MILANO – La Fashion Week milanese ha propiziato l’incontro, bonariamente complice Matteo Garrone, tra lo stilista messinese Fausto Puglisi e il regista teatrale napoletano della Compagnia della Fortezza e direttore artistico di Volterra Teatro, Armando Punzo, che si ritrovano, dopo una prima uscita a Pitti Uomo, nello spazio dell’ex Derby di Via Mascagni, già popolare sala cinematografica destinata ai film per ragazzi, a due passi dal Conservatorio “Verdi” e in uscita da Piazza San Babila. Le immagini e i clip della sfilata, documentata dal web e dai social media, quasi uno streaming in differita dell’evento, alla quale ha assistito anche Anna Wintour, direttrice di Vogue, conosciuta ai più per essere stata ritratta da Meryl Streep, nel film “Il diavolo veste Prada”; consegnano un’idea “fatta e finita” della sfilata, dei vestiti e della sua messa in scena, fortemente debitrice – da un lato dell’immaginario più “iconico” (scomodando termini cari alla “settimana” modaiola) della “Fortezza”: da “Marat” a “Santo Genet” (tra i “modelli in gabbia” Nicola Esposito, uno degli attori-detenuti della Compagnia), insufflato però nella biografia, soprattutto adolescenziale, a leggere le sue dichiarazioni rese dallo stilista siciliano.
È questo uno dei punti sostanziali dell’intero programma e della sua riuscita, testimoniata anche nei video dai frequenti applausi. Il dietro le quinte per aver potuto assistere alle prove ha permesso di rendersi conto del caos organizzato di modelli, attori, light designer, ingegneri del suono, truccatori, che come atomi impazziti, occupavano l’intera scena senza minimamente scalfire lo stretto e fitto dialogo, spesso fatto di silenzi, occhiate e quasi bisbigliati scambi d’opinione tra Punzo e Puglisi, e le impartizioni di ordini e di spostamenti di oggetti di scena o di cambio e incroci di movimenti. D’altronde, pur nella voluta dimensione teatrale, una sfilata di moda resta, a torto o a ragione, bloccata nel suo format concettuale, talvolta ideologico, per non dire commerciale. Tutto ciò però è la dimostrazione di un lavoro che, pur svolto su diversi piani (il teatro è spesso evocazione, la moda a dar retta a Leopardi è incessante alternanza di caducità e rinnovamento), è riuscito a contaminarsi sul terreno di comuni radici piantate proprio in un vissuto meridionale fatto di festa e lagrime, comandamenti e trasgressione, presenze mai ostili in una quotidianità presente più nella memoria, che nel viver d’oggi, se non in remote manifestazioni. Questo forse è il filo, segreto clandestino e non rigettato né dal mondo della moda (modelli, vestiti, make-up) né dal teatro (attori, costumi, trucco e parrucco), confratelli di un esperimento che troverà nuove e future applicazioni.
Visto a Milano per la Fashion Week il 21 settembre 2016