Chi fa teatro — 27/05/2024 at 09:47

Il disagio mentale curato col teatro

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RUMOR(S)CENA – TEATRO FRANCO PARENTI – MILANO – L’occasione che induce Roi Chen – uno dei più apprezzati scrittori e drammaturghi israeliani contemporanei – a scrivere Chi come me è l’invito, rivoltogli nel 2019, ad assistere, presso il centro di salute mentale Abravanel di Tel Aviv, a una lezione di teatro per ragazzi fra i 12 e i 18 anni, a una serie di seminari di teatro proposti a un gruppo di ospiti adolescenti, e infine all’esito conclusivo dell’iniziativa, offerto ai genitori. Da questa esperienza, che si prolunga per diversi mesi, Roi Chen esce profondamente impressionato, e decide di trarne una pièce. Nasce così,  Chi come me ambientata in un centro di salute mentale dall’augurale nome di Orot (che significa “luci”), ove cinque adolescenti, inizialmente riluttanti, su iniziativa del dottor Baumann, direttore dell’ospedale, seguono un corso di teatro. Lo spettacolo, che ha debuttato nel 2020 è tuttora in scena, al Teatro Gesher di Giaffa, del quale Roi Chen è drammaturgo stabile.

Andrée Rut Shammah ha scelto coraggiosamente di mettere in scena questo testo, in un momento in cui le cronache ci riportano quotidianamente inaccettabili episodi di rifiuto di ogni apporto culturale che arrivi da Israele. E lo ha fatto per celebrare anche altri due eventi, per lei importanti: l’inaugurazione della nuova sala A2A, situata nei sotterranei dei “Bagni Misteriosi”, e il suo dichiarato addio all’attività di regia. Non mi pronuncio sul secondo punto (il tempo verificherà l’attendibilità di tale intenzione); sul primo c’è da dire che la scelta dello spazio si è dimostrata molto felice, consentendo alla scenografa Polina Adamov di creare una scenografia di forte efficacia drammaturgica, in un rapporto ravvicinato col pubblico coi lettucci dei giovani ricoverati inseriti fra le scalinate che ospitano gli spettatori.

Ignoro quanto l’approccio di Franco Basaglia al disagio mentale sia stato accolto in Israele. È certo che, nello spettacolo, la proposta del dottor Baumann (un autorevole Paolo Briguglia), di inserire un corso di teatro, affidato a Dorit (Elena Lietti ), una giovane teatrante, volonterosa ma un po’ spaesata dalla situazione atipica, in un percorso di recupero dei suoi pazienti adolescenti, ha un che di coraggioso e non convenzionale, che collide anche con la mentalità dei genitori, spesso corresponsabili delle patologie che affliggono i figli.

L’autore, lungi dal mostrarci trionfalismi, non ci risparmia le ingenuità, le difficoltà e gli insuccessi di questo itinerario di recupero, le perplessità dei genitori, interpretati da due soli attori (Sara Bertelà e Pietro Micci) che caratterizzano, di volta in volta con efficacia, svariate estrazioni socio-culturali: una tipica coppia borghese di piccoli commercianti; due appartenenti al jet set, separati di fatto, totalmente immersi nella gestione dei loro affari; una coppia di ortodossi, col padre in cappello e caffettano nero e i riccioli rituali (le peot). Se posso esprimere una sommessa riserva, avrei gradito che fosse rimasto il riferimento all’impegno rituale del Bar mitzvah del fratello di una ragazzina ricoverata, (un evento da cui, a un dipresso, deriva la Cresima, o Confermazione cristiana), che viene qui sostituito con l’impegno a presenziare a un concerto di violino: un’occasione perduta per stimolare un approfondimento degli usi e i costumi della complessa identità israeliana, di un’etnia culturale della quale oggi si parla spesso, ma quasi sempre in modo superficiale e a sproposito.

Il finale – come dichiarato in conferenza stampa – è stato modificato più volte prima di trovare una forma definitiva. Ignoro quale fosse l’originale, ma temo rimanga un po’ in sospeso, malgrado il seducente apporto musicale di Leonard Cohen. Lo spettacolo introduce il pubblico, con simpatetica contiguità, nel complesso universo della malattia mentale, e veicola con chiarezza messaggi importanti, specie in una stagione, come l’attuale, caratterizzata da un ostracismo verso ogni forma di diversità.

Ho avuto il privilegio di incontrare di persona i cinque giovani interpreti (tre un po’ più adulti, già con qualche esperienza attorale alle spalle: Amy Boda, Chiara Ferrara, Samuele Poma; mentre Federico De Giacomo e Alia Stegani frequentano ancora, rispettivamente il liceo classico e la scuola media inferiore). Le prestazioni di tutti e cinque sono di notevole qualità, e parlando con loro ho avuto modo di verificare quanto abbiano fatto propri quei messaggi. Ma – elemento per me ancor più significativo – è il fatto che abbiano acquisito tutti l’importanza del percorso, compiuto attraverso un lavoro rigoroso, di gruppo, ove è fondamentale l’ascolto e l’attenzione all’altro: un valore etico che prevale sul valore artistico e professionale del prodotto. Una conferma ulteriore  della funzione educativa dell’esperienza teatrale attiva offerta ai giovani.

Ricordo che Il testo italiano di Chi come me oggi disponibile anche nella traduzione italiana di Shulim Vogelmann, per i tipi della Giuntina,  e che lo spettacolo, rimasto in scena per circa un mese, con una serie di “tutto esaurito”, sarà riproposto, sempre al Parenti, all’inizio della prossima stagione

Visto al teatro Franco Parenti di Milano l’11 aprile 2024

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