RUMOR(S)CENA – SALERNO –Il sogno di un uomo ridicolo è un racconto del 1877 di Fedor Dostojevskij, articolato su più livelli. Lo scrive vent’anni dopo essere stato arrestato, condannato a morte e graziato sul patibolo. La mancata fucilazione e la sofferenza nei confronti del decadimento umano delineano la psicologia del personaggio portato in scena da Giorgio Borghetti nell’atrio del Museo Diocesano “San Matteo” di Salerno. L’allestimento rientra nella rassegna teatrale “Il gioco serio del teatro”con la quale il direttore artistico Antonello De Rosa intende promuovere il Teatro di Parola e – per l’organizzatore Pasquale Petrosino – “presentare al pubblico grandi attori interpreti piuttosto che i bravi intrattenitori a cui spesso siamo abituati”.
Il pubblico, immerso nella luce tenue della luna e nel color indaco dei riflettori, si lascia rapire dalle riflessioni a voce alta di un uomo che ha deciso di suicidarsi. La struttura del testo può essere percepita come tridimensionale per lo sguardo del protagonista contestuale a quello dell’attore: la pistola vicino al petto, la “camera povera e piccola” e il claustrofobico spazio dentro la tomba, l’osservazione della stella e della galassia. Sono tutte metafore dostoevskiane della sua “umanità del sottosuolo” contaminate da tendenze sadiche, spesso rivolte contro se stesso, e dalla sopraffazione del potere più forte contro le debolezze umane già presenti in Delitto e castigo. La vera condanna dei personaggi di Dostoevskij di fatti è il tormento di non essereCristo ovvero il supremo ideale a cui tende l’uomo che “non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa”. Questa profondità ermetica è esemplificata al pubblico dalla destrezza attoriale dell’attore e doppiatore Giorgio Borghetti, mentre i brani della violoncellista Silvia Fasciano separano i momenti di sogno e di veglia di quell’uomo a cui “tutto gli è indifferente”. Il personaggio dell’uomo ridicolo è inizialmente impregnato di lucidità e scontatezza per poi dispiegarsi in una sorta di malsana immoralità. Voce e presenza scenica sfilano le immagini oniriche del racconto ricostruite dall’attore con movimenti lenti e plastici come in un sogno: dallo stato di tensione per il gesto premeditato al risveglio pigro e idealizzato di un mondo nuovo. La ricerca incostante dei motivi che stimolano l’uomo al suicidio invogliano il protagonista a lasciare tante porte aperte per giungere finalmente ad una, quella della decisione finale. La messa in scena si conclude con un lunghissimo e sentito applauso.
Visto al Museo Diocesano “San Matteo” di Salerno il 22 luglio 2022.