RUMOR(S)CENA – VENEZIA – Una distesa abbagliante di sale ricopre lo spazio scenico – un’arena quadrata disegnata da Alessandro Marzetti e Armando Punzo – del Teatro alle Tese all’Arsenale di Venezia. Sul quarto lato insiste una sorta di lavagna segnata da un reticolo di griglie nere, pronto per essere scritto, e sparsi tutt’intorno dei grandi parallelepipedi rettangolari. Al centro, seduto, Punzo si guarda intorno, poi si alza e porge agli spettatori disposti su tre lati una sfera rossa. Lo sguardo, limpido, trasmette serenità e speranza. A poco a poco personaggi, oggetti, strane figure popolano la scena, evocativi di un universo artistico che abbraccia mondi diversi: da Fellini a Bob Wilson, dai pittori fiamminghi a Magritte, da Shakespeare al surrealismo magico di Jorge Luis Borges, dal divenire eracliteo a Nietzsche e Bergson, e a molto altro. È Naturae, l’ultimo lavoro della Compagnia della Fortezza di Volterra, che Punzo ha creato e con cui lavora da 35 anni, dal 1988.
A lui e al suo impegno con gli attori-detenuti della compagnia i direttori della Biennale Teatro 2023, Stefano Ricci e Giovanni Forte (Ricci&Forte), hanno assegnato il Leone d’oro alla carriera per premiare, scrivono, «una forma visionaria di comunicazione che distilla un linguaggio ricostruito all’ombra di un pregiudizio: lo spirito e la fantasia non hanno sbarre che contengano». E di fatto, da un luogo di costrizione nasce un progetto di libertà in senso lato. Riaccendere luce e speranza in noi, aprirsi al futuro, ricercare la felicità per gli esseri umani, vivere il sogno e trasformarlo in realtà: questo il focus di uno specifico percorso di ricerca che Punzo ha avviato nel 2015 con un primo spettacolo, Shakespeare know well, e continuato anno dopo anno fino ad approdare a Naturae, la valle della permanenza.
I personaggi in scena si muovono (su schemi di Pascale Piscina), guidati dai gesti sapienti del regista, demiurgo sollecito e incoraggiante. Alcuni incedono con eleganza e lentezza, altri fanno ruotare i parallelepipedi all’interno dei quali figure sospese tra sogno e realtà si muovono agilmente, altri ancora salgono su scale che sembrano puntare all’infinito: una compagine multiforme che agisce in sintonia con le musiche originali del sound designer Andreino Salvadori, tra i mille colori e le variegate fogge dei costumi di Emanuela Dall’Aglio, mentre una voce fuori campo distilla messaggi (la drammaturgia è dello stesso Punzo) che spronano a realizzare un progetto nuovo, quello dell’uomo felix, superando il passato e nascendo per una seconda volta. Uno spettacolo che in tempi bui ci conforta e ci sostiene.
(visto il 15 giugno al Teatro alle Tese dell’Arsenale di Venezia)
C’è un problema nella Sala Rubens del Museo Reale di Belle Arti di Anversa: l’imponente tela del pittore fiammingo, denominataLe Coup de lance (1618 ca), una crocifissione di 3 metri per 4, necessita di restauri e deve essere rimossa, ma le sue dimensioni eccedono quelle delle porte di uscita e occorre trovare una soluzione. È questo il punto di partenza dello spettacolo La terra di Nod del gruppo FC Bergman, il collettivo fiammingo nato nel 2008 dagli attori/registi/artisti Stef Aerts, Joe Agemans, Thomas Verstraeten e Marie Vinck e noto a livello internazionale per i suoi lavori ambientati in spazi grandiosi, che infrangono i consueti limiti volumetrici del fare teatro. Il collettivo, a cui è stato assegnato il Leone d’Argento alla Biennale Teatro 2023 «per il suo originale linguaggio di teatro-danza-site-specific, poetico e al tempo stesso irriverente, che rilascia una sensazione di sconcertante disagio nello spettatore», ha concepito una scenografia imponente di oltre 10 metri d’altezza, che riproduce la copia esatta in scala reale della Sala Rubens (10 metri di altezza, 28 di lunghezza, 12 di larghezza), e l’ha costruita in un hangar nella zona industriale di Marghera.
Il curatore incaricato della rimozione del dipinto, due guardie e quattro visitatori si avvicendano sulla scena senza proferire parola, ma comunicando attraverso una mimica efficacissima stati d’animo e sentimenti, in un’atmosfera sospesa tra il drammatico e il grottesco, dove gli spunti comici convivono e sopravvivono alla crescente inquietudine che promana dal concatenarsi dei fatti. A di là degli evidenti richiami alle dinamiche dei film muti o dei mimi eccellenti, come Jacques Tati, e al teatro-danza di Pina Bausch, il segno artistico è originale e illuminato da lampi di genialità. Se La Terra di Nod, il luogo dove Caino fu esiliato dopo aver ucciso Abele, è simbolica del male che travaglia l’uomo, il crescendo di tentativi maldestri da parte del curatore per creare un varco di uscita al dipinto fino a provocare il crollo di buona parte della sala, appare potente metafora dell’accanimento criminale con cui i grandi del mondo e la società tutta invece di risolvere con intelligenza i fattori di crisi ricorra alla forza, provocando la propria autodistruzione.
(visto il 17 giugno in un hangar della zona industriale di Marghera-Venezia)