RUMOR(S)CENA – MILANO – Il Tempio del futuro perduto, nuovo centro culturale milanese di sperimentazione e ricerca artistica divenuto una sorta di luogo dell’anima dedicato alla creatività indipendente under 35, ha ospitato nei giorni scorsi alcune performance di danza nell’ambito della rassegna indipendente di arti performative, denominata “Pratiche parallele”. Ed in effetti la danza contemporanea italiana, di “pratica”, soprattutto in tempi ante e post pandemici, ne ha dovuta fare tanta per ritrovare nuova linfa e ricostruire un linguaggio che potesse dare nuove energie a tutti. In particolare, ai giovani, a quelli che, nonostante le difficoltà degli ultimi anni, hanno ancora scelto l’arte della danza per continuare ad esprimersi e cercare nuovi codici per manifestare attraverso il movimento desideri, bisogni, esigenze di essere ed esistere in una società nella quale diventa sempre più difficile realizzare le proprie aspirazioni. Daniele Ziglioli, artista cremonese indipendente che ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti e premi internazionali come coreografo, dopo essere stato lui stesso danzatore solista e fondatore di compagnie nonché di diversi progetti di danza contemporanea, si è assunto ancora una volta la responsabilità di stimolare i giovani talenti della danza, aiutandoli a sperimentare nuove strade.
Lo ha fatto attraverso un progetto denominato “Theaterbox”, ideato per una ventina di giovani danzatori che si sono esibiti sabato 17 e domenica 18 giugno in una delle sale del “Tempio del futuro perduto” a Milano con due coreografie a cura di Roberta Palmisano, “Across the levels” e dello stesso Daniele Ziglioli “Born in Captivity”. Per l’occasione è stata ospitata anche la giovane compagnia di Donatella Poggio con “La ricerca del sé”, che ha danzato nella serata di sabato 17, mentre domenica 18 giugno è stata la volta del “Collettivo Nanouk”, formata da Linda Pasquini, Marianna Basso e Daniel Tosseghin, che ha danzato “The old man”.
Born in Captivity
La scatola nera illuminata solo da qualche neon posizionato a terra sullo sfondo di una delle sale del Tempio, ha fatto da contenitore alle prime due performance dalle atmosfere completamente diverse, ma nello stesso tempo contigue e comunicanti. In “Across the levels” di Roberta Palmisano i giovani danzatori, vestiti con abiti i cui colori richiamano quelli della terra e delle piante passando dal sabbia, al beige, fino ad arrivare al verde, al marrone o al mattone, appaiono sdraiati sul pavimento, come una duna di sabbia che sembra prendere vita sferzata dal vento. Appoggiati uno sull’altro, accomunati da un respiro collettivo, si alzano lentamente per poi ricadere al suolo rotolando come granelli di sabbia oppure schizzando in aria come se fossero loro stessi colpiti da una folata di vento. Poi cambiano livello e dal flow work, dal lavoro a terra, cominciano ad alzarsi, a prendere forma “umana” e a stare sulle proprie gambe, diventando esseri umani. Cominciano a giocare tra loro, emettendo suoni, a volte pronunciano parole di senso compiuto, altre volte si fermano per ascoltare quando qualcuno di loro prende l’iniziativa e comincia l’interazione. La coreografia è quasi sempre corale e a fare da sottofondo musicale la struggente musica che Philip Glass scrisse per il celebre film “The hours”.
Daniele Ziglioli
Dal contatto con la natura ricercato in “Across the levels”, si passa invece all’introspezione e all’esplorazione del proprio io, pur non perdendo la dimensione corale del gruppo, nella seconda performance di Danile Ziglioli e intitolata “Born in Captivity”. Qui le ballerine e i ballerini, vestiti in total black con pantaloni e camice, qualcuno in abito corto sempre nero, cominciano a danzare in gruppo compiendo all’inizio movimenti energici in sincronia, simili a guerrieri in lotta con se stessi e con gli altri, come nel tentativo di volersi liberare da uno stato di prigionia, da uno stato di cattività appunto, che nella stragrande maggioranza dei casi si riferisce alla prigionia degli animali selvatici. La loro esigenza di libertà si esprime attraverso movimenti inizialmente ripiegati su stessi, contorti, che dalla chiusura vanno alla ricerca delle linee e dello spazio, nel tentativo di trovare una modalità di comunicazione attraverso corse, incontri, sollevamenti, cadute, intrecci di braccia e di gambe. In certi momenti alcuni di loro si staccano dal gruppo per cominciare dei passi a due che a volte sembrano trasformarsi in una lotta per prevaricare sull’altro, oppure in un incontro per esprimere un tentativo di amicizia o di esperienza amorosa. Per concludersi in uno struggente passo a due uomo–donna che vorrebbe finire con un abbraccio, ma nell’impossibilità di poterlo realmente realizzare. L’appartenenza al gruppo, si scontra da un lato con il desiderio di libertà e dall’altra con la fedeltà a se stessi, ma con il desiderio di poter trovare con contatto con l’altro che sia reale e non falso. Nell’insieme le due coreografie create da Daniele Ziglioli e Alberta Palmisano fanno viaggiare questi giovani danzatori dall’esterno, all’interno, da ciò che sta fuori a quello che sta dentro di loro, dalla natura allo spirito, dalla realtà alla fantasia, dall’espresso a ciò che è più difficile comunicare con le parole, perché invece il corpo non può mentire. Il pubblico apprezza e riflette e non può che trarre la conclusione che la danza contemporanea riflette inevitabilmente l’incertezza e l’inquietudine dei nostri tempi.
Visto al Tempio del futuro perduto di Milano il 17 giugno 2023