GENOVA – Nei giorni di prove per il nuovo spettacolo “La Duchessa di Galliera” che debutta sabato 27 maggio alle 20.30 in prima nazionale al Teatro Villa Duchessa di Galliera, con la regia di Laura Sicignano, arriva come un fulmine a ciel sereno, la notizia che la Compagnia San Paolo (sponsor per ben 15 anni dell’attività del Teatro Cargo), ha deciso di ridurre di venticinquemila euro il suo contributo, mettendo in serio pericolo il proseguo dell’attività prevista per la stagione 2017/18. La direttrice artistica Laura Sicignano così commenta: “Il taglio della Compagnia San Paolo è il colpo di grazia dopo 8 anni di decrescita infelice di contributi pubblici; sparizione del sostegno della Provincia, decurtamento di Regione e Comune e chiusura coatta e senza preavviso del teatro per un’intera stagione. Quale cura per un quartiere?, quale rispetto per dei lavoratori?, quale attenzione per un lavoro d’arte che gli enti dovrebbero invece proteggere e tutelare? ”
Sono interrogativi che giriamo agli amministratori pubblici, ai quali va chiesto se quanto deciso non abbiano poi una ricaduta negativa sull’economia della città: come se il fare teatro non producesse anche dei benefici e non solo dei costi. La mobilitazione per sostenere il Teatro Cargo si è subito fatta sentire suscitando molte reazioni pubbliche di solidarietà, alle quali, però, dovranno seguire iniziative concrete di sostegno all’attività artistica. Non va sottovalutato quanto accade con i tagli sulla cultura in generale e sui finanziamenti pubblici, ma se si considera che il Teatro Cargo si è impegnato in tre nuove produzioni dirette da Laura Sicignano, è di fondamentale importanza trovare delle soluzioni per scongiurare la chiusura stessa del Teatro e la cancellazione della programmazione futura. Oggi è una giornata importante per Genova: il debutto de “La Duchessa di Galliera” con in scena Annapaola Bardelloni, (repliche da sabato 27 maggio al 18 giugno), che racconta una vicenda storica dove ci sono tutti gli elementi della saga famigliare in cui nobiltà, ricchezza e filantropia si fondono insieme. Concluse le repliche di questo spettacolo, la regista debutterà con “Andy Warhol Superstar”, interpretato da Irene Serini (in scena il 2 luglio al Festival Asti Teatro), una coproduzione Teatro Cargo / Teatro della Tosse – Fondazione Luzzati Genova); e infine: “Vivo in una giungla, dormo sulle spine” con Amanda Sandrelli, Andrea Giordana, Alessio Zirulia (in prima nazionale il 6 agosto al Festival di Borgio Verezzi), coproduzione Teatro Cargo / Il Teatro delle Donne – Centro Nazionale di Drammaturgia.
«Tre spettacoli diversi che rappresentano tre tematiche: nel primo si parla di una storia di donne, nel secondo la decadenza e della contemporaneità – ci spiega Laura Sicignano intervistata a poche ore dall’andata in scena – e nel terzo il tema delle migrazioni e dei viaggi alla ricerca di una vita migliore. In quello che faccio mi interessa studiare l’ambiguità che sussiste nelle relazioni umane che non sono mai bianche o nere, la complessità per essere sempre molto turbolenti. Cerco sempre di trovare una soluzione per spiazzare un po’ lo spettatore, portarlo in una direzione verso una storia e a un certo punto sferzare verso un’altra, in qualcosa che non era stato pensato. Spostare lo sguardo, non rassicurarlo. Non mi interessa un teatro rassicurante che non scandalizzi come potrebbe piacere a qualcuno. Sorprendere ma non offendere con l’intento di attivare nuovi percorsi cognitivi emotivi. Viviamo in una società dove l’opzione da scegliere è tra il mi piace e il non mi piace».
Maria Brignole Sale De Ferrari, Duchessa di Galliera, rappresenta una figura storica di straordinaria importanza sociale e culturale che alla sua morte decise di donare tutto il suo immenso patrimonio in eredità alla città di Genova. Non è un caso che lo spettacolo (“pieno di fiori”), venga rappresentato in questo teatro settecentesco da lei stessa frequentato, fondato dalla nonna Anna Pieri Brignole Sale.
Laura Sicignano è anche editrice di se stessa con la pubblicazione sul sito www.ilmiolibro.kataweb dei testi drammaturgici de “La Duchessa di Galliera” e “La Regina” ispirati alle vite reali delle due nobildonne genovesi Maria e Anna, e corredati da un saggio sulla storia e il restauro del Teatro di Villa Duchessa di Galliera (a cura di Stefano Meriana responsabile insieme a Maria Luisa Carlini per CoArt dell’intervento di recupero). “La Duchessa di Galliera” nasce su commissione come spiega la regista stessa:
«È stato il Comune di Genova ad assegnarmi circa dieci anni fa una “commissione” di due spettacoli dedicati a due momenti distinti della storia della città. Uno di questi doveva essere dedicato appunto ad Anna Pieri Brignole Sale. Nasce così l’intento di drammatizzare la vita di una donna illustre, intelligente e politicamente impegnata ma un po’ dimenticata nella memoria storica. Ne feci una riduzione teatrale che ebbe una sua vita lunghissima, in luoghi legati alla vita della protagonista, tra i quali figura il Teatro di Villa Duchessa di Galliera, che Anna Pieri fondò e che il Teatro Cargo contribuì a riaprire dopo secoli di abbandono. Una coincidenza stupefacente, un dialogo nel tempo che immagino tra noi donne del Cargo e l’appassionata Anna, nume tutelare del piccolo teatro più antico della Liguria».
Questa nuova regia dimostra quanto il Teatro Cargo persegua fedelmente da anni una linea artistica capace di raccontare storie del suo territorio: basti pensare al successo di “Donne in guerra”che si svolgeva sul treno che collega Genova a Caselle. Anche in questa nuova produzione si parla di donne. Chi è la Duchessa di Galliera?
«La Duchessa fa parte di un filone legato alla storia della città e molti dei miei spettacoli sono ispirati alla Storia di Genova, scegliendo sempre di raccontare vicende particolari con l’intento di permettere la contaminazione di culture, identità molto forti e figure femminili importanti e interessanti. Lo spettacolo rievoca la figura di una donna eccezionale per nascita – censo – ricchezza; oggi sarebbe una nobile milionaria tra le più potenti d’Europa. Bilingue e per vocazione filo francese legata alla restaurazione ottocentesca della conservazione. La sua vita sembra tratta da un romanzo d’appendice, un feuilleton. Viaggiava molto e si recava nelle Corti reali di tutta Europa, separata dal marito Raffaele De Ferrari, dopo un matrimonio combinato con un uomo che per censo e blasone era ricchissimo.
Un imprenditore su scala mondiale con affari in quattro continenti. Lei una donna segnata dalla tragedia per i lutti subiti in famiglia: la morte della prima figlia Livia, la drammatica perdita del secondogenito Andrea di soli 16 anni a cui era così legata da provare venerazione. Il marito per aver commesso un omicidio dovette lasciare Genova. La nascita del terzo figlio Filippo, non riuscì mai a farle dimenticare il dolore per la perdita del suo preferito. C’è un ritratto dove lei insieme al bambino ha lo sguardo rivolto verso il busto del figlio defunto.
Il terzogenito non fu mai amato e appena diventato maggiorenne decise di rinunciare al cognome e al titolo nobiliare e di conseguenza all’eredità. Si fece adottare da un ufficiale austriaco omosessuale assumendo il suo cognome, dichiarandosi socialista egualitario fino a diventare un filatelico molto famoso. Filippo De Ferrari La Renotière alla sua morte venne sepolto in Svizzera e nella sua tomba furono deposte delle monete, motivo per cui fu profanata . Un uomo sofferente di una grave forma di depressione e mai amato dalla madre. La Duchessa era una donna ambivalente, molto colta ma arida nei sentimenti verso questo figlio. Alla morte del Maria eredita un enorme ricchezza che lei destina immediatamente a Genova, contribuendo a farla diventare una città moderna, dotandola di un polo museale e cosi Voltri dispone di un teatro, di tre ospedali e la residenza di Galliera che tutt’ora è funzionante, intestata al marito e ai figli».
Una donna a cui la vita sembra averle predestinato tanta ricchezza e successo nel dolore causato dalla morte che sembra accanirsi in questa famiglia. Una biografia sempre più avvincente. Come ha scelto di rappresentarla in teatro?
«Nello spettacolo tutto quanto raccontato è vero, attinto da documenti d’epoca e dagli atti del convegno dedicato alla famiglia. L’unica invenzione poetica è Maria, la narratrice, interpretata da Annapaola Bardeloni che però è una figura che io ho immaginato. Una cameriera con compiti anche di giardinaggio che non si muove mai dalla casa, non viaggia, a differenza della Duchessa. Lei ha il compito di raccontare la straordinaria vita di questa mecenate ineguagliata. Porta lo stesso nome della Duchessa e ha il dovere di rispettare poche regole: non forzare la natura, ma assecondarla. Una narratrice che racconta la storia della Duchessa utilizzando delle metafore sui fiori utilizzandolo come linguaggio che riconduce alla vita romantica, paragonabile al ciclo delle stagioni dove tutti fiorisce e tutto marcisce.
Storia di potere e di sentimenti (privati) in cui è presente la salvezza dell’essere umano in forma pagana e non religiosa. Maria è una figura poetica, un po’ strega e un po’ saggia, comprende e non giudica: è zoppa come un demone ma colma d’immaginazione e d’amore. È una Parca che tesse il racconto e lo passa a chi ascolta con la necessità di narrare, forse per l’ultima volta, la storia del suo alter ego. Una donna vecchissima e quindi assolutamente libera. Una bella sfida per l’attrice interpretare l’estrema vecchiaia, che contiene però tutte le precedenti età della vita e le supera in sintesi sapiente e folle. Deve girovagare per le ere del personaggio, oltre che affrontare tanti personaggi in un’unica storia».
La sua seconda regia è “Andy Warhol Superstar” che affronta un personaggio celebre e molto discusso. Cosa l’ha spinta a dedicarsi a questo artista che amava la provocazione come pochi, la cui biografia anche in questo caso si presta ad una lettura molto avvincente.
«Il salto temporale è notevole e Andy Warhol rappresenta una figura ascritta ad un ambito rivoluzionario attualissimo, quasi profetico che permette di parlare di arte come un prodotto di mercato, un’idea collettiva di mercato. Ha creato una factory laboratoriale dove invitava personaggi stravaganti in un luogo di grandissima trasgressione. Vivere nel gioco di superare il limite delle regole, del pericolo e della trasgressione, una continua sfida con la morte. Diventa ricchissimo riuscendo a salvaguardarsi da questa deriva a rischio di suicidio. Andy Warhol aveva un rapporto particolare con la madre che lo influenzò moltissimo, conducendo una vita di eccessi. Se si pensa che i genitori venivano da una terra che oggi non esiste più, chiamata Rutenia tra la Polonia e la Cecoslovacchia, emigranti poveri e umili, è ancora più sorprendente vedere come questo uomo è stato un precursore della modernità. La sua arte che possiamo anche considerare modello superficiale nel creare dei ritratti seriali, in realtà ha a che fare con la morte, e se si analizzano bene i ritratti (come quelli di Marilyn Monroe, Jacueline Kennedy Onassis, Mao Tse Tung) sono piatti come quelli bizantini, sacri ma allo stesso tempo profani nel loro dissacrare la vita di queste persone, raffigurate dopo la loro morte. Riesce con le sue opere a distruggere il confine tra arte e mercato. Subì anche un attentato da parte di una femminista squilibrata, rischiando di morire.
Io credo che la sua arte sia stata improntata alla ripetizione anche con se stesso e il mercato lo divorava, subendo lui stesso il meccanismo perverso e allo stesso tempo sa ironizzarlo, lo distrugge, ne è consapevole e se ne infischia. Nella sua vita si è occupato anche di cinema producendo film sperimentali, folli quanto interessanti da un punto di vista concettuale. Scrive e pubblica un libro intitolato “La filosofia di Andy Warhol” testo in cui scorre un flusso del suo pensiero molto ironico, riesce nell’intento di trasfigurare la sua vita facendola diventare pop. Un artista capace di creare dei modelli, delle trappole per spostare il punto di vista. Un viaggio lisergico come lo è stata la sua vita folle vissuta nella contemporaneità di una società basata sull’immagine, al tempo del capitalismo di stampo americano.
Non c’è nessun giudizio morale e non ho seguito una narrazione cronologica, quanto far capire che Warhol è diventato un’icona di se stesso, un personaggio mitologico. Arte e mercato, superficie e assenza di ogni valore, arricchimento sfrenato fino ad arrivare all’autodistruzione. Mi interessava il tema della contemporaneità deflagrata e decadente e penso a Breat Easton Ellis che ha scritto un libro molto interessante: “American Psyco” in cui racconta meglio di ogni altro, gli anni Ottanta in America. Irene Serini e’ la protagonista e e ho pensato di rappresentarla come una donna androgina».
Concludiamo con “Vivo in una giungla, dormo sulle spine” . Qui lei affronta un tema molto attuale e per certi versi drammatici se lo confrontiamo con quanto accade ogni giorno: l’arrivo di migliaia di uomini e donne che rischiano la vita attraversando il Mediterraneo.
«Ho lavorato con un gruppo di rifugiati e il progetto risale al 2011. Sono giovani scappati da paesi dove la vita è molto difficile e loro stessi sono i creatori dello spettacolo. Ogni scelta è stata discussa con loro e condivisa. Sono giovani con pochi strumenti culturali e umani di conoscenza del mondo, ma loro hanno visto cose che noi non abbiamo mai visto e non possiamo nemmeno immaginare. Hanno vissuto per tre generazioni il peggio e il meglio dell’essere umano. Lo spettacolo nasce da un racconto di un giovane pakistano: Shahzeb Iqbal, il quale ha collaborato alla stesura del testo che racconta il viaggio per attraversare prima il Pakistan e poi l’Iran fino ad incontrare la nostra cultura. È la storia di una scissione che fa capire quanto sia difficile entrare in una cultura diversa dalla propria. Il ragazzo conosce un avvocato donna e ne nasce un legame molto forte, ambiguo: è l’incontro tra due solitudini, tra due culture e alla fine lui scappa non riuscendo a conciliare il suo mondo di appartenenza a quello ospitante. Ho discusso con lui tutte le battute e il risultato è che nessuno alla fine ha ragione, nessuno ne esce né vinto né vincitore.»
La Duchessa di Galliera
Prima nazionale Sabato 27 maggio ore 20.30, Teatro Duchessa Villa Galliera Genova
Testo e regia Laura Sicignano Con Annapaola Bardeloni
www.teatrocargo.it/ duchessagalliera
Andy Warhol Superstar
Prima nazionale Domenica 2 luglio, ore 22.30 / Festival Asti Teatro
Ideazione e regia Laura Sicignano Con Irene Serini
Coproduzione Teatro Cargo / Teatro della Tosse – Fondazione Luzzati
Vivo in una giungla, dormo sulle spine
Prima nazionale Domenica 6 agosto, ore 21.30 / Festival di Borgio Verezzi
Testo e regia di Laura Sicignano Scritto in collaborazione con Shahzeb Iqbal
Con Amanda Sandrelli, Andrea Giordana, Alessio Zirulia
Coproduzione Teatro Cargo / Il Teatro delle Donne – Centro Nazionale di Drammaturgia
www.teatrocargo.it/ giunglaspine
La petizione per salvare il Teatro Cargo