BOLZANO – Va in scena in prima nazionale dal 28 aprile (20.30) al 15 maggio 2016, al Teatro Studio (sala piccola del Teatro Comunale), lo spettacolo “Brattaro mon amour” scritto da Paolo Cagnan per la regia di Andrea Bernard. Si tratta dell’ultima produzione della stagione in scena al Teatro Stabile di Bolzano, con l’intento di narrare la storia e il tessuto sociale del territorio, in questo caso specifico, quello della città capoluogo. Questa volta sono i quartieri della periferia a essere al centro dell’indagine. “Brattaro mon amour” è ambientato nei quartieri di “abitazioni popolari intensive” che erano etichettate come “la Shanghai” di Bolzano. Etichetta che con il passare degli anni ha assunto una vera e propria valenza mitologica, perdendo l’originaria connotazione negativa. L’allestimento che si avvale delle scene firmate dal regista Andrea Bernard, tenta di indagare le trasformazioni di una periferia complessa e particolare come quella di Bolzano. In scena recitano Fulvio Cauteruccio, Günther Götsch, Dario Spadon, Paolo Grossi, Karoline Comarella, Irene Villa. I costumi sono di Elena Beccaro, le luci di Maurizio Macioce, video di Raffaele Siniscalco. La drammaturgia è di Paolo Cagnan, giornalista e scrittore, già caporedattore del quotidiano Alto Adige, direttore della Gazzetta di Reggio e nuovo codirettore di quattro testate venete del Gruppo L’Espresso (Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso, La Nuova Venezia e Corriere delle Alpi). Un testo che resta in bilico tra commedia e noir. «Lo scenario descritto da Brattaro mon amour ruota attorno al chiosco dei würstel (in slang: brattaro) strategicamente collocato nel quartiere più popolare di Bolzano. Un andirivieni di personaggi, una babele di linguaggi e di fraintendimenti» – spiega Paolo Cagnan – che per il suo debutto come autore teatrale ha scelto il genere del noir tragicomico, utilizzando il linguaggio popolare ovvero lo slang tipico del parlato bolzanino.
«In via Resia si chiama Brattaro e guai a tradurlo Imbiss alla tedesca. Ogni cliente che si avvicenda al banco ha la sua storia, ognuno ha il suo dramma interiore più o meno dichiarato. Passato e presente, qui, diventano un tutt’uno tra la nostalgia, i luoghi comuni e l’incomprensione reciproca. C’era una volta la Bolzano autenticamente italiana, che si contrapponeva alla “città tedesca” al di là del torrente Talvera. Oggi nel quartiere abitano anche sudtirolesi, nuovi e vecchi immigrati. La vita attorno al brattaro è scossa una notte dall’assassinio della cameriera. Delle indagini viene incaricato uno strampalato poliziotto, da poco arrivato in città. Novello Poirot di provincia, inizia una stringata serie d’interrogatori che lo porteranno via via a sospettare di tutti i “fedelissimi” del chiosco, ma soprattutto a farsi raccontare una Bolzano che non conosce, né capisce. Sino al colpo di scena finale…».
Prima del debutto abbiamo intervistato l’autore (Paolo Cagnan), il regista (Andrea Bernard) e l’attore (Fulvio Cauteruccio) che interpreta il ruolo di un commissario di Polizia.
Come nasce questo testo, lei che è un giornalista e direttore di quotidiani, oltre che scrittore?
Paolo Cagnan: «L’idea di scrivere questo testo mi è stata proposta da Marco Bernardi (ex direttore artistico e regista del TSB, ndr) e da Walter Zambaldi, (attuale direttore dello Stabile, ndr). nel periodo di pianificazione e passaggio tra i due che hanno deciso di propormelo come terza produzione annuale del Teatro e come opera prima del territorio per la stagione 2015/16. Lo spunto iniziale è stato quello del parlato slang di Bolzano, cercando di ragionare su uno spettacolo che utilizzasse il linguaggio adatto per raccontare la città che cambia. A Marco Bernardi inizialmente piaceva anche il sottotitolo “Edilizia popolare intensiva”. Io mi sono trovato nella condizione di scrivere per la prima volta di teatro, una scrittura completamente diversa dalle altre a me abituali e c’è voluto un anno di tempo per prendere confidenza. Un percorso assai lungo, complicato con vari stadi di lavoro che si susseguivano. Devo però ringraziare sia Bernardi sia Zambaldi perché non mi sono mai sentito solo, anche quando scrivevo il testo; un lavoro a tre, sempre, dove il ragionamento sulla stesura drammaturgica è avvenuto confrontandoci insieme».
Che cos’è il Brattaro?
«Il Brattaro è un microcosmo democratico, di socialità spinta, dove non ci sono differenze di luogo, sesso, identità, e questa location è stata accettata per ambientare la trama dal doppio registro che contiene una parodia dei gialli all’Agata Christie, con tanto di cadavere che non si vede e un investigatore e dei personaggi, ognuno dei quali ha un movente valido per essere imputato di omicidio. Anche se la storia è un noir, il tragicomico fa da sfondo e l’indagine permette di sondare i nuovi rapporti sociali tra tutti i sette personaggi. Il commissario di Polizia viene da un’altra realtà sociale e si trova in una condizione, dove i luoghi comuni fanno credere di aver capito tutto o l’esatto contrario, cioè nulla. Intorno a lui ci sono i personaggi della storia che si viene a creare: il Brattaro, un uomo che è un estremista per gli ideali fascisti, un ricco borghese decaduto di lingua tedesca, un altro uomo italiano del genere “politically correct” che ha idee sinistrorse per quanto riguarda la politica, il figlio di un avvocato cocainomane e una ragazza pakistana, una badante ucraina. Sono personaggi assolutamente non stereotipati, ognuno dei quali si fa conoscere grazie alle interrelazioni che si vengono a creare tra di loro. Intorno a questi fa da perno a tutta la vicenda, una cameriera morta in circostanze misteriose nella notte. Vicino al brattaro si muove un’umanità varia e multiforme. Circola un alto livello d’incomunicabilità fatto di linguaggi diversi e i personaggi che io descrivo sono privi di connotazioni macchiettistici. Lo slang del Brattaro, il dialetto locale del sudtirolese, tutti linguaggi che generano incomprensioni. Ci tengo a dire che non si tratta di un’operazione di amarcord e che per me questa esperienza è stata molto faticosa ma ho anche subito la fascinazione di lavorare per il teatro e con il regista e gli attori. Un lavoro che mi ha molto provato in entrambi i sensi».
Il regista e scenografo Andrea Bernard si è formato presso la compagnia teatrale Bricabrac. A Bolzano ha firmato diverse regie teatrali con compagnie di attori – studenti., tra i quali “Gli innamorati” di Carlo Goldoni, “Sogno di una notte di mezza estate” di W. Shakespeare, “West Side Story, Chicago”, “La Tempesta” di Shakespeare. Laureato in architettura ha iniziato a collaborare in teatro lavorando con registi come Pier Luigi Pizzi, Damiano Michieletto e Julia Burbach in diverse produzioni di prosa e opera, sia in Italia che all’estero, come “Don Giovanni” di Mozart, “Cosi fan tutte” di Mozart, “Die tote Stadt” di Korngold (riprese dalle regie di Pizzi). Nella Prosa ha lavorato con Remo Girone e Anita Bartolucci con “Kleiber, il titano insicuro” al Festival dei Due Mondi di Spoleto, e nel “Processo a Galileo” con Umberto Orsini al Festival di Macerata. Alla sua prima regia con il Teatro Stabile di Bolzano, scelto da Walter Zambaldi, Andrea Bernard, sa di affrontare una prova molto importante, anche se per l’età e le precedenti esperienze nel settore della lirica internazionale, ha dato già prova di saper gestire con molta sicurezza il suo ruolo di regista. Parlarci insieme fa percepire come sia capace di analizzare, con spessore, cosa significa affrontare un testo inedito quanto lavorare sulla drammaturgia scenica, senza esitare nel mettersi in gioco in prima persona. La conversazione – intervista diventa un proficuo scambio sul piano della riflessione generale su cosa e’ il teatro e le sue implicazioni umane oltre che artistiche.
Come ha affrontato la regia di questo testo che racconta una Bolzano cosi particolare?
«Un’esperienza che mi ha subito entusiasmato grazie ad un testo che appartiene alla nuova drammaturgia contemporanea. Lavorare con un gruppo di attori che sono sempre in scena, e il loro impegno professionale è continuo senza pause anche quando non recitano le battute del copione. Ho chiesto a loro il massimo impegno pur cosciente che la loro partecipazione richiede un notevole sforzo che determina molta stanchezza fisica e mentale. Il testo richiede una presenza scenica anche quando non sono coinvolti in prima persona. Crea una tensione continua pur senza recitare, e questo perché Brattaro mon amour è un noir ,dove lo scopo è di individuare tra tutti i personaggi, l’assassino di una donna. Tutti sono presunti colpevoli. Ognuno di loro ha una sua storia personale che li avvicina agli altri e li lega, creando una forte tensione. Mi sono voluto allontanare da un’ipotetica realtà per dare spazio a una nota di surrealismo. Questo perché nella vita reale sarebbe impossibile come avviene la trama in scena. Il registro surreale andava rilevato sia a livello registico sia nella drammaturgia scenica durante le prove in corso. Così facendo si è materializzata una particolare dinamica nel “scontrarsi” tra attori e regista. Bisognava staccarsi dalla realtà oggettiva di Bolzano. Non so cosa succederà quando andremo in scena, ma l’intento era quello, sia per quanto riguarda la parte estetica sia per quella musicale. Le musiche scelte servono a distaccarsi dal provincialismo bolzanino, ma anche contemporaneo appartenente al nostro oggi e di qualsiasi altra città. Paolo Cagnan ha scritto un testo capace di staccarsi da ogni ovvietà senza mai cadere nel rischio dell’autoreferenzialità, di stampo localistico. La realtà di Bolzano è vista attraverso gli occhi del commissario di Polizia che viene da lontano e vede una realtà che giudica ridicola. Nel Brattaro prevale la personalità, i caratteri delle persone, i vissuti dei personaggi con tutte le loro storie e la loro personale realtà si distaccano dalla vita della provincia. Il tragicomico che si evidenzia nel testo non è dato solo dal registro tragicomico determinato dalla scoperta dell’assassino, ma da tutta l’umanità dei personaggi, e cosa particolare, non solo nei confronti degli altri ma anche verso se stessi. I monologhi di ognuno di loro sono momenti privati, rivolti a se stesso, verso la propria persona. In gruppo ognuno può mantenere la maschera, da soli si svelano ed escono i sentimenti, i rapporti famigliari e avviene uno scavo interiore del proprio io. Ho cercato anche di assemblare regia, scene, l’apporto della costumista, delle musiche in un tutt’uno, grazie al team con cui ho lavorato intensamente».
Fulvio Cauteruccio viene da Firenze dove ha frequentato la “Bottega teatrale di Vittorio Gassman, e per molti anni e’ stato uno degli attori storici della Compagnia Krypton al Teatro Studio di Scandicci diretto da Giancarlo Cauteruccio, regista e anche suo fratello. Sono stati 25 anni di teatro ricchi di esperienze sul palcoscenico, dettate dalla volonta’ di sperimentare sempre nuovi linguaggi, nel solco della tradizione artistica, che un attore professionista persegue e mantiene.Ha diretto e interperato “Roccu u stortu” di Siriano, calssificato nei “22 spettacoli dell’anno” e giudicato in sede del Premio Ubu. Prodotto da “Palcoscenico” di Rai 2 in una versione televisiva. Ha interpretato “Ubu Re” di Jarry, spettacolo finalista agli “Olimpici del Teatro” a Vicenza, Eti come miglior spettacolo dell’anno. Ha recitato nella “Solitudine dei campi di cotone” di Koltes, “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello, “Terroni d’Italia” diretto da Giancarlo Cauteruccio per il 150 esimo anniversario dell’Unità d’Italia Chiuso un capitolo importante della sua carriera, Fulvio Cauteruccio spiega come si sia sentito:<<Ho provato la sensazione di sentirmi libero e contemporaneamente costretto a rimettermi in gioco sul mercato (nuove scritture, provini, ndr) e dopo aver recitato diretto da Maurizio Scaparro, sono stato chiamato da Valerio Binasco e il Teatro Metastasio di Prato (Teatro Stabile della Toscana) per interpretare Porcile di Pasolini.>> L’attore e’ stato scelto per interpretare il ruolo del commissario di Polizia. <<Ho conosciuto Walter Zambaldi alla Corte Ospitale di Rubiera e mi e’ stato offerto il ruolo di recitare una parte che richiede un’ interpretazione particolare dove tutto viene giocato sul semi serio. Il rapporto con il Teatro Stabile fin da subito e’ stato positivo – spiega Fulvio Cauteruccio – improntato alla massima collaborazione con gli artisti e le maestranze. Mi trovo bene a Bolzano e conosco l’Alto Adige fin dagli anni ’80 da quando venivo in vacanza. Noto con piacere come ci sia stato un miglioramento dei rapporti sociali che in passato erano presenti, anche per la difficolta’ nel comunicare tra italiani e tedeschi.>>
La collaborazione con l’autore e il regista ?
<<Con Paolo Cagnan e’ stato un ottimo incontro, una persona che dimostra un’ umilta’ intelettuale molto sincera. Questo testo lo trovo molto interessante, una bellissima idea metterlo in scena. Io vengo da un teatro che non è il Teatro dei Teatri Stabili e sono entusiasta di lavorare per lo Stabile di Bolzano. Sono anche regista e poter lavorare ora con un giovane regista come Andrea Bernard, così vivace e stimolante, è un’esperienza molto valida per la mia carriera. A Bolzano mi sono subito trovato bene con tutti gli artisti, siano italiano o tedeschi: un laboratorio di convivenza proficua e reale, tale da farmi pensare a cosa accade in Europa. Un bel schiaffo a chi divide invece che unire. Il rapporto con l’autore, con il personale tedesco del teatro che mi insegna a parlare in tedesco. Un bellissimo regalo avere la possibilità di questo scambio linguistico anche con un collega di madre lingua tedesca che recita con me. Io che lavoro abitualmente in una città centro della cultura come Firenze, ora mi trovo a Bolzano, crocevia di culture e di lingue e avrò la possibilità di poter lavorare anche con Roberto Cavosi, sempre allo Stabile (autore drammaturgo originario di Merano, ndr). Per entrare nelle atmosfere del Brattaro abbiamo visitato la città, i luoghi dove è abientata la vicenda; questo per capire come la gente vive nei quartieri, il loro pensiero e questo mi vivifica e trovo che sia assolutamente moderno. Dove lavoravo prima a Scandicci ho vissuto ospitando il teatro contemporaneo e questa opportunità mi rende felice. La scommessa della direzione artistica l’approvo completamente. Trovo sia molto interessante lavorare su un testo scritto anche sulla scena, è un divenire continuo e ci ha dato la possibilità di contribuire personalmente. Mi piace molto il brattaro che a Firenze si chiama lampredottaro. Ti permette di parlare di tutto. Io sono un commissario di Polizia che usa delle applicazioni capire come l’italiano e il tedesco possano parlare lo stesso linguaggio e far si che le differenze vengano abbattute. Hanno pensato a me come attore originario del Sud Italia, avendo origini calabresi, quasi incosciente mel trovarsi in un posto “quasi troppo pulito”. Ho conosciuto e sono diventato amico di Sebastiano Vassalli (scrittore scomparso di recente, ndr) e di lui ho letto sempre con molta attenzione i suoi libri. Ricordo bene “Sangue e Suolo” , che racconta l’Alto Adige. Ora io qui mi trovo così bene che spero vivamente di tornarci presto e di lavorare con persone che amano il teatro.>>
Brattaro mon amour , prima nazionale 28 aprile 2016
Bolzano, Teatro Comunale, Studio dal 28 aprile al 15 maggio (con esclusione del 2, 3 ,4 ,9,10, 11 maggio) h. 20.30, domenica h.16.00
Con esclusione dei giorni 2, 3,4,9,10, 11 maggio
Merano: Teatro Puccini martedì 17 maggio h. 20.30
Brunico: Haus Michael Pacher mercoledì 18 maggio h. 20.30
Vipiteno: Teatro Comunale giovedì 19 maggio h. 20.30
Bressanone: Forum venerdì 20 maggio h. 20.30