RUMOR(S)CENA – GENOVA – La grande e quasi universalmente riconosciuta forza drammaturgica del teatro, così penso possa essere chiamato, di Giacomo Puccini come noto, al di là della qualità letteraria del testo a quella naturalmente subordinato e in quella costretto come un prigioniero, è custodita nella sua musica così profondamente figurativa e, sul filo della melodia, così intrinsecamente capace di condivisione narrativa. Una musica insieme popolare, nel senso più classico del termine, e alta, in quanto capace di rappresentare (fino alla commozione immediata, cioè non mediata o filtrata) l’essenzialità ovvero l’essenza dei sentimenti che attraversano l’animo umano e la sua mente, ma anche di intercettare, nella sua non ancora esaurita modernità, le evoluzioni e i mutamenti che questo animo sono venuti e vengono a riguardare e tormentare.
In questa nuova edizione genovese della sua Manon Lescaut, una delle prime prove dell’ancor giovane musicista, la bella regia di Davide Livermore sottolinea e premia questa sintassi, che lo stesso regista definisce proto-cinematografica se non tout court cinematografica, con una serie di soluzioni sceniche assai interessanti e efficaci.
A partire dalla presenza in scena di un Des Grieux ormai anziano (il bravissimo attore Roberto Alinghieri) che, ritornato nei luoghi della morte tra le sue braccia dell’amata Manon, ripercorre le vicende della loro vita quasi in lungo piano sequenza a ritroso nel tempo e nello spazio, in un malinconico flash back che, anche per l’ambientazione di partenza in Ellis Island, l’isola della quarantena dei migranti verso gli States, ricorda certi movimenti di C’era una volta in America.
Risultano in questo ulteriormente accentuate le brecthianamente alienanti e illuminanti frizioni, già comunque presenti nella originale stesura, tra il plot settecentesco, con le sue convenzioni narrative (dalla disposta chiusura della giovine in convento fino alla imposta deportazione nelle Americhe della ancora francese Luisiana), così da esaltare ulteriormente la modernità dei personaggi pucciniani, mai tutti buoni o tutti cattivi, come gli ‘scolpiti’ protagonisti del romanticismo, ma controversi e talora contraddittori, e sempre o spesso tormentati, in un sovrapporsi di pulsioni e induzioni identitarie che già allora si aprivano alla sensibilità del novecento, fino a quella dell’oggi di tutti noi.
È interessante al riguardo la genesi complessa e stratificata del libretto cui, a partire dal racconto dell’Abbé Prevost, misero mano in parecchi, tra cui due dei più famosi drammaturghi dell’epoca, Marco Praga e Giuseppe Giacosa, per essere infine tutti revisionati e riscritti da Puccini medesimo.
La stessa tessitura della bellissima orchestrazione del maestro Donato Renzetti assenconda in certe tonalità molto contemporanee il tono generale di una messa in scena ricca di suggestioni visive e iconografiche, che però ben si armonizzano con il flusso musicale, senza sovrapposizioni o inopportune coartazioni. Una tale tessitura ha avuto nel coro del Carlo Felice, vero punto di forza di questo teatro, un felice interprete, robusto nelle tonalità ma anch’esso mai oltre la misura della tenuta vocale o anche, ad essa collegata, scenica.
Belle le voci di questo primo cast, velata e drammatica, ma talora impulsiva e suadente, come si conviene ad una adolescente innamorata ma contemporaneamente (anche nel senso della modernità) attratta dalla ricchezza, quella della brava Maria José Siri, potente poi la prova del Geronte di Matteo Peirone e all’altezza quella di Massimo Cavalletti, Lescaut fratello, contraddittoriamente tanto amico di tutti da diventare infine di tutti nemico.
Una notazione particolare per il protagonista maschile della serata, il giovane tenore Riccardo Massi. L’aver dovuto sostituire a spettacolo appena iniziato il tenore titolare Marcelo Alvarez (che ha abbandonato polemicamente il palcoscenico infastidito a suo dire dal fumo presente per alcune soluzioni registiche e scenografiche) non è stata certo una agevolazione. Però dopo un brevissimo riscaldamento, anche in scena, la sua prova è stata efficace, per voce e tonalità appropriata, e molto applaudita in segno, ma non solo, di sostegno e gratitudine.
Belle le scenografie e belli i costumi, cogliendo entrambi quell’atmosfera di transizione che lo spettacolo suggerisce: da un passato lontano ad un presente che molto gli assomiglia, nelle migrazioni tra i continenti, e negli infelici umani migranti, ad esempio, pur essendo così diverso. La prima il 25 marzo, in un Carlo Felice da tutto esaurito, è stata un successo sancito dai vari minuti di applausi finali.
Manon Lescaut di Giacomo Puccini.
Dramma lirico in quattro atti, libretto di Domenico Oliva e Luigi Illica
Allestimento in coproduzione Fondazione Teatro Carlo Felice Genova/Teatro San Carlo Napoli/Teatro Liceu Barcellona/Palau de les Arts Valencia
Produzione dedicata alla memoria di Renata Tebaldi nel centenario della nascita.
Interpreti alla prima: Manon Lescaut Maria José Siri, Renato Des Grieux Riccardo Massi, Lescaut Massimo Cavalletti, Geronte di Ravoir Matteo Peirone, Edmondo Giuseppe Infantino, L’oste Claudio Ottino, Il maestro di ballo Francesco Pittari, Il musico Gaia Petrone, Il sergente degli arcieri Matteo Armanino, Il lampionaio Francesco Pittari, Un Comandante di marina Loris Purpura,
Renato Des Grieux anziano Roberto Alinghieri, Un parrucchiere Simone Tudda.
Maestro concertatore e direttore Donato Renzetti. Regia Davide Livermore ripresa da Alessandra Premoli. Scene Giò Forma e Davide Livermore. Costumi Giusi Giustino. Luci Nicolas Bovey. Videodesign D-Wok.
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Carlo Felice. Maestro del Coro Francesco Aliberti.
Repliche con primo o secondo cast 26 e 27 marzo, 1,2 e 3 aprile.