RUMOR(S)CENA – MILANO – Diversi artisti (fra gli altri, Guccini e Caparezza), hanno tratto ispirazione dai fatti collegati al G8, tenutosi a Genova nel luglio del 2001, e specialmente dalle intemperanze e le violenze perpetrate dagli organi statali di pubblica sicurezza nella scuola Diaz, e dalla morte del manifestante Carlo Giuliani. Lo ha fatto anche il teatro, ma poiché – come insegnano i classici – è inopportuno, se non impossibile, riportare in modo realistico sul palcoscenico scene come quella che, proprio nella testimonianza di un dirigente della polizia di stato, era stata definita “da macelleria messicana”, la scelta drammaturgica si è per lo più indirizzata a un’evocazione indiretta o metaforica.
A oltre vent’anni di distanza, la compagnia Usine Baug (un termine, questo, che in occitano significa “matto”: quindi qualcosa che suggerisce una fabbrica di fuori di testa), con lo spettacolo Topi affronta quei fatti, ormai consegnati alla storia, ma nelle cui dinamiche, malgrado una definizione processuale, rimangono parecchie ombre. La soluzione drammaturgica adottata è piuttosto originale: non una semplice trasposizione simbolica, né un punto di vista obliquo, ma l’intreccio di una sorta di documentario con una storia apparentemente estranea e di non immediata interpretazione (come è giusto sia una metafora: altrimenti, si cade nel banale e nel didascalico).
Il registro espressivo dei tre attori in scena, Claudia Russo, Ermanno Pingitore e Stefano Rocco privilegia il linguaggio fisico e mimico, coerente con una formazione che deriva loro dalla frequentazione della scuola di Jacques Lecoq e dei suoi discepoli: Alessandra Galante Garrone e Lassaâd Saïdi. In particolare è pressoché muto il ruolo di Pingitore, cui è affidata la storia parallela del signor Canepa, un rappresentante della borghesia impiegatizia, che sta organizzando una cena di lavoro, a parte le poche frasi dette al telefono, o al citofono, con cui risponde a chiamate, ora insulse, ora misteriose.
Ma Canepa è ossessionato dalla presenza di topi nel suo appartamento. Il suo tentativo di cacciarli, non solo si rivelerà inconcludente, ma si risolverà in uno sconquasso finale dell’appartamento: una scena di notevole efficacia teatrale, piena di rumore e furore, che crea finalmente il collegamento della vicenda parallela col tema del G8, richiamando in modo immediato e trasparente le azioni insensatamente distruttive e violente messe in atto a Genova dalle forze dell’ordine.
Precedute, di volta in volta, da efficaci fermo immagine, e sottolineati da un cambio di luci, si inseriscono le parti documentali dello spettacolo recuperate con una ricerca accurata: spezzoni audio e testimonianze di cronache dell’epoca (oltre a una serie di dichiarazioni, anche recenti, della mamma di Carlo Giuliani), alternati ai ricordi adolescenziali forniti con toni di verità da Claudia e Stefano. I quali occupano però anche la scena nella vicenda parallela (che non è priva di spunti surreali, quasi alla Ionesco, come il ripetuto squillare del campanello di una porta, dietro la quale non c’è nessuno: solo un pacco non richiesto), nella spiritosa funzione di supporti del telefono, del citofono, o di una mensola, ma anche nel ruolo di due grossi topi che se la spassano sul tavolo del tinello del povero Canepa.
Lo spettacolo, che si è aggiudicato il prestigioso premio Scenario Periferie 2021, forse non comunica informazioni nuove (ma rinnovare la memoria di fatti che gli adulti potrebbero aver dimenticato, e che la nuova generazione non ha fatto in tempo a conoscere, è sempre un’impresa commendevole), ma i tre attori – che condividono la responsabilità di una drammaturgia e di una regia collettiva – lo realizzano con spunti creativi originali, con notevole padronanza della scena e un porgere accattivante ed efficace.
Visto a Milano a Campo Teatrale, il 17 novembre 2022