“CRITICA del teatro puro”, assume il compito di mettere in luce il materiale inedito, la figura intellettuale e morale di un eclettico uomo di teatro: Alessandro Fersen conservato presso il Museo Biblioteca dell’ attore di Genova. Clemente Tafuri e David Beronio (direttori artistici del Teatro Akropolis) curano l’ edizione per Akropolis Libri, identificando in modo emblematico le radici ontologiche del teatro, attraverso un percorso che ci conduce dalla contemporaneità alle fondamenta della sapienza greca che l’ha prodotto, in un ritorno perenne nel quale l’influsso degli studi niciani del suo amico Giorgio Colli appare profondo. Tra fondamento del rito e del mito, le forme primitive della cultura, le conessioni fra mythos, logos, il ditirambo di Dioniso, la physis della tragedia in una fase pre- letteraria, filtrate dalla tecnica psicoscenica di Fersen sintetizzano in modo palese elaborazioni quasi inconsapevoli dell’angoscia della morte e del trionfo dell’eros, nate da un distacco dalla natura che si articola in cultura: il teatro rivela la sua appartenenza alle strutture più profonde della nostra coscienza. Sulla scena si ricostruisce la fenomenologia di vita assorbita al teorema aristotelico.
Il prezioso volume si rivela un interessante percorso di conoscenza ed approfondimento teorico nel mnemodrama, il dramma della memoria, una teoria che nasce praticamente da un esercizio della tecnica dell’abbandono, il rapporto emotivo con l’oggetto scenico, ed è il punto d’arrivo di questa particolare metodologia applicata all’arte scenica. Nel mnemodramma di Fersen, vengono privilegiate le tecniche dell’abbandono e si lavora sia in gruppi che individualmente. Attraverso tecniche di rilassamento ed esercizi di respirazione, l’attore giunge a uno stato di trance, in cui predomina la tematica sacrificale. Nella ricerca della forma primordiale del teatro, della ritualità, si immedesima nel dio, si diventa altro da sé, ovvero si effettua un’operazione che è – già di per sé – teatrale. Il Cristo consuma sulla croce il suo pathos sacrificale, ma viene sepolto e risorge dalla tomba secondo un modello funerario. L’attore deve porsi in uno stato di vuoto assoluto, interiore, totale, di ricezione completa dell’oggetto. Questo significa che non esistono più dighe, argini psicologici in grado di frenare e controllare la sua espressione.
Tutto ciò si può ravvisare uno stadio arcaico, quello che nell’ Antropologia Teatrale si chiama equivalenza extra-quotidiana. Tutta la concezione artistica di Fersen consiste nello scorrere il rito nelle vene, al di là di ogni identità, carattere e destino teatrale non c’è teatro se non rituale. Sulla base di quanto da me riscontrato, ritengo che sia un lavoro di particolare valore. Una guida ed un percorso di grande interesse, affascinante anche per le prospettive che apre, un percorso che, nella quasi generale ed inspiegabile indifferenza della critica e dell’accademia, i curatori recuperano nel tentativo di alimentare la loro già interessante attività sul campo con la direzione del Teatro Akropolis. Gli autori dimostrano chiarezza, cultura e un modo di pensare ampio, la loro cuorisitas intellettuale riesce a svolgere con passione e con rigore la documentazione riguardante l’argomento.