Recensioni, Teatro — 23/08/2021 at 15:46

Il teatro della Biennale di Venezia: autobiografie e visioni dal reale si interrogano.

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RUMOR(S)CENA – VENEZIA – La Biennale Teatro costretta a traslocare dall’Arsenale per lasciare posto al G20 Economia: è accaduto a Venezia dove gli spettacoli (a programma già avviato) hanno ceduto il “palcoscenico” alla politica economica. Giornate di luglio afose per il caldo e una non facile convivenza con delegazioni internazionali (provenienti da tutta Europa) ma da anche da altre nazioni, sorvegliate da ingenti forze di polizia, decine di motovedette in navigazione su Canal Grande, elicotteri rumorosi, drappelli di carabinieri e poliziotti in tuta antisommossa. Un “fuori scena” per turisti increduli e sorpresi di trovarsi su un “set di un film d’azione”, pronti a scattare fotografie, come se all’improvviso Venezia non fosse più luogo d’arte, ma una cittadella militarizzata. I residenti in zona Arsenale infastiditi per i disagi subiti. Nel frattempo gli artisti invitati dai direttori ricci/forte (Stefano Ricci e Gianni Forte), si spostavano al Teatro Goldoni, e a cielo aperto.

A Venezia può accadere sempre tutto e il contrario di tutto, d’altronde è qui che la Fenice brucia e risorge sempre dalle sue ceneri. La libera associazione di idee fa pensare anche al “Gran teatro del mondo” di Pedro Calderón de La Barca. La Biennale è una platea mondiale le cui emozioni sono palpabili a vista: rappresenta una delle istituzioni più celebri e rinomate: teatro, danza, musica, cinema. L’edizione 2021 Teatro è stata archiviata. Il voluminoso catalogo blu con il programma e relative schede autoriali – artistiche viene in aiuto per ricercare quali sono state le ispirazioni poetiche dei protagonisti. Il presidente della Biennale, Roberto Ciccuto, nel presentare l’edizione 2021 scrive: «LORO (i ricci/forte, ndr) hanno sposato l’idea del dialogo e dello scambio fra le arti della Biennale e assieme agli altri Direttori affermano di voler creare scambi reali tra le discipline. LORO hanno arricchito il campo d’azione dell’attività del College (regia e drammaturgia), accogliendo performer italiani e stranieri Under 40, che con i loro interventi site specific, pensati per Venezia, saranno anche guide speciali per gli spettatori che arriveranno».

Oltre a questi sono arrivati anche il Leone d’Oro alla carriera, consegnato al regista polacco Krzysztof Warlikowski con la prima nazionale italiana di We Are Leaving (Dopo/After Suitcase Packers) di Hanoch Levin. “Dopo dodici anni dalla sua regia di Kru è Il tempo dalla prima rappresentazione del testo di Levin che ha segnato la storia della Polonia e dell’Europa con numerosi eventi drammatici…”. Il regista nato in Polonia nel 1962, è uno dei più importanti registi europei teatrali e in ambito operistico – si legge nella scheda di presentazione – e ha creato un modo inedito di portare in scena Shakespeare. Il suo lavoro include anche un’interpretazione sovversiva delle tragedie greche, ed è ben noto per le sue messe in scena di autori moderni. Dal 2008 è il direttore artistico del Nowy Teatr di Varsavia. Vincitore di numerosi premi internazionali., Warlikowski dirige le sue produzioni teatrali nei più importanti festival di tutto il mondo. Nella motivazione del Leone d’Oro è scritto come il regista sia uno “Spirito in itinere, anticonformista e refrattario a qualunque regime, libero da ingiunzioni morali granitiche, percorrendo sentieri ardui per raggiungere l’altro versante di una frontiera possibile, Krzysztof Warlikowski affronta di petto gli innumerevoli ostacoli e l’ideologia liberal totalitaria di un sistema politico contemporaneo oppressivo per affermarsi degnamente con la propria identità e decollare verso mete differenti»

Qui a tué mon père di Thomas Ostermeier _ ©JeanLouisFernandez – Theatre de la Ville-Paris

Il Leone d’Argento è stato assegnato a Kae Tempest definita come l’“Astrolabio del disagio contemporaneo (…) voce poetica più urticante e innovativa, emersa nella Spoken Word Poetry degli ultimi anni…”. Premiata per essere un’artista che “sperimenta ancora in un genere definito di nicchia come la poesia, tenendo verso inediti orizzonti musicali, costruendo linguaggi originali senza abbandonare le architetture ereditate dai classici, mescolando l’aulico con il basso, la rabbia con la dolcezza degli affetti – tra versi e rime taglienti di shakesperiana memoria e dal forte contenuto sociale, miti e ibridazioni hip hop….».

Cerimonia di consegna del Leone d’argento a Kae Tempest _ ph Andrea Avezzù

Al Teatro Goldoni, Kae Tempest, ha interpretato, con il suo stile inconfondibile, la versione parlata dell’album uscito nel 2019 The Books of Traps & Lessons, mentre durante la consegna di premiazione, che si è svolta nella Sala delle Colonne a Cà Giustinian, l’artista dimostrava una palese timidezza nel suo “disorientamento” simpatico per l’emozione provata, diversamente da quanto dimostra sul palcoscenico, in cui esprime tutta la presenza scenica che ha conquistato il pubblico in platea. Lo stesso è accaduto con Édoard Louis, scrittore, drammaturgo e interprete di Qui a tué mon père, con la regia di Thomas Ostermeier.

Come definire il suo spettacolo? Teatro politico? Teatro impegnato? Un Teatro che racconta una vita autobiografica è quanto di più vero ma una risposta definitiva è difficile contestualizzarla. Ci sono elementi che si amalgamano tra di loro e cercare di catalogarli non avrebbe senso. L’approccio migliore è quello di lasciarsi coinvolgere senza l’urgenza di trovare delle risposte definitive e tanto meno ricercare una “verità”. Chi sostiene che sia un dovere dell’artista, quella di fornire una soluzione – risposta, forse non è del tutto realistico. È pur vero che sia una sua responsabilità: stimolare, interrogare, suscitare reazioni anche contrastanti, porre domande ma lasciando una libertà individuale, dove lo spettatore possa ampliare l’orizzonte della visione, cercando anche altrove dei riferimenti. Forse poteva accadere in passato con i drammaturghi classici, ma oggi è talmente liquida la nostra società che al posto della verità è più facile riscontrare un’autoreferenziale moda di presentarsi anche sulla scena.

Qui a tué mon père di Thomas Ostermeier _ ©JeanLouisFernandez – Theatre de la Ville-Paris

«Qui a tuè mon père – spiega il regista Thomas Ostermeier – è la storia della scoperta che il padre dell’autore violento e introverso durante la sua infanzia, era “un’altra persona”, una volta». Figura incombente quella del padre da sempre materia scottante che ritroviamo nella letteratura e anche in altri testi teatrali, come una sorta di convitato di pietra che aleggia nelle vite di molti figli. L’urgenza di parlarne è una costante che ritroviamo spesso nella letteratura e negli studi psicoanalitici.

Édoard Louis è autore di quattro romanzi: Storia della violenza, Il caso Eddy Belleguele, Chi ha ucciso mio padre, Combats et métamorphoses d’une femme . La sua presenza sulla scena racconta in chiave autobiografica drammatizzata, grazie anche all’efficace regia di Thomas Ostermaier dove la narrazione si fa calzante, a tratti concitata e le intersezioni tra citazioni affettive e famigliari si fondono con una denuncia “politica” nei confronti dei governi che si sono succeduti in Francia, citando nomi e cognomi dei politici responsabili: economia, lavoro, sanità, questi gli argomenti narrati sullo sfondo della sua personale esperienza umana ed affettiva, Non delle affermazioni generiche ma denunce circostanziate e le conseguenze subite in cui il soggetto è il padre, vittima di malasanità, di licenziamenti, di disagio vissuto come vittima di un sistema. Una pedina in balia di interessi dove non viene considerata la sofferenza dell’essere umano, quanto piuttosto un sistema di misure drastiche con fini speculativi. Questioni di welfare e malasanità, economie rampanti e tagli senza considerare gli effetti sulle classi meno agiate.

Qui a tué mon père di Thomas Ostermeier _ ©JeanLouisFernandez – Theatre de la Ville-Paris

Vittime, come in questo caso, riportate alla ribalta (letteraria e drammaturgica-teatrale) in cui la storia si trasforma e si evolve in continuazione. Recitazione e presenza scenica (Édoard Louis bravo ed esordiente come attore, molto a suo agio e credibile), tra monologhi impegnati e brevi guizzi di follia con interpretazioni vocali-musicali dove imita con uno spiccato senso dell’ironia anche le più celebri pop star. Qui a tué mon père si avvale di una produzione di alto livello, confezionato con grande professionalità artistica. Nel dibattito seguito dopo lo spettacolo e moderato da Andrea Porcheddu, il regista e il protagonista hanno affrontate le dinamiche alla base del lavoro registico e drammaturgico. Alla domanda del perché è stato scelto un testo di drammaturgia contemporanea, rispetto alla sue regie precedenti, dove erano stati messi in scena testi classici e ispirati dai grandi filosofi, Ostermaier ha risposto: «Io ho solo fatto la regia mentre il testo è stato scritto da Édoard ed io l’ho scelto perché mi interessano gli argomenti come quello della lotta di classe, l’omofobia, di cui si sente l’urgenza. La lotta di classe è un tema che non è mai stato affrontato abbastanza. Ci sono libri che sono stati scritti su questo. Sono nuove voci e a me non interessa che siano stati scritti sia per il teatro o come romanzi, non fa differenza».

Un impegno politico del teatro? «L’azione politica, i diritti della persona, penso al vostro decreto Ddl Zan (la proposta di legge fonte di divisioni tra schieramenti politici diversi, ndr), ma io non credo – ha risposto il regista – nel ruolo politico del teatro. Io seguo il mio istinto, un flusso di energie. Prima bisogna parlarne in sala prove e poi sul palco. Se non sai di cosa parlare allora meglio lasciar stare; forse è più importante farlo sulla strada. Il teatro non è uno strumento politico ma piuttosto deve porre domande». Ostermaier dialoga nel modo più semplice, discreto e senza mai assumere un atteggiamento retorico nel confutare o contraddire le opinioni altrui, le idee o argomentazioni che hanno catturato l’attenzione del pubblico del Teatro Goldoni. Un regista capace di spiegare la sua idea registica senza mai ricorrere a spiegazioni ideologiche ma traducendo con estrema coerenza l’assunto registico e drammaturgico.

Édoard Louis: «Io sono più ottimista rispetto a quello che pensa Thomas perché ci sono molti modi diversi per cambiare la vita di ciascuno. Nelle strade è diverso da quanto accade in teatro dove sappiamo che non potrà migliorare la vita di una madre, di un padre malato e senza lavoro (la sua biografia raccontata in scena, ndr), però tutti insieme possiamo contribuire ad un cambiamento collettivo. Dopo aver visto le regie di Ostermaier quando ero più giovane e mi vergognavo ancora di essere omosessuale, il teatro mi ha costretto a confrontarmi con me stesso».

Che significato ha per Édoard essere anche attore?: «Non era un mio sogno diventarlo ma quando ho cominciato a parlare con Thomas di questo progetto, pur sapendo che parlava di me, autobiografico, lui è riuscito ad entrare dentro il pensiero e mi ha spiegato come era mio padre. Il regista è la prima volta che lavora con un attore non professionista e allo stesso tempo è anche l’autore». Un’esperienza particolare tra un regista di teatro e uno scrittore capace di recitare sul palco. Una risorsa importante? Ostermaier spiega che «l’autobiografia è un grande tema per la discussione, specie in Germania per il teatro contemporaneo, dove non si parla più dell’essere umano mentre si va sempre più verso un teatro delle arti. È un problema tedesco. La mia famiglia ha un background simile a quello di Édoard. Quando andavo a teatro per vedere gli spettacoli non capivo le relazioni che andavano in scena. In Germania c’è una classe di giovani che discutono mentre qui ci sono sentimenti come la rabbia, l’amore, emozioni in un momento di crisi e di non azione. Questo teatro è importante».

Édoard fa anche i nomi dei politici nel suo testo e ricordo cosa diceva Pasolini quando scriveva: “Io so i nomi ma non ho le prove”. In questo spettacolo invece i nomi si fanno eccome…».

Perché è importante farli i nomi?

«Perché i politici devono avere memoria di quello che hanno fatto, come hanno amministrato e cosa è accaduto a mio padre e lui mi ha fatto i complimenti dopo aver letto il mio libro. Parla di un padre distrutto e io non avevo ricordi della politica che a chisto a lui di tornare a lavorare. Le politiche di Macron (presidente della Repubblica francese) e Sarkozy (ex presidente) sono responsabili di cosa era accaduto e lo scopo di questa opera teatrale è stato quello di cercare di capire cosa avevano fatto a mio padre. Io faccio i nomi nel mio libro e lo devo fare ora che sono relativamente famoso».

Dal teatro autobiografico al city specific dove il programma prevedeva la creazione artistica On a Solitary Beach del collettivo – ness di Rooy Charlie Lana e Giulia Zulian, allestito sulle rive dell’isola del Lido di Venezia. Un originale lavoro creato appositamente per la Biennale Teatro 2021 e allestito a bordo di un vaporetto dismesso. Il collettivo è nato a Venezia nel 2019 e riunisce a sé molte discipline artistiche, sviluppando “pensieri e pratiche a partire dall’ideazione dell’identità Transghost e dalla sua messa a sistema nelle discipline delle arti visive-performative e degli studi queer. – ness ha pubblicato nel 2020 “Kabul Magazine” «I principi dell’identità Transghost che sono: non intendere il corpo biologico (quale dispositivo di sesso, genere, etnia) e i dati anagrafici come le uniche verità possibili a livello politico e sociale; dismettere la realtà anatomica come verità che definisce i corpi in modo assoluto; sospendere il dato biografico, dichiarandosi temporaneamente senza alcun nome anagrafico. Transghost diviene infatti termine unico di identificazione e riconoscimento; agire fuori dal sistema che assoggetta e differenzia i corpi sulla base del privilegio posto dall’idea di Natura; provare piacere nell’attuare pratiche all’infuori del sistema riproduttivo ed eteronormato; attuare processi di auto-finzione nel corpo come strumento di liberazione».

On a Solitary Beach è una performance dinamica e pensata come un immaginario mondo immerso in un contesto più che realistico: Venezia e la sua laguna. I performer si muovono all’interno del vaporetto e con veloci incursioni a poppa e sulla passerella che porta alla riva, in tute di lattice verde, muovendosi secondo un preciso e ordinato disegno geometrico. Cadenzato. Tempistiche corporee rigorose dove il linguaggio convenzionale è sostituito da una gamma espressiva di codici, segni, movimenti, modalità non verbali efficaci e attraenti per lo sguardo dello spettatore.

site specific On a solitary Beach di Collettivo -ness (Rooy Charlie Lana e Giulia Zulian) @ Andrea Avezzù

Gli autori Rooy Charlie Lana e Giulia Zulian (insieme a loro in scena ci sono anche le performer Eleonora Bomben e Alessia De Francesco) spiegano come sia stato pensato il loro city specific: «Venezia rappresenta simbolicamente il luogo in cui coesistono molte delle narrazioni e delle condizioni dell’umanità del contemporaneo: inseguire un falso mito di bellezza; essere immediatamente riconoscibile e riconducibile a un’identità fissa; sopravvivere in un pianeta infetto (Lazzaretti e Chiesa della Salute come simboli ante -covid di pestilenza); osservare inerti gli effetti dei cambiamenti climatici. Eppure Venezia – come altre città – nella sua complicata dinamica esistenziale, ritorna sempre a essere immaginata e organizzata, anche in previsione di un futuro post -pandemico, come lo stereotipo della città idilliaca. Il nostro progetto su Venezia non può escludere le visioni stereotipate della Laguna. L’obiettivo è attivare una parodia e citazione sovversiva dei codici estetici, politici e sociali in cui Venezia è stata e viene idealizzata e consumata».

performance Site Specific AB IMIS di Stellario Di Blasi @Andrea Avezzù.jpg

Lo sguardo dello spettatore seduto sotto il sole estivo di luglio ha potuto assistere ad una rappresentazione in cui tutto questo è reso visibile e forse in qualche modo anche “palpabile”, attraverso i sensi. L’affastellamento di “oggetti di scena” quali canotti, salvagenti, pupazzi di gomma gonfiabili, rappresentano un inventario riconoscibile per essere ausili ludici e di galleggiamento utilizzati in mare. Si parla di vacanze, di frenesia estiva, di turismo. Un caos ordinato che satura lo spazio fino a incorporare gli stessi protagonisti – perfomer, amalgamati fino a rendersi un unicum e sparire. Venezia è anche questo: il Vaporetto dell’Immaginario Capitan Bragadin ormeggiato in Riva di Corinto al Lido di Venezia.

performance Site Specific AB IMIS di Stellario Di Blasi @ Andrea Avezzù.

Il vincitore del bando Biennale College Teatro performance site specific 2021, Stellario Di Blasi si definisce “un ostinato guerriero dallo sguardo lavico: semplice, fiero, fiducioso ma avventato nonostante alcune sfide non valessero il merito di una conquista. O ancor più il valore di una sconfitta…. “ Performer, artista, danzatore, disegnatore, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Carrara e di Reggio Calabria, docente al Liceo artistico di Firenze. Un curriculum che attraversa tutte le arti e ne fa un protagonista della scena capace di esprimersi con generosità e dotato di un eclettico corpo – mente. In un Campo Santo Stefano tra turisti sorpresi e increduli, carabinieri di passaggio (G20 Economia) e un elicottero volteggiante sopra tutti, il perfomer ha presentato in prima assoluta AB IMIS|iolagemmainnestai. Una costruzione- destrutturazione, decomposizione, ideazione e relativo smontaggio, è in sintesi la sua creazione dove Di Blasi crea e disfa, monta e smonta, disegna e danza, racconta attraverso rituali geometrici. Non si risparmia e dimostra generosità nel suo offrirsi con un’eleganza corporea ed espressiva. L’autobiografia entra di diritto nel suo lavoro mediante immagini fotografiche della sua famiglia. Tocca il tema dell’ecologia e dei rifiuti plastici. L’inquinamento che sta riducendo le risorse naturali. Riferimenti sullo sfondo di un lavoro performativo complesso, ricco di segni estetici. Non facili da identificare tutti completamente ma ricchi di spunti per una riflessione a posteriori.

Site Specific AB IMIS di Stellario Di Blasi @Andrea Avezzù.jpg

Visti alla Biennale Teatro di Venezia l’8, 9, 10 luglio 2021 al Teatro Goldoni, isola del Lido e Campo Santo Stefano di Venezia

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