Culture — 25/06/2013 at 05:26

Un Festival della Filosofia dove “l’avventura d’esser sé” parlava anche di Peer (Gynt) e “le storie di un ladro di storie”. Filosofia e Teatro a confronto al Teatro Massimo di Cagliari

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La filosofia piace. Non è una banale affermazione quanto una percezione registrata nel corso della seconda edizione del Festival L’avventura d’esser sé identità, verità e finzione, andato in scena sul palcoscenico del Teatro Massimo di Cagliari, sede del Teatro Stabile di Sardegna. La manifestazione si è aperta da una conversazione/dialogo a due voci dal sulfureo Alessandro Bergonzoni e Oliviero Ponte di Pino. La filosofia animata da ospiti illustri, cattedratici provenienti da prestigiose sedi americane ed europee, dibattiti e conferenze intervallate da uno spettacolo teatrale in cui si sono visti impegnare le risorse culturali, formative e artistiche della città: “Peer, storie di un ladro di storie. Viaggio nel Peer Gynt di Ibsen, con la regia di Guido De Monticelli e gli attori del Teatro Stabile della Sardegna, gli studenti dell’Università di Cagliari. Un progetto visivo degli studenti di Facoltà di Ingegneria e Architettura e le musiche eseguite dagli allievi del Conservatorio di Musica Pierluigi Da Palestrina.

Il valore aggiunto dato dalla partecipazione dei futuri architetti, musicisti e maestranze artistiche in grado di poter lavorare in futuro anche nel campo dello spettacolo. Ardua impresa ma lodevole se si pensa a quanto siano scarsi gli investimenti nel campo della formazione e della cultura in generale. Un’esperienza fuori da un’aula per cimentarsi nella produzione e messa in scena accolta con entusiasmo. Lodevole sforzo da parte di chi organizza il festival. Idee e pensieri a confronto mediate dal teatro. Da qui nasce la riflessione su quanto visto sulla scena e l’esito complessivo per nulla scontato. La scelta di rappresentare il Peer Gynt di Ibsen, fucina di idee dove si raccordano e si intrecciano i pensieri filosofici ed esistenziali dell’uomo stesso, orizzonti sconfinati della creatività, discipline concorrenti con l’obiettivo di sondare l’animo umano nelle sue infinite implicazioni materiali e spirituali. Un autore teatrale sapiente e illuminato dove il suo merito assoluto è stato quello di affrontare tematiche abitualmente indagate dalla psicanalisi piuttosto che dalle scienze umanistiche.

Il Peer Gynt rappresenta una forma drammaturgica aperta dove è possibile far interagire immaginazione, frutto della fantasia, alla realtà che si pone interrogativi a cui l’uomo moderno è ancora chiamato a rispondere. Il teatro di Ibsen permette una conoscenza decifrabile attraverso la sua drammaturgia, di quelle tematiche da sempre al centro dell’analisi e dello studio dell’uomo. La mescolanza tra le conversazioni filosofiche che si succedevano a ritmo continuo hanno permesso di creare un’atmosfera di partecipazione entusiasta tra il pubblico sempre numeroso e partecipe. Il Peer Gynt diventa il pretesto di un “viaggio” dove raccontare “storie di un ladro di storie”… parole accattivanti che spiegano come “rubare” dal capolavoro ibseniano possa diventare occasione preziosa per far conoscere quanto sia difficile scoprire chi siamo e di come l’identità di sé dove si assistono a svariate forme di rappresentazione. È un viaggio nelle profondità del sé, una discesa nei meandri più oscuri dell’intero scibile umano.

Un labirinto dove perdersi e ritrovarsi in continuazione mutando la propria identità che si fa specchio rifrangente. La messa in scena di Guido De Monticelli è l’esito di un progetto multidisciplinare molto diversificato. Le diverse realtà artistiche e culturali, oltre che formative universitarie, hanno contribuito a realizzare l’allestimento dove la partecipazione di giovani allievi ha permesso loro di confrontarsi con professionisti. L’intento di dare corpo e anima ad una versione giovanile, forse anche acerba per alcuni aspetti, vista l’età dei giovani artisti spinti da sincero entusiasmo. Entrare in punta di piedi nel Peer Gynt è doveroso quanto necessario affinché si possa carpire lo spirito di quello che è stato definito a ragione un “poema di idee” dalle mille implicazioni dove convivono moti d’animo diversi tra loro. L’agire dell’uomo che lui stesso indaga (materia della psicanalisi che studia la ragione) e ricerca parti di sé tra “identità e finzione” è il tema conduttore del festival.

Lo spettacolo così come è stato concepito ha il pregio di esaltare la creatività di molte forze artistiche a cui è stata offerta la possibilità di farsi conoscere. La conduzione registica lascia libertà alle voci artistiche poi assemblate insieme senza una linearità precisa. Un’impresa ardua se si riconosce come sia stato impegnativo gestire energie così diversificate tra di loro. Il Peer Gynt viene raccontato nei primi due atti; mentre è nel terzo capitolo che avviene la scena della morte della madre e della fidanzata di Peer, la quale attende il suo ritorno. Figure che si compenetrano in qualche modo, quasi due anime della stessa persona, dinamica che coincide con il ritorno al materno, al tema del femminino. La morte della madre chiude il terzo atto   ma inserire sullo sfondo la figura della donna che ama Peer, in realtà non prevista che alla fine dei cinque atti. La distinzione tra contributi artistici e creativi è caratterizzata dall’energia espressa dai giovani nella sede del Teatro Stabile della Sardegna. Il Festival della Filosofia ha permesso agli studenti che si affacciano sulla ribalta della società attuale, di partecipare ad un’occasione importante di mostrare il loro talento. Il distinguo nasce dalle varie firme come quella dei costumi di Adriana Geraldo: belli e dotati di una loro drammaturgia visuale che emergeva prepotentemente. Colorati e vivaci davano quella giusta connotazione fantasmagorica e fiabesca che attraversa la storia intera del Peer Gynt. Non altrettanto convincente la parte scenografica tendente a riempire la scena, senza però avere una sua caratterizzazione precisa – quanto invece – un affastellamento di linee architettoniche e arredi scenici, tali da creare un po’ di “confusione” alla vista. Le musiche di scena eseguite dagli studenti del Conservatorio “Pierluigi da Palestrina” con grande slancio per impegno e quel talento ancora in via di definizione per necessità di studio e formazione. Non ultima la recitazione degli attori, dove la bravura consolidata di Sara Zanobbio esercitava il suo fascino, insieme ad un Peer Gynt interpretato da un bravo Simone Toni, capace di suggestionare nelle sue mirabolanti imprese.

Il personaggio che riveste è la rappresentazione plastica della visionarietà di Ibsen, in grado di materializzare i vissuti di un uomo alla ricerca esasperata e affannosa, segno inequivocabile di un’inquietudine esistenziale. Giustamente il regista De Monticelli definisce Peer un “ladro di storie …di volta in volta, il narratore o il personaggio, o tutti e due insieme”. Speculare a se stesso è un uomo in grado di raccontare e raccontarsi avventure e imprese mirabolanti. Rubare significa immergersi in mondi fantastici quanto realistici per una sublime legge che sfugge ad ogni razionale spiegazione. Peer vive in mondi paralleli e questo suo peregrinare in giro per il mondo permette di raccontare come l’uomo sia sempre alla ricerca di una sua legittimazione che non giungerà mai del tutto. Il bambino cresciuto e divenuto adulto non cesserà mai di esistere. L’arte e l’artista forse è quello che si avvicina di più a questa condizione di perenne sognatore ad occhi aperti. Dice bene Roberta De Monticelli, curatrice del festival insieme a Pier Luigi Lecis, quando afferma che il giovane Peer “inventore dei possibili, il pensiero (filosofico, poetico, teatrale) vive soltanto immerso nel potenziale della giovinezza… “. Il Festival di Cagliari alla sua seconda edizione è giovane ma promette di crescere e maturare e consolidarsi come una della manifestazioni culturali e non prettamente solo dedicata alla filosofia in senso stretto, tra le più originali e interessanti d’Italia. La sua attuale “giovinezza” la si poteva riscontrare anche a vista d’occhio, con la partecipazione numerosa di studenti universitari ma non solo.

Il pubblico così eterogeneo comprendeva tutte le generazioni e questo è un merito che va riconosciuto agli organizzatori di aver saputo intercettare l’interesse di chi è un semplice appassionato, intellettuale curioso, fino al cultore della materia e infine personalità del mondo accademico. Nomi quali Maurizio Ferraris, Achille Varzi, Vittorio Gallese, Filippo Maria Ferro e Pierluigi Leccis che insieme a Roberta De Monticelli, hanno parlato de “La ghianda e la cipolla. Dialogo sull’identità personale”. Lo sfogliare una cipolla (metafora utilizzata anche per comprendere la/le personalità del Peer Gynt) intende soffermarsi sul concetto di sé come qualcosa di inafferrabile, difficilmente se non impossibile riconoscibile. Lo afferma nel programma del festival la De Monticelli quando spiega nel suo intervento di aver preso spunto “dall’immagine forse centrale del Peer Gynt, quell’anima che si sfoglia come una cipolla e non trova mail nocciolo duro, la piccola ghianda da cui crebbe la quercia, secondo un’immagine quasi altrettanto famosa di James Hillman nel suo Codice dell’anima”, dove la sua idea è quella di un essere umano dotato di una sua specificità o ancor meglio unicità, della quale però dobbiamo individuare e decifrare e visto che esiste fin dal principio è qualcosa di intrinseco alla vita stessa. Un viaggio che dobbiamo condurre dentro e fuori di noi e “il viaggio di tutti i viaggi” è la definizione usata dalla filosofa per definire anche il Festival, inaugurato nel segno degli Ulissidi a cui affianca la figura del Peer Gynt come discendente per antonomasia. E per parlare de “La stirpe degli Ulissidi” è salito per primo sul palco del Teatro Massimo, un uomo capace di far viaggiare la sua mente e quella dei presenti in sala, Alessandro Bergonzoni intervistato da Oliviero Ponte Di Pino. Autore e attore teatrale, ruoli però che risultano definizioni marcatamente insufficienti, tant’è vasta la sua poliedricità nel raccontare attraverso il pensiero e le sue idee, la vita dell’uomo, le sue aspirazioni, la realtà dei fatti in cui ci si accorge (dopo l’ascolto del suo infinito eloquio) come la realtà venga distorta e falsificata dalla politica, da noi stessi, da una società incapace di reagire e di difendere i propri valori etici e morali ormai destinati all’oblio.

Un Festival intervallato da intermezzi gyntiani per dare modo ai dialoghi dei relatori di restare collegati al capolavoro poetico di Ibsen, definito da Claudio Magris come “il più grande e disilluso poeta del disagio della civiltà”. Uno dei dialoghi più interessanti e seguiti con partecipazione dal pubblico cagliaritano si è rivelato quello di Remo Bodei (professore di filosofia all’University of California di Los Angeles, e in passato alla Normale Superiore di Pisa), che insieme a Antonio Delogu, (già ordinario di Filosofia morale e attuale docente di Antropologia Filosofica all’Università di Sassari), hanno dato vita ad una dissertazione dal titolo L’ultimo elefante. Poesia e verità. Il tema verteva sulla verità e la poesia del divenir se stessi. Bodei ha spiegato come lo stesso «Peer Gynt non si pone il dilemma di chiedersi “chi vorrei essere” e i personaggi reali o immaginari si vengono a creare attraverso la poesia, i romanzi, il teatro e mediante gli strumenti di identificazione e disentificazione. L’aspirazione a essere se stessi non è riferibile ad una costruzione definita ma risulta come un cantiere aperto. Peer Gynt ha sempre cercato di essere se stesso e viene guidato dal proprio io, rifiutandosi di portare il peso della sofferenza – ha spiegato il filosofo – non considerandosi come un cammello che porta i dolori degli altri. Lui vuole godere della sua vita ed è votato al piacere».

Bodei consiglia di ricercare la verità di noi stessi e cita San Paolo nella Lettera ai Corinzi dove pone il quesito cosa significa essere se stessi e la necessità di cercare sé stessi. Freud invece nel suo saggio “Il poeta e la fantasia” si poneva la domanda che chiede: “ Devo accettare come sono o devo cambiare?” Il relatore si è poi soffermato sul problema del “sé stesso nascosto” definito come un “conglomerato di tante vite degli altri, un repertorio di vite possibili sterminato, in cui convivono aspetti di antipatie e simpatie, migliaia di personaggi da imitare e evitare e una quantità enorme di trame”. Una riflessione molto acuta supportata anche da un’analisi che si estende anche al presente dove noi stessi ci alimentiamo attraverso gli strumenti attuali disponibili, quali l’internet, la radio e la televisione, e facebook, ha proseguito Bodei dando un significato al suo discorso con una suggestiva tesi: “Facciamo di questa nostra esistenza un’accettazione continua di vite altrui e alla fine siamo molti. La molteplicità ci forma contemporaneamente ci nasconde”.

Teatro Stabile della Sardegna

Teatro Massimo di Cagliari

in collaborazione con l’Università degli Studi di Cagliari

2º Festival di Filosofia

L’avventura d’esser sé identità, verità e finzione

3-6 maggio 2013

a cura di Roberta De Monticelli e Pier Luigi Lecis

con Alessandro Bergonzoni, Remo Bodei, Duilio Caocci, Roberta De Monticelli, Antonio Delogu, Filippo Maria Ferro, Maurizio Ferraris, Vittorio Gallese, Giulio Giorello, Pier Luigi Lecis, Ignazio Macchiarella, Michela Murgia, Maria Giovanna  Piano, Achille Varzi

 

 

 

 

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