RUMOR(S)CENA – ELENA – LE TROIANE – TEATRO GRECO SIRACUSA – Dar conto criticamente degli spettacoli che vanno in scena ogni primavera, nel contesto delle rappresentazioni classiche siracusane, vuol dire confrontarsi con problematiche culturali che vanno ben oltre il semplice dato estetico. Occorre capire come sia possibile usare un testo del V secolo a. C. per realizzare un’operazione teatrale che sia capace di comunicare con il pubblico contemporaneo. La risposta si dispiega lungo coordinate di senso che sono: il confronto del regista con il testo greco e con il contesto ampio della cultura classica, la consapevolezza di quanto sia piccola la porzione di teatro pervenutaci dalla tradizione greca e di quanto enorme sia la voragine creata da ciò che abbiamo perduto. Ancora, appaiono necessari il dialogo tra regista e traduttore e il discernimento profondo di quale sia il segmento di senso su cui si può imbastire un tal genere di allestimento. Questa fase di elaborazione di senso è quasi più importante della realizzazione vera e propria delle rappresentazioni classiche e l’Istituto Nazionale del Dramma Antico deve potersela permettere, costi quel che costi. Questa istituzione teatrale anche oggi è guidata da un esperto uomo di teatro, nella persona di Antonio Calbi (alla sua prima edizione), ed è una macchina produttiva formidabile: una struttura che sa coinvolgere con efficacia grandi registi, importanti attori della scena nazionale, esperti tecnici del suono e musicisti di grande levatura, formidabili lights designer e, come scenografi, grandi architetti o artisti figurativi. Tutto è orientato a un’ottima riuscita degli spettacoli, sicché, se qualcosa non va, non funziona, non convince, non appare all’altezza di quei grandi testi, è in quella prima fase di elaborazione concettuale che va rinvenuta la radice di tali carenze.
“Elena”, testo del 412 a. C., è uno lavoro di straordinaria complessità sotto ogni profilo: Euripide, meraviglioso genio teatrale, ha usato una versione diversa e minore del mito della tindaride, moglie di Menelao redi Sparta. Elena, pur restando la più bella tra le mortali, non è affatto colpevole di tutto il male che le è stato associato; non è stata lei a fuggire con Paride a Troia ma un fantasma con le sue stesse sembianze e non è responsabile dei massacri delle guerra di Troia. Condotta in Egitto da Hermes, è ospite del re Proteo che la protegge per restituirla a Menelao. Alla morte di Proteo Elena è invece vergognosamente concupita dal di lui figlio Teoclimeno che brama di sposarla. Ma questa bramosia non andrà a segno e, nel lieto fine, Menelao ed Elena potranno fuggire dall’Egitto e ricostruire una serena vita coniugale. Il testo (nella traduzione di Walter Lapini) si distende attraversando i temi e i motivi più disparati (l’insussistenza della verità, il moltiplicarsi – come in un gioco di specchi – dei livelli di realtà, la natura degli dei e il loro carattere capriccioso, la follia delle guerre), si dispiega per paradossi e peripezie, vira rapidamente su registri tonali diversi e cangianti. È stata certamente una scelta intelligente assegnare a Davide Livermore, un affermato regista d’opera se pur alla sua prima esperienza siracusana, non si è fatto intimidire dalla enormità del cimento ed anzi ha felicemente onorato il suo compito. Ha chiesto e ottenuto che l’intera scena fosse occupata da una vasca d’acqua: una mimesi marina di grande effetto al cui interno si muovono il relitto di una nave da guerra, un obelisco abbattuto e steso a uso di pedana dove gli attori restassero sempre con i piedi in acqua.
Dietro un grande schermo su cui vengono proiettate immagini marine, quasi a chiudere proprio nello spazio culturale, immaginifico e narrativo del Mediterraneo, l’intera operazione. In scena Elena è Laura Marinoni: generosa, seducente, gioiosa e premurosa, una mattatrice che conosce a perfezione le misure dello spazio in cui le è dato di muoversi. Anche gli altri attori sono tutti all’altezza della messinscena: Sax Nicosia è un Menelao perplesso che tarda a trovare in sé le motivazioni per partecipare attivamente a quanto accade intorno a lui. Viola Marietti è Teucro; Maria Grazia Solano è decisa e convincente nel ruolo e nei toni cominci di una vecchia serva della reggia; Simonetta Cartia si esprime col suo canto potente nel ruolo di Teonoe (un’incipriata dama secentesca, buffa ma assai poco ieratica), mentre Giancarlo Judica Cordiglia è Teoclimeno, un re d’Egitto anche buffo, petulante, svenevole e sciocco cavaliere incipriato. Maria Chiara Centorami è il primo messaggero; Linda Gennari è messaggero di Teoclimeno; Federica Quartana è la corifea. Bruno Di Chiara, Marcello Gravina, Django Guerzoni, Giancarlo Latina, Silvio Laviano, Turi Moricca, Vladimir Randazzo, Marouane Zotti sono il coro e la coppia dei Dioscuri.
Il risultato è brillante, leggero e al contempo potente e ben ordinato, tagliato e rimontato con intelligenza scenica così da comunicare compattezza, quasi a dispetto del testo euripideo. Interessante è il gioco continuo degli specchi, del rifrangersi delle immagini quasi a voler affermare e, al contempo, negare qualsiasi tipo di verità, di realtà, di amore, di passione che possa aver sapore di senso e realtà. Mentre il silenzio affascinante dell’idolo di Elena è soltanto un cratere di menzogne, da non desiderare, non inseguire, ed evitare di riempire di bellezza; di eroismo, di sangue versato in battaglia.
Nulla è degno di fede, tutto può cambiare, rovesciarsi nel suo opposto, crollare per il capriccio di una dea volubile e manipolatoria. Cosa non convince di questo spettacolo? Al di là di alcune scelte realizzate senz’altra apparente motivazione se non per l’arbitrio del regista: perché scegliere attrici per personaggi maschili? È necessario? Quali sono le motivazioni? Forse spiegabili con la ristrettezza dei tempi in cui questi spettacoli nascono, al di là di alcune sottolineature poco meditate «i porti da noi sono aperti…», il vero limite di questo lavoro sta forse nella fragilità della sua radice concettuale. È evidente che l’ispirazione e la professione del regista derivano dal mondo dell’Opera e tutta la macchina dell’allestimento gira intorno al magistero teatrale di quel mondo: nel bene della pienezza visiva e della potenza narrativa e nel male di alcuni automatismi costruttivi. Così facendo si finisce fatalmente con l’allontanarsi dalla tessitura del tragico teatrale, e con lo scivolare dall’operistico al cinematografico (le musiche testimoniano questa dinamica); in ogni caso ci si sposta verso una dimensione teatrale piena di suggestioni e di certezze formali da non sembrare adatte a un confronto con un testo del V secolo a. C.
Visto il 9 maggio nel Teatro Greco di Siracusa.
Di tutt’altro tenore e di diversa ispirazione è “Le Troiane” di Euripide scritto nel 415 e tradotto da Alessandro Grilli per la regia della francese Muriel Mayette-Holtz (già amministratrice generale della Comédie-Française e oggi direttrice dell’Accademia di Francia a Roma) . Realizzato dentro un impianto scenografico rigoroso e di grande forza figurativa disegnato da Stefano Boeri, costituito da un insieme di grandi tronchi d’albero (i pini della Carnia, abbattuti da una tempesta di vento di potenza inaudita), e ordinato a prefigurare un esercito in formazione di battaglia, delle colonne di antichi palazzi, un labirinto in cui perdersi, un’intera prigione, lo spettro di una città abbandonata. In scena Maddalena Crippa, imponente nel ruolo di Ecuba; Paolo Rossi, disincantato e comico nel ruolo di Taltibio; Graziano Piazza, un problematico, misurato e tutt’altro che banalmente eroico Menelao; Viola Graziosi è un’Elena rigorosa e potente; Elena Arvigo solida nel ruolo di Andromaca. Un giudizio differente per Massimo Cimaglia nel ruolo di Poseidon e Francesca Ciocchetti in quello di Atena: entrambi avrebbero potenzialità ben maggiori di quanto non siano sfruttate dalla regia mentre sono da bocciare i loro scontatissimi costumi di divinità neoclassiche. Marial Bajma Riva è una cassandra eccessivamente fragile e puerile, pur nel suo furore profetico; Elena Polic Greco, Clara Galante, Doriana la Fauci dimostrano doti di attrici di solido mestiere nel guida del coro. Il piccolo Riccardo Scalia nel ruolo di Astianatte. Il coro è realizzato dai ragazzi e dalle ragazze dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico. Le musiche originali sono di Cyril Giroux, i canti e la chitarra di Fiammetta Poidomani. Un allestimento pur presentando sicuramente delle qualità formali in grado di piacere al pubblico (la linearità dell’impianto, la forza interpretativa di Maddalena Crippa e, non ultima, la semplicità della concezione dei cori e delle musiche), appare di carattere incerto e complessivamente poco convincente.
La situazione drammatica immaginata da Euripide non è dinamica ed è oggettivamente difficile per una regia, trasferire sulla scena contemporanea, il carico di collera antibellicista che pervade questa scrittura euripidea. L’impressione che si ricava è quella dove una volta tolta la forza delle singole presenze attorali, la lettura della regista non sia riuscita a consolidarsi o non abbia avuto il tempo giusto per chiarirsi e dispiegarsi. Appare chiaro che il confronto tra il testo antico e la contemporaneità della cultura e della sensibilità della regista non si sia concretizzata in una struttura di convincente profondità. Valga un esempio: l’uso di canti e di una chitarra d’accompagnamento in scena è una scelta formale stridente; non certo per una qualche forma di ossequio a un’idea di classicismo immobile, autoritaria e quasi normativa, ma perché trasformare i momenti corali in momenti di canzone può facilmente diventare una banalità, e comunque dovrebbe riuscire a prefigurare un livello profondo di rilettura del testo che, al contrario, non appare in nessuna parte dello spettacolo. Così come questo allestimento sembra svelare definitivamente l’incongruenza del commissionare la scenografia ad un architetto o a un artista esterno, seppur di prima grandezza internazionale, prima che il regista abbia fornito le linee generali della sua lettura del testo antico. Non è un elemento trascurabile: la regia poi deve fare i conti con un assetto scenografico che appare tanto bello e ingombrante quanto slegato dal passo, dal respiro e dalla direzione dell’intero spettacolo.
Visto il 10 maggio nel Teatro Greco di Siracusa
Elena
repliche mese di maggio: 25/29/31. Giugno: 2/4/6/8/12/14/16/18/20/22
Troiane
26/28/30. Giugno: 1/5/7/9/11/13/15/19/21/23