Il viaggio non sta nell’arrivo ma nel percorso stesso per raggiungerlo. Non è la meta ma il passaggio. Un viaggio naturale e naturalistico quanto mistico, alla ricerca di ciò che non c’è, che non si vede ad occhi nudi. “Ciò che non hai mai visto lo trovi dove non sei mai stato” (Detto africano).
Non la maraviglia ma la scoperta delle cose semplici, piccole, anche insignificanti, quelle alle quali non si presta attenzione, che non ci colpiscono, che diamo per assodate, scontate, che scarteremmo dall’album di fotografie o dei ricordi, che non racconteremo mai con stupore, che non segneremo mai sul taccuino, sul moleskine nero, sugli appunti di viaggio. “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. (Marcel Proust).
“Gloter Viaggi” è la scommessa che l’artista performer Katia Giuliani ha messo in moto in tre diverse location, prima “Attenti ai leoni”, poi a Terni al Festival della Creazione Contemporanea, dal nome “Folgòria”, infine a Prato al Contemporanea Festival con “Rena sorda”, scritto con la collaborazione di Caterina Poggesi. Termini esotici per viaggi più interiori che da turista mordi e fuggi. Nessun monumento eclatante nessuna spettacolarità, nessun souvenir da procacciarsi, nessun ammennicolo, dettaglio, angolo languido da Nikon. “Solo lo stolto percorre correndo il cammino della vita senza soffermarsi ad osservare le bellezze del creato” (Proverbio Tibetano).
E allora spazio ai passi, ai centimetri smarriti. Una guida, Caterina Frani seriamente ironica e ironicamente seria, ed un percorso tutto emotivo spicciolo e nel suo complesso, proprio perché senza enfasi né punte d’elettrocardiogramma acuminato, acutissimo e felice. Una via crucis di tappe e fermate dove la parola d’ordine è l’ascolto di ciò che ad una prima lettura può sembrare niente, banale, leggero, superficiale, non ragguardevole di una sosta. “Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone” (John Steinbeck).
La facciata di una chiesa senza nessuna velleità artistica ed addirittura murata, informazioni sugli abitanti di una frazione di Prato dispersa in mezzo a campi arati e case anonime, strade di campagne. “Come molti viaggiatori ho visto più di quanto ricordi e ricordo più di quanto ho visto” (Benjamin Disraeli).
Non è un viaggio della speranza, però. Come una caccia al tesoro, un gioco, un mistero, una sorpresa che ognuno scoprirà aver sempre avuto dentro se stesso: gli occhi, la visione, l’illuminazione della semplicità, noi che viviamo in un mondo di up, di adrenalina, di noia, di bisogno continuo di stimoli e sollecitazioni, di bombardamenti e colori psichedelici. “Non vivere su questa terra come un estraneo o come un turista della natura. Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre: credi al grano, alla terra, al mare, ma prima di tutto credi nell’uomo” (Nazim Hikmet).
Ecco, qui il segreto è andar piano, ascoltare i racconti su questo angolo di terra dimenticato da Dio, dove c’erano soltanto telai e che la crisi se li è portati via, restituendo il silenzio. Dove ci sono ancora circoli aperti, dove si continuano a fronteggiare l’Mcl, d’estrazione cattolica, e l’Arci, ovviamente rosso. “Io viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare. L’importante è muoversi” (Robert Louis Stevenson).
Una gita fuori porta con sconosciuti per andare a vedere e conoscere dove da vedere e conoscere c’è poco o niente. Passiamo davanti ad un tabernacolo dove aleggia la leggenda macabra della Rena Sorda, che dà il titolo al viaggio, ovvero le sabbie mobili, prima che un anziano della zona ci elenchi le bellezze ed il passato della zona: ditte, industrie, scarichi nei fiumi, povertà, anziani al pascolo. “Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta. I loro desideri hanno le forme delle nuvole” (Charles Baudelaire).
Periferie dove brilla il verde sbiadito tendente al marrone secco dei giardinetti comunali e dove accanto spicca alta una ciminiera che pare di essere al Quartiere Tamburi di Taranto dove campeggia l’Ilva. Periferie che si assomigliano. “Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono” (Josè Saramago).
Una bocciofila all’aperto dove nessuno gioca, prati spelacchiati come le fronti e le nuche dei signori sulla panchina che si meravigliano che vi sia una gita di “forestieri” interessati al loro circondario. Visita all’esterno di un campo rom, l’incontro, pre-merenda, con il collezionista di farfalle (sembra un nuovo film thriller oppure la solita scusa anni ’80 per rimorchiare le fanciulle) prima di uscire a riveder le stelle, come risputati (in un colpo pare di essere dentro il film “Essere John Malkovich”) in chiesa (affollata da posti in piedi, roba da invidia per le altre parrocchie italiane, da record di presenze, quasi da stadio) durante la messa (vero colpo di genio questo della Giuliani). “Il mondo è un libro, e chi non viaggia legge solo una pagina” (Sant’Agostino).
Ma ancora il colpo di teatro ad effetto doveva ancora arrivare, fino a toccare le corde di ognuno, con la visita finale, per stenderci al tappeto come dopo un ko, al piccolo coloratissimo kitsch cimitero per animali domestici. “La cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili” (William Burroughs).
Il viaggio senza niente di sensazionale da omaggiare con scatti da condividere e da postare sui social network ha così esploso la sua carica di candida esemplificazione dell’esistenza quotidiana di tutti i giorni fatta di persone che raccontano piccoli pezzi di vita, di incontri casuali e fortuiti, di sorrisi, di case basse, di asfalto, ciminiere e prati non da serie A, di marciapiedi scassati e campi di grano dove immergersi fa tanto “Io non ho paura”, di fango, reale e metaforico, di panchine alle quali è stata scartavetrata la vernice da quanto sono state “sedute”, di mani giunte e anziani a mettere fiori su piccole tombe di famiglia. Una riconciliazione con l’abuso del termine “spettacolo”. Il teatro ha bisogno di più vita di quanto non si pensi. “Un passo alla volta mi basta” (Gandhi).
“Gloter Viaggi”, ideazione di Katia Giuliani, collaborazione alla drammaturgia di Caterina Poggesi, con Katia Giuliani e Caterina Frani, visto al festival Contemporanea, Prato, il 12 ottobre 2013.