SESTO FIORENTINO (Firenze) – E se il mondo fosse dominato da tori e orsi e noi fossimo ridotti a maiali e pecore pronti per il sacrificio? Patogeno, di Albert Ostermaier, per la prima volta in italiano grazie alla compagnia del Teatro Sotterraneo, ci introduce nell’universo non-sense del mondo dell’alta finanza, ben più spietato della fattoria degli animali di orwelliana memoria. Protagonista un trader di Wall Street (impersonato da Claudio Cirri), perfetto esempio di quell’arrivismo neoliberista che specula su tutto. Dalla siccità in India che miete migliaia di vittime ma potrebbe far rialzare le quotazioni del cotone; alla vendita di titoli spazzatura che mandano in fumo i risparmi dei pensionati; passando per la proposta indecente di derivati che azzerano le casse dei Comuni. Questo individuo, oggi, si trova rinchiuso in una camera sterile; ammalato per la prima volta nella sua esistenza virale; affetto da un patogeno non meglio identificato; in preda a ricordi sempre più dolorosi, che lo assalgono con la ferocia di brividi fino all’allucinazione.
Fuori, per curarlo ma, soprattutto, per analizzarlo come fosse un insetto – una di quelle vespe che il trader, da bambino, rinchiudeva nei barattoli – Sara Bonaventura. Con un linguaggio tecnico e il piglio della ricercatrice, questa figura femminile a metà strada tra il medico e il motivatore, ci descrive la risibile ascesa e caduta del trader. Il traffichino che scommette soldi propri, soprattutto in operazioni altamente speculative, come lo scalping (cioè la compravendita di titoli nel giro di un minuto o anche meno). Perché essere un vincente è l’unico diktat. Anche a scapito di pecore e maiali – ossia nostro. E poco importa se si scommette sul buon andamento di un titolo (come fanno i bull, che acquistano in vista del guadagno che otterranno rivendendo al rialzo), o sul suo crollo (come è d’uso tra i bear, che vendono allo scoperto, ossia prima di avere acquistato un titolo al ribasso). Ciò che conta è cavalcare l’onda per potersi comprare un pezzetto di sogno americano, fatto di villette in stile American Beauty, due auto nel garage, scuole private e lezioni di musica per i figli, televisione a schermo piatto e l’ultimo modello di iPhone.
Ma qualcosa si è rotto nel meccanismo sofisticato che è il cervello del trader. Un virus lo ha contagiato, rendendolo debole e malmesso. Un perdente. E questa società non può permettersi di essere infettata a sua volta. Questa società arrivista ed egocentrica, dove domina il dio denaro e la felicità si valuta in base ai consumi. Dove una donna può rinchiudersi in casa un mese intero per non farsi vedere dai vicini, che altrimenti scoprirebbero che non può permettersi una vacanza. Nel monologo di Cirri si alternano squarci sul suo mondo lavorativo, privo di amicizie; ricordi d’infanzia; frammenti di conversazioni con la moglie, altrettanto distante quanto un estraneo con il quale si condividano il letto e gli oggetti di consumo; una carezza per la figlia che sarebbe potuta diventare… cosa? I pensieri si fanno sempre più concitati, le ossessioni si rincorrono fino a giungere al parossismo, mentre il corpo deperisce e la mente si confonde.
Cirri dimostra un talento straordinario e la sua prova attorale è eccellente. Il gorgo lo fagocita e, come tanti antieroi cinematografici, anche al trader non resta che una scelta. Si è giocato tutto. Casa, auto, polizza assicurativa, presente e futuro. Non gli resta niente. E lui fa piazza pulita anche di loro: quella moglie che acquista tulipani ben sapendo che lui li odia, quella figlia che non sapremo mai che persona sarebbe potuta diventare. Ma la tragedia non arriva alla pancia. Il linguaggio si mantiene alto. Anche nei momenti in cui sembra venir meno la lucidità, non si giunge a un climax. E qui, forse, risiede l’unica pecca di questo testo suggestivo e oltraggioso, bello ma ostico. Si fatica a comprendere l’atto fatale. La polisemia e la densità dell’enunciato sono tali che quando il pubblico dovrebbe sentirsi chiamato a essere spettatore dell’eliminazione del reo (di quel cancro che la società deve estirpare dopo averlo creato con le sue stesse cellule degenerate), l’orrore non suscita un grido di pietà o di rivolta. La camera sterile si trasforma in camera a gas ma noi non ce ne accorgiamo.
Spettacolo da rivedere più volte per scoprirne appieno i significati.
Visto al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, venerdì 23 ottobre
Teatro Sotterraneo/Intercity Festival
in collaborazione con il Goethe-Institut Italien
Patogeno
di Albert Ostermaier
traduzione Alessandra Griffoni
regia Teatro Sotterraneo
con Sara Bonaventura e Claudio Cirri
consulenza luci Marco Santambrogio
scene Eva Sgrò
prima assoluta in italiano