CRAIOVA (Romania) – Siamo di fronte a questa grande scena di legno e ferro a due piani con scale e scalette, porte e tappeti, tra cui si muovono con molta animazione uomini snelli eleganti, duchi di York o di Lancaster del 1400. E non capiamo subito come tra loro potrebbe insinuarsi Herzog Gloucester, il parente gobbo. Poi, come a sfidare le leggi dell’ombra e della luce, appare lui, l’attore Lars Eidinger, il Garrick di Thomas Ostermeier, ma di una forza straordinaria, mimetica e fisica. Gobba raccolta in un sospensorio nero luttuoso, calotta di cuoio che ne fa una maschera alla Hannibal, pinze, cerotti, ecco l’uomo storpio, incurvato come un serpente eppure agile, che si mescola alle figure diritte, all’alfabeto di lettere slanciate, come una virgola sbagliata.
Sul palco del Teatrul National Marin Sorescu, scorrono veloci le scene di ‘sintetici’ funerali degli Enrico divenuti re o degli Eduardo (e sono due ragazzini trasformati in marionette gli infelici nipoti del diabolico zio, che finiranno nella Torre) che lo sarebbero potuti diventare e che invece sono morti per natura o sventura, sempre piu’ per mano di quel Riccardo: la sua azione di seduzione di Lady Anna Neville (l’attrice Jenny Koenig), orfana e vedova a causa di lui, pare un teorema di matematica pura, dura soltanto poche battute per proporre e far scegliere la vita al costo dell’amore.
Le regie del quarantenne Thomas Ostermeier – vedi l’Amleto, sempre con Lars Eidinger e altri suoi straordinari attori di compagnia – si sviluppano spesso in un crescendo di toni di voce esasperati mentre i movimenti mano a mano si dilatano. Qui, tra fragorosi interventi di batteria e piatti suonati dal vivo, la lingua tedesca ritrova la rabbia feroce delle consonanti, il terrore degli ordini assurdi impartiti, corona in testa e microfono brandito come un’arma, affinche’ il potere passi prima dalla parola.
Eppure la sperata fine gloriosa di colui che volle assolutamente farsi re con il nome di Riccardo III, diventa una lenta agonia di animale dalle ferite profonde e lontane, la faccia tuffata nel piatto, il cibo che diventa biacca bianca da clown, il microfono che pende come una flebo dal braccio.
Il regista della Schaubühne di Berlino – che ha trovato elementi per la composizione dei personaggi in Machiavelli, Tommaso Moro e Freud – legge infatti un passato di rifiuto ovviamente da parte di madre in questo orrendo ex ragazzo, escluso dall’amore e dunque in qualche modo risarcibile solamente con il potere che almeno si conquista e almeno in parte dipende da noi: questi sono nella tragedia di Shakespeare i valori di scambio, amore contro potere, vita contro morte, o viceversa.
E al mondo dell’autore/attore/impresario di Stratford upon Avon (o magari nato a Messina nel 1564 secondo le ricerche del filosofo Lamberto Tassinari, ma sicuramente morto nel 1616 in Inghilterra) con il gran finale appunto del “Riccardo III” di Ostermeier preceduto dal “Giulio Cesare pezzi staccati” di Romeo Castellucci (entrambi premiati in passato) era dedicato il 18esimo Festival Shakespeare di Craiova, nel sud della Romania 2016, collegato ai lavori del XIII Premio Europa Teatro , all’Associazione dei Teatri europei e all’Associazione internazionale dei critici.
Nel corso della rassegna romena, si sono viste tre versioni di Giulietta e Romeo (shocking quello degli israeliani Beer-Sheva) e uno spettacolo itinerante di giovani con processione della creduta morta fanciulla per le strade, attorno a chiese ortodosse e buie e bianchi palazzi; un episodio del Re Lear ha trovato spazio nella grande piazza della fontana che suona (l’acqua cade su strumenti di ottone) con un binario, dei carrelli e tre uova di legno che simboleggiavano le tre parti del regno; tra i primi, un Macbeth dall’India e un Riccardo II del Saitama theatre di Tokyo, regia di Yukio Ninagawa, con un incredibile, immenso valzer.
(crediti foto di Phocusagency.com)
Visto al Teatro Nazionale di Craiova il 23 aprile 2016