BUTI – Giovani e anziani, genitori e figli, sul palco del Francesco Di Bartolo per raccontare a se stessi e al pubblico – composto di vicini e parenti – la vita quotidiana di Buti in quei giorni del 1972, quando arrivò in macelleria una grande novità: la carne congelata. Il teatro non sempre è performance attorale o macchinari e scenotecnica. A volte è più semplicemente, forse più veracemente, luogo di incontro di una comunità, fonte di rispecchiamento delle proprie esperienze, occasione per rivivere memorie ormai sopite. Questo lo scopo, decisamente raggiunto, da La carne congelata, spettacolo amatoriale che ha riempito il Francesco Di Bartolo con i cittadini di Buti, in parte sul palco a raccontare la vita minuta di casalinghe e studenti, compagni di partito e avversari politici, amici del bar e anziani in pensione; e in parte in platea, a sorridere, suggerire, approvare e applaudire, contenti di sentirsi davvero protagonisti, per un giorno, di una storia che, seppure raccontata su un palco, non è specchio di tragedie passate o immagine di luoghi esotici, bensì della loro esistenza personale e collettiva.
La trama, che si sviluppa in una serie di quadri che danno modo a tutti i 26 interpreti di avere un loro piccolo ruolo da protagonisti – come accade nella vita dove, nel bene o nel male, alla fine siamo noi a vivere e il mondo è solo quello che il nostro occhio vede e la nostra mente comprende – si sviluppa su poche giornate, che raccontano attraverso gli incontri casuali in paese, il ritrovo nel bar o nella sezione del partito comunista, la piazza e il locale occupato per fare teatro di strada, la sorpresa per l’arrivo di un prodotto – la carne congelata – che è ormai talmente parte della nostra vita quotidiana, da non sembrare più “artificiale” – ossia frutto di uno studio e di una lavorazione. Chi si ricorda, infatti, i tempi in cui le uniche carni disponibili erano quelle della gallina, quando diventava troppo vecchia per fare le uova, o di qualche coniglio?
Ma questo fatto in sé trascurabile – e che, pure, ha contribuito a cambiare i costumi e le abitudini alimentari di un intero Paese – si intreccia con altri decisamente più importanti. L’entrata in massa nelle fabbriche – in questo territorio, alla Piaggio – e l’abbandono, nel caso di Buti, delle attività agricole e dell’antico mestiere di cestaio; o il caso di Franco Serrantini, del 7 maggio 1972, che – come Stefano Cucchi – muore mentre è detenuto in carcere, ossia affidato alla giustizia italiana. Fatti rilevanti, questi, anche a livello di quella Storia con la S maiuscola che, però, nello spettacolo sono declinati con estrema semplicità, scegliendo di raccontarli come parte di conversazioni casuali, in quei dialoghi da strada su come si cucina la nuova carne congelata; tra i bonari pettegolezzi sui giovani innamorati; e nei piccoli scontri ideologici tra coloro che sanno che cos’è stato il Fascismo e quelli che si autodefiniscono democratici perché hanno il “coraggio” di dare libertà di parola anche agli stessi fascisti che, se arrivassero al potere, stroncherebbero quella libertà immediatamente – in breve, i prodromi della deriva della sinistra italiana.
Sebbene la recitazione sia amatoriale, come abbiamo già scritto, il testo è ben congegnato e la miscellanea di argomenti non svilisce i contenuti bensì dà un quadro veritiero del nostro vivere, che è lontano dalla filata tragica e più simile a quell’eterno incespicare (cantato anche da Guccini) che si applica bene sia all’esistenza sia a quell’affastellamento di pensieri che si susseguono nei nostri discorsi quotidiani.
Una bella iniziativa che riconferma Buti come un piccolo paese toscano vivace, dove la gente ama ancora riunirsi, confrontarsi, ridere e raccontare.
Visto al Teatro Francesco Di Bartolo di Buti, domenica 24 maggio, ore 17.00
Compagnia Teatrale Francesco Di Bartolo
La carne congelata
di Elisabetta Dini ed Enrico Pelosini
con 26 attori di Buti