NAPOLI – Un sipario dipinto a mano compone un collage di grandi réclames e insegne della Parigi di metà Ottocento, festa di colori e seduzioni: annuncia la frenesia e il godimento che circoleranno nelle scene della “Traviata”. Ma, prima di far entrare i sensi del pubblico nel vortice, esso si alza su una surreale corona di dieci ombrelli tenuti aperti da uomini eleganti, quasi un dagherrotipo di Nadar o un presagio di Magritte: circondano una giovane donna ripiegata su se stessa nella fine della vita. La scenografia di Ezio Frigerio per il nuovo allestimento al teatro di San Carlo di Napoli del capolavoro verdiano – in scena fino al 20 giugno, dal romanzo di Alexandre Dumas fils, “La Dame aux camélias” –, dopo questo incipit si abbandona nello sfondo di un permanente velatino rigato da una pioggia d’acqua vera: l’unica concessione alla tecnologia è questa cortina elegante di lacrime, dolore, emozione profonda e senza conforto. Il gioco di contrasti continua nel corso dei tre atti mostrando sul palcoscenico solo oggetti essenziali, funzionali (un lungo tavolo, una sedia a rotelle, una dormeuse non un letto), ma convoca dietro quell’immenso velo apparizioni di baldacchini, di sipari di velluto cremisi e oro, prospettive spalancate sul potere/lusso borghese.
La musica di Verdi non dà tregua alla storia, travolge il libretto di Francesco Maria Piave come se la corrente passasse diretta tra suono e sentimenti. E’ drammatica, intrisa di sublime romanticismo, amore, dolore, tradimento, e povera umanità. Con una scelta opposta rispetto a regie “firmate” che talora violentano il melodramma ottocentesco, quella di Lorenzo Amato si dichiara “semplice, affettuosa” e lascia respirare musica, trama, gioco viscerale e puro delle voci. Violetta Valéry, alias Margherita Gautier, alias Marie du Plessis, è alle prime rappresentazioni il soprano Nino Machaidze, stella georgiana dai toni alti d’incanto; l’amante Alfredo Germont ha la voce calda e la voglia d’amore del tenore sardo Francesco Demuro; il padre, Giorgio Germont, algido garante del buon nome di famiglia e sconfitto dall’amore, Fabian Veloz L’ Orchestra del San Carlo è diretta dal catalano Jordi Bernàcer. Il Coro e il Corpo di Ballo del Teatro sono esaltanti e viene dato loro ampio spazio, anche nell’intermezzo fremente di zingarelle e matadores.
Ma è sui colori e volumi perfetti dei costumi che si deve tornare. La cultura della visione materica che contrassegna da sempre il premio Oscar Franca Squarciapino risalta in ogni dettaglio. I rossi accesi e stuporosi del primo atto, fedeli nelle sagomature alla moda del tempo, vanno scegliendo poi nel corso della vicenda drammatica (non tragica) toni lividi: affiora il lilla, il viola, il verde acido, circolano maschere già alla Ensor in una progressiva discesa nel vizio, giù fino alla consunzione.
E’ un’edizione classica, raffinata, questa, della “Traviata” (l’opera la cui prima mondiale nel marzo 1853 al Teatro La Fenice di Venezia fu flop, poi un trionfo), un omaggio al genio di Verdi, al fervore ottocentesco ribelle alle convenzioni ma fedele alla sincerità di una storia d’amore. Che ancora muove al pianto come i millesimali rivoli di pioggia della scenografia di Frigerio, 88 anni, artista per il cinema di De Sica, Bertolucci, Rappeneau, ma soprattutto di teatro in ogni suo linguaggio al fianco di Strehler, Ronconi, Nureyev.
Visto al Teatro di San Carlo di Napoli il 23. 5.2018