Recensioni — 24/02/2019 at 11:29

Phoebuskartell: Il sorriso amaro sulla società.

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RUMOR(S)CENA – PHOEBUSKARTELL – TEATRO DEL CERCHIO – PARMA –Gli eventi narrati sono ambientati in un mondo in cui il denaro ha vinto la guerra per il dominio del cuore e dell’anima umana, in cui il profitto governa ogni scelta nazionale, aziendale e personale, in cui chi non lavora è inutile, in cui godere del tempo libero è peccato, in cui i soldi sono l’unità di misura del merito, in cui i momenti non produttivi sono additati con il nome dispregiativo di disoccupazione, in cui viene dato valore a cose che oggettivamente non ne hanno”.
Queste parole all’inizio dello spettacolo Phoebuskartell (o Cartello Phoebus), andato in scena al Teatro del Cerchio di Parma, suonano come un atto di accusa alla società attuale. Frase complessa che si conclude, però, con una sarcastica rassicurazione da parte dell’autore, Michele Segreto: “Questo è solo teatro”. Come se l’assurdità, il cinismo, di alcuni avvenimenti storici (di qualsiasi epoca) possono essere accolti dal pubblico (o dall’essere umano?) solo se plausibili in un mondo altro, nella finzione scenica. L’autore dichiara in modo idiosincratico tra la voce narrante e il cartello proiettato sul pavimento scuro che i fatti narrati rispettivamente ‘non sono mai esistiti’ e che sono avvenuti realmente. Idiosincrasia, che si ritrova in tutta la rappresentazione e che riporta a quella ben più diffusa tra l’etica e la ricerca di profitto.
Lo spettacolo è costruito rispettando questo contrasto: le scene si contrappongono in soluzione di continuità alternando incontri tra i grandi industriali e momenti di quotidianità lavorativa degli operai.

 


Phoebuskartell racconta, infatti, la storia realmente esistita e davvero poco conosciuta, della nascita del primo cartello industriale su scala globale nel settore della produzione di lampadine da cui deriva il fenomeno dell’obsolescenza programmata. I primi ad entrare in scena, seguendo una coreografia, sono dei laidi personaggi, sudati che fanno fatica a camminare, parlare, sedersi, salutarsi tanto la fame di profitto ha rimpinguato i loro stomaci (posticci). Ma ha creato anche il seme della crisi, quella di sovrapproduzione, cui sei cercano di porre rimedio con la creazione di una lampadina con un’obsolescenza più a breve termine, con il fine di obbligare il consumatore ad acquistare con una frequenza maggiore e ad uniformarsi inconsapevolmente alle decisioni dell’industria.
Specchio della società inconsapevole di quanto avviene nei centri nevralgici di potere, sono gli operai che, come i consumatori, vengono trattati e nominati come numeri, da Uno a Sei. Dediti al lavoro, fedeli alla mission della fabbrica, incentivati a fare bene da discorsi motivazionali, si fermano solo nella pausa pranzo (forte è il richiamo alla memoria della fotografia del 1932 Lunch a top a skyscraper). In quei momenti raccontano la propria quotidianità fatta di famiglia e compagni di lavoro licenziati a causa della crisi economica. Quasi nessuno di loro, però, mette in dubbio il proprio essere parte di un ingranaggio produttivo che deve funzionare per il benessere di tutti. Quasi. Solo Due, infatti, ha la capacità critica di uscire dal pensiero omologato: si pone domande, partecipa ad assemblee e riferisce ai compagni. La reazione è quella conservativa della specie: pur di salvare il posto di lavoro Due subisce un climax crescente di violenza, dall’isolamento fino alla soluzione ultima, terribile.

Phoebuskartell

La vicenda, che in queste righe appare greve, in realtà è resa con toni ironici, sarcastici a tratti caustici, tanto da giungere al comico. Sicuramente è una scrittura intelligente che sa alternare riflessione e sorriso. Amaro. I personaggi sono interpretati, tornando all’idiosincrasia, seguendo il doppio binario da una parte, quella gli imprenditori, dell’amplificazione dei caratteri, tanto da richiamare alla mente l’aspetto fumettistico (che potrebbe essere maggiormente accentuato tramite la scenografia e i costumi provocando un più convincente effetto di straniazione), dall’altra, per gli operai, un’interpretazione più asciutta, misurata.
La regia è puntuale, frutto, anche, di una intelligente condivisione di idee.
Già questo basterebbe a realizzare un buon spettacolo, ma la Compagnia del Servomuto ha intervallato le diverse scene con coreografie (pensate da Sara Drago e Roberta di Matteo) accompagnate da canzoni di Kurt Weill e Hanns Eisler che molto richiamano L’opera da tre soldi Bertolt Brecht. Seppur una scelta appropriata, la quantità eccessiva di questi intermezzi rischia di togliere loro la preziosità che meritano anche in rapporto con la rappresentazione.

Visto al Teatro del Cerchio di Parma il 12 gennaio 2019

Phoebuskartell
con Gabriele Genovese, Giancarlo Latina, Michele Mariniello, Marco Rizzo, Matteo Vignati, Alfonso de Vreese
soggetto e regia Michele Segreto
movimenti scenici Sara Drago, Roberta di Matteo
musiche originali da Kurt Weill e Hanns Eisler
una produzione Il Servomuto Teatro
Finalista IN-Box 2018

 

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