FIRENZE – Una tavola imbandita a festa illuminata a tratti dai lampi che annunciano un temporale. I commensali sono seduti intorno alla tavola, ma nessuno mangia o parla. Il Tartufo di Molière inizia con una scena dalle tonalità caravaggesche, in cui i personaggi sono immobili e colti, come di sorpresa, in delle pose statiche. Soltanto Orgone, il capofamiglia, si alza da tavola e se ne va. Quando la luce si accende ed illumina un’architettura gigantesca e classicheggiante, i personaggi si rianimano come se il tempo non si fosse mai fermato.
L’opera di Molière, diretta da Marco Sciaccaluga, viene restituita in maniera fedele sia nell’ambientazione seicentesca sia nella traduzione del testo ad opera di Valerio Magrelli, che ripropone anche la metrica in versi alessandrini (dodici sillabe). La scelta registica e drammaturgica è aderente anche alla concezione del teatro, perché il Tartufo (dal francese “disonesto”) è una tragicommedia di denuncia sociale contro l’ipocrisia travestita da falsa devozione. Anche se inizialmente sembra che l’autore critichi i costumi mondani dei personaggi predicando uno stile di vita spartano, l’opera in realtà vira nella direzione di smascherare quelli che, come Tartufo, utilizzano la propria astuzia per interessi personali, facendosi portavoce di una virtù cristiana soltanto apparente. La maschera che Molière fa indossare metaforicamente al protagonista viene mutuata dalla commedia dell’arte ma con una diversa valenza. L’autore, infatti, non ritrae i tipi convenzionali ma usa la maschera come doppia finzione teatrale per descrivere la psicologia di tipi reali, che incarnano i vizi della società del suo tempo.
Marco Sciaccaluga adotta il metodo realistico del commediografo francese per delineare il carattere dei personaggi. L’Orgone di Eros Pagni è un uomo povero di affetto nei confronti della famiglia e questo spiega il suo eccessivo innamoramento verso Tartufo, che accoglie in casa propria come guida spirituale ed amico devoto offrendogli in moglie la figlia Marianna, già promessa sposa del giovane Valerio.
La monoespressività facciale e spigolosa di Pagni, che è già maschera teatrale, trasforma il comico di numerose scene in grottesco, mentre Tullio Solenghi veste i panni di Tartufo, al quale apporta molto del suo bagaglio artistico. Il personaggio nasconde sotto l’aspetto da santone dedito ad una vita ascetica lontana dai beni terreni la sua vera natura di uomo spregiudicato, interessato a mettere le mani sulla moglie di Orgone, Elmira, e sulla sua eredità. In alcune scene la rappresentazione si spinge oltre il testo – un esempio è la farsa allestita da Elmira per incastrare Tartufo e dare prova al marito della sua improbità – e questo, unito all’apporto personale degli attori, non fa altro che aumentare l’effetto comico senza generare inutili forzature.
Anche oggi il Tartufo di Molière non perde la sua attualità di commedia politica, considerata per l’epoca così rivoluzionaria da incontrare la censura da parte degli ecclesiastici, contro i quali il re Luigi XIV, grande estimatore di Molière, non voleva scatenare una guerra. La versione iniziale in tre atti che prevedeva la vittoria di Tartufo fu rivista a favore di Orgone, che nello spettacolo viene assolto dal re sotto lo sguardo di due statue classiche, una la Giustizia, ed una pioggia incessante di lustrini.
Visto al Teatro della Pergola di Firenze il 17 aprile 2015.
Il Tartufo
di Molière
versione italiana Valerio Magrelli
produzione Teatro Stabile di Genova
scena e costumi Catherine Rankl
musiche Andrea Nicolini
luci Sandro Sussi
con Eros Pagni, Tullio Solenghi, Marco Avogadro, Massimo Cagnina, Alberto Giusta, Barbara Moselli, Pier Luigi Pasino, Mariangeles Torres, Antonio Zavatteri, Gennaro Apicella, Elisabetta Mazzullo
regia Marco Sciaccaluga