MILANO – E’ la parola a prendersi la scena ne “I vicini”. La parola di teatro, la “parola recitata” – con questo accostamento Fausto Paravidino definisce la drammaturgia – parola per attori. E dal verbo all’immagine, dall’immagine alla scena, dalla scena alla compiutezza armonica di tutti gli elementi di costruzione di uno spettacolo. Principiando dalla parola, la parola recitata.
Un tragicomico con epilogo grandguignolesco, macabro, potrebbe essere definizione adatta all’opera di Fausto Paravidino. Ma anche quella di teatro dell’assurdo di sfumature Pinteriane, sicuramente d’eco anglosassoni nella dialettica in bocca agli interpreti e nelle trovate e nelle soluzioni di apporto narrativo all’ossatura drammaturgica. Ma anche quella di dramma borghese di sferza contemporanea, scattante, capace di descrivere interni umani e spaziali. Apparentemente è la coppia sotto i piazzati a rappresentare l’elemento tematico di conduzione. La quotidianità, l’intimità, scoperta (svestita) dal teatro, per il teatro: come togliere un manto su una gabbia d’uccelli. E’ un pretesto, invece, per dire dell’uomo e delle sue interazioni, delle paure, dei blocchi, dei cliché, delle noie, delle influenze subite e apportate. L’uomo essere influenzabile, plasmabile, manipolabile e non solo per una questione di natura. L’uomo rappresentabile con piglio surreale per decifrarne, senza appesantire, comportamento e struttura. Personale e sociale.
E la parola come mezzo espressivo, non solo vocale, ma etnico, di linguaggio scenico, di costruzione meccanica, di ossatura portante di un intero spettacolo. A questo si unisce un disegno sobrio e esteticamente delizioso di scene di Laura Benzi. una regia puntellata e sapiente (maturazione rispetto a precedenti lavori in cui rappresentava forse un neo), delle fibre narrative a intervenire a compiere una composizione drammaturgica superba (Premio Hystrio nel 2013). Partitura di dialoghi fulminanti, atmosfere cechoviane, poetica che definiremmo elegiaca non si trattasse di stesura drammaturgica e quindi brevità incisiva e dialogare più sospeso e profondo quando richiesto dalla circostanza scenica. Personaggi tipicizzati da una caratterizzazione specifica e mutevole in corso d’opera, indice del segno tematico incidente sulla trasposizione in corso. Mutevolezza dell’essere e mutevolezza di scena.
Proprio la mutevolezza d’animo caratterizza un misantropo e tentennante lui di una coppia (senza nome quindi senza identità né forma) timoroso di ciò che c’è al di là della porta di casa. Un’altra coppia, in questo caso, nuovi inquilini in sostituzione di una defunta vedova… con i quali Greta (la lei di lui) sembra trovarsi particolarmente a suo agio e particolarmente socievole si dimostra anche Chiara, la vicina che fa coppia con un “marito” vitellone e fascistoide dalla tipologia virile/tamarra. I contatti tra i dirimpettai diventano eccessivi e surreali. Per intensità, intimità, confidenza, trasgressione, civetteria. Inevitabile il corto circuito verso il finale: ribaltato viene il livello di azione costruito e percepito fino ad allora, in un coupe de theatre a più soluzioni. Forse leggermente sottotono rispetto al ritmo e allo smalto avvertito precedentemente, senza nulla togliere alla brillantezza complessiva dell’opera. Paravidino conferma il suo talento scenico. Drammaturgico e non solo. La dimestichezza dello stare sul palco o dello scriverne come fosse naturale, non è della moltitudine.
I vicini
di Fausto Paravidino. Regia di Fausto Paravidino. Scene di Laura Benzi. Costumi di Sandra Cardini. Luci di Lorenzo Carlucci.
Con Iris Fusetti, Davide Lorino, Fausto Paravidino, Sara Putignano, Monica Samassa.
Prod. Teatro Stabile di Bolzano
Visto il 13 febbraio 2015 al Teatro dell’Elfo Puccini – Milano