA – CASTAGNETO CARDUCCI – (Livorno) – Quando la realtà e la finzione cinematografica si inseguono. Se ne parla domenica 24 luglio (ore 21.15) al Festival Le vie del giornalismo di Castagneto Carducci edizione 2022 dal titolo “Relativo”: “Incontri, parole, personaggi della carta stampata (e non solo) per narrare le tante facce del nostro tempo”
La testimonianza inedita di Bruno Martinello che vide il corpo senza vita di Aldo Moro, riverso nel bagagliaio della Renault rossa, parcheggiata in via Gaetani a Roma. Un film che racconta il sequestro e la condanna a morte, secondo la visione del regista Marco Bellocchio data da un’introspezione psiconalitica che svela i retroscena dei protagonisti (Francesco Cossiga, Giulio Andreotti, e gli stessi brigatisti, che agiscono come delle persone in preda a deliri. Esterno Notte 1 e 2 racconta i fatti di cronaca accaduti durante il 1978 che riguardano il rapimento e la prigionia di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana e principale sostenitore dell’alleanza con il Partito Comunista Italiano un’alleanza che per la prima volta avrebbe instaurato un governo di sinistra in un paese occidentale. Dopo il brutale rapimento e l’uccisione della sua scorta , Moro viene tenuto prigioniero per cinquantacinque giorni, quasi due mesi di trattative, fallimenti, speranze, paure. Alla fine, in un’epoca storica segnata dal terrore delle Brigate Rosse, il corpo di Moro viene rinvenuto in un’auto, nel centro di Roma il 9 maggio 1978 in via Caetani a metà strada tra la sede della DC e quella del PCI.
Michele Rielli, autore de Il Confine dedica il primo capitolo del suo libro a questa vicenda “L’assassino di Aldo Moro e l’inizio del declino italiano”: «Nel Febbraio 1978, due mesi prima di essere rapito e poi ucciso dalle Brigate rosse, Moro aveva fatto un discordo presidenziale alla DC riunita durante il quale tra l’altro aveva detto: ” Questo Paese non si salverà, se non nascerà in Italia un nuovo senso del dovere“.
Allora e adesso in Italia si è parlato e si parla troppo di diritti e troppo poco di doveri. Dalla morte violenta di Moro la classe politica italiana ha imboccato un declino lento e inarrestabile, sia come preparazione culturale di base, che come facoltà di produrre delle visioni politiche utili alla nazione e percorribili. (…). Mario Moretti confermerà poi nel 1990 la corretta interpretazione del simbolismo nascosto nel luogo del ritrovamento del cadavere: col rapimento e l’omicidio di Moro, le Brigate Rosse avevano voluto colpire l’artefice principale del progetto politico di solidarietà nazionale con l’avvicinamento tra DC e PCI (le convergenze parallele), la cui espressione sarebbe stata il governo Andreotti IV… ». L’Italia stessa fu scossa profondamente e le reazioni non si fecero attendere alla luce anche delle lettere che Moro scrisse alla moglie Eleonora, tra cui quella del 5 Maggio del 1978: «Siamo ormai credo al momento conclusivo … Resta solo da riconoscere che tu avevi ragione… Vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della DC con il suo assurdo e incredibile comportamento… Si deve rifiutare eventuale medaglia..»
Bruno Martinello durante il periodo del sequestro, con il grado di sottoufficiale della Marina Militare, fu richiamato in servizio e addetto alle comunicazioni radio nel centro d’ascolto che era stato allestito durante i giorni del sequestro. Riavvolgendo il nastro della sua vita emerge anche un’altra esperienza tragica in cui il sottufficiale si trovò coinvolto. «La notte del 22 marzo del 1965 mi trovavo a bordo della fregata Castore in missione notturna al largo di Punta Stilo nel mar Ionio (in questa zona di mare si svolse il 9 luglio del 1940 il primo scontro in mare tra la flotta italiana e quella inglese durante la seconda guerra mondiale che vide la più alta concentrazione di navi di tutto il conflitto nel Mar Mediterraneo, ndr), e insieme alla fregata Rizzo dovevamo simulare un’operazione di scorta alla nave Etna, in assetto da guerra, come prevedeva il regolamento, a luci spente e con il silenzio radio – racconta Bruno Martinello – per l’addestramento ad una missione antisommergibile e alle comunicazioni che si svolgevano solo con i lampi di luce dalle alette di plancia. Si trattava di un’esercitazione Nato in cui partecipavano anche gli Stati Uniti (denominata “Early Dawn” e la mia nave che era uscita dalla base di Taranto dopo i lavori di ammodernamento eseguiti in Arsenale.
C’era però un problema che preoccupava il comandante della Castore perché il radar di bordo non funzionava ma nonostante questo ci fu ordinato di salpare e raggiungere il convoglio al largo. Un ordine a cui il comandante non poteva sottrarsi. Facevamo parte della seconda divisione navale e ci fu detto che a guidarci durante la navigazione sarebbe stata una nave inglese. La visibilità era ridotta e questo complicava maggiormente le operazioni. Ogni nave aveva una posizione nel suo settore assegnato e la nave Etna si trovava al centro di tutto lo schieramento. La Castore avendo battuto la presenza di un sottomarino doveva eseguire una manovra cinematica di zigzagamento indipendente stretto per evitare di venire intercettato dal sommergibile».
Il racconto si fa sempre più drammatico e le parole di Bruno risentono dell’emozione che riaffiora nel descrivere la tragedia del mare (una delle più gravi accadute dopo la seconda guerra mondiale) in cui morirono dei marinai. «Io mi trovavo nei locali della stazione radio al momento della collisione avvenuta alle 21 della sera, quando la nave si sollevò di colpo per via che l’Etna ci aveva speronato a causa di una manovra errata. La prora aveva squarciato la Castore, danneggiandola a tal punto che la prua era un groviglio di lamiere contorte. Subito viene impartito l’ordine ai nocchieri di andare a verificare cosa era accaduto per accertarsi dei danni e di chi era stato coinvolto. Ci siamo trovati davanti ad una nave di 14081 tonnellate e 121 uomini di equipaggio. La Castore aveva una stazza di 1680 tonnellate e 120 uomini a bordo. Una situazione pericolosa anche perché a bordo avevamo le bombe di profondità e dalle ricerche effettuate risultavano quattro dispersi.
A bordo era suonato l’allarme e le fasi di soccorso si rivelarono molto difficili. Ci bruciavano gli occhi per il fumo provocato da bombe fumogene esplose nella stiva. Furono diramati i messaggi cifrati alla COC, la Centrale operativa di combattimento. La Castore fu rimorchiata dalla fregata Rizzo e scortata dall’incrociatore lanciamissili Rizzo. Una volta attraccati in porto a Messina alle 24 della notte successiva ci furono sequestrati i documenti di bordo per le indagini. La squadra dei soccorsi riuscì a recuperare i corpi del sottocapo Aristide Duse e del marinaio Vittorio Celli mentre i marinai Domenico Franzese e Franco Pardini risultarono dispersi in mare. Erano tutti in servizio di leva. L’Etna invertì la rotta per tornare alla base di Taranto nell’Arsenale del Mar Piccolo scortata da un’altra nave del convoglio.
A Messina vennero portati in ospedale undici membri del nostro equipaggio rimasti feriti – prosegue nel suo racconto Bruno Martinello, visivamente emozionato – tra cui io, senza però gravi conseguenze». I giornali dell’epoca danno grande rilievo alla tragedia e scrissero di una “tomba liquida per i marinai dispersi in mare”. A Messina accorsero tutti i vertici della Marina Militare e furono celebrati i funerali di stato alla presenza della massime autorità militari e civili.
Resta il ricordo di quella tragica notte e Bruno apre il suo album dove sono conservate le foto d’epoca e la raccolta degli articoli. In uno di questi si legge «Il radar “impazzito” provocò la sciagura (…) le autorità militari mantengono il massimo riserbo sull’indagine, ma secondo voci non ufficiali la collisione sarebbe da imputare all’improvviso mancato funzionamento del radar della nave Castore, la quale con manovre ad incrocio, aveva il compito di proteggere durante l’esercitazione la nave da trasporto Etna».