E l’umanità fini dentro una discarica. Se si considera che la maggior parte delle cose che appartengono all’uomo, una volta consumate, finiscono nelle discariche, la frase ha un suo senso. Tutto quello che noi produciamo diventa alla fine un qualcosa di cui disfarsi. Un ciclo continuo dove la legge del consumismo ti fa acquistare e possedere per poi distruggere. In una discarica ci finisce dentro anche Scatorchio, un essere umano molto particolare per aver scelto, come dimora un cassonetto dei rifiuti, metafora di quella grande discarica che nel suo passato era la città da cui proviene. È un uomo molto particolare e parla uno strano idioma incomprensibile per chi abita nella civiltà lontana dai miasmi e dagli scarti che lui stesso ha contribuito a produrre. È il protagonista di Scatorchio Blues, interpretato da Luca Marchiori e costituito dalla recitazione di brani tratti da “Groppi d’Amore nella Scuraglia” di Tiziano Scarpa (Einaudi) senza alcun tipo di modifica al testo originale. Nella sua fedeltà letteraria, la Compagnia ilinx Officine Artistiche, ha creato attraverso un abile montaggio drammaturgico, un avvincente monologo teatrale il cui protagonista, è appunto, Scatorchio.
Un uomo “gnorante, nucente, appurcato”, quanto dotato di un’umanità dolente e commovente. Un reietto se lo vogliamo vedere come uno confinato ai margini della società che espelle tutto quello che non è più funzionale al suo interesse egoistico e superficiale. Si è rifugiato dentro un mondo tutto suo dove può esprimere il suo bisogno di vivere, la dove la vita viene scartata e macerata. Metafora che può stare a significare come gli esseri umani, in condizioni di emarginazione e povertà, cerchino la sopravvivenza anche in condizioni di vita estrema. Scatorchio si trova in questo posto dimenticato dagli uomini e da dio per una scelta d’amore “finita tra le macerie” e qui ulula il suo “doglio d’ammure”. Ci è finito dopo aver appoggiato un sindaco corrotto che in cambio dell’installazione di un ripetitore televisivo ha permesso l’apertura di una discarica. Si agita come uno scalmanato in preda a deliri dove gli appaiono visioni fantasmatiche, è un uomo inquieto e adirato contro tutto e tutti. Il mondo non gli appartiene più e lui si ribella da dentro quel rifugio scomodo. Da quell’antro di plastica inveisce contro Cicerchio, il suo rivale d’amore. Si rivolge a Gesù, alla Madonna che chiama “Maronna”, a “Iddio Patro”, e all’umanità che poi siamo noi. Quelli che lo hanno scartato come una cosa vecchia da gettare via, come un rifiuto ingombrante.
Scatorchio, ci costringe ad interrogarci dentro di noi e se lo facciamo troviamo cose che ci disturbano e non vogliamo vedere. Scatorchio è un bravissimo Luca Marchiori, grazie ad una performance espressiva -corporea da riuscire a sopportare la fatica dentro uno spazio angusto e scomodo, vive in mezzo a rifiuti di ogni genere, reali, trovati e recuperati frugando nelle discariche. A farli compagnia ci sono due strani personaggi, simili ad uomini delle caverne vestiti di pellicce animali e dotati di maschere antigas. Ma è solo un’apparenza: in realtà sono due ottimi musicisti, Mattia Airoldi ( voce solista melodiosa e suadente) e Luca Piazza del gruppo The Please, che danno prova del loro talento suonando tutto quello che si trova sparpagliato sulla scena. Sono i “Surci Pantecani”, gli abitanti tipici delle discariche. Un posacenere di metallo che toccato con dolcezza tramite un pestello di legno emana suoni orientali. Una ruota di bicicletta, spazzole per lavare i panni, tutto si trasforma in uno strumentario musicale che affascina e addolcisce la vita di Scatorchio.
L’abile regia di Mariarosa Criniti e Nicola Castelli (le luci sono di Andrea Morarelli) sfrutta rispettosamente le potenzialità del testo di Scarpa, là dove la commistione tra ironico e poetico, crea un’atmosfera sospesa tra sogno e realtà, dai confini labili e si eleva a preghiera, quando Scatorchio parla ad un Dio protettore dei reietti e degli emarginati. Le razze che albergano solo in quel posto. La bravura dimostrata dal gruppo dei ilinx, nel trasporre con la loro cifra stilistica che gli appartiene, il testo di Scarpa, è segno di una serietà drammaturgica e recitativa da meritare un giudizio positivo a pieni voti. Un lavoro come questo merita spazio in rassegne teatrali dedicate al teatro di ricerca.
(crediti fotografici di Alessandro Di Consoli)
Visto nella Sala Civica di Rho per la rassegna Teatar ad Alto Tasso Artistico il 15 aprile 2012