CANNES – In una scena del film Le meraviglie vincitore del Grand Prix assegnato dalla Giuria del 67esimo Festival del Cinema di Cannes, si assiste ad un dialogo molto concitato tra un apicoltore ,(Sam Louwyck) e un contadino, per via che le sue api sono morte a causa di un pesticida usato nei campi dall’agricoltore. Per l’uomo che le alleva e produce miele è una perdita grave. L’episodio fa tornare in mente una conferenza ascoltata nel 2012 in occasione del festival Terreni Creativi organizzata dalla compagnia teatrale Kronoteatro di Albenga, dal titolo: “Moria delle api, moria di vita e di fertilità”, il cui relatore Francesco Panella presidente dell‘Unione Apicoltori Italiani, spiegava le cause come le api muoiano a causa dei pesticidi.
L’inquinamento e le sostanze nocive sono la causa principale ma i pesticidi sono anche responsabili dell’insorgenza della malattia di Parkinson tra gli agricoltori. La scoperta è stata fatta nei laboratori francesi e una legge nazionale della Francia definisce il Parkinson come malattia professionale. L’Italia ha deciso di autorizzare l’uso di questi pesticidi fino al 2017, anche se le “api sono le ali della vita, un’agenzia ambientale perfetta. Portano ovunque i semi”. La stessa regista ha spiegato che il suo film “parla di api che mordono ma dicevo ai giovani attori che recitavano nel film che queste punture da anziani faranno bene contro i reumatismi”.
Le api nel film diretto da Alice Rohrwacher hanno un ruolo importante nell’economia di una famiglia che vive in un casolare tra la Toscana e l’Umbria, composta dal padre tedesco, una madre italiana e ben quattro figlie femmine. Vivono lontano dal mondo e sono una piccola comunità in cui vigono regole ferree. La primogenita Gelsomina è Maria Alexandra Lunguè la protagonista del film e sul suo viso le api si posano con dolcezza, fidandosi di lei che le conosce bene e le rispetta. Un film poetico basato su una storia apparentemente normale. Semplice nella sua narrazione ma profondo per l’indagine degli stati emotivi dei personaggi che lo compongono. Il quieto vivere ma non tanto, visto che il lavoro agricolo è faticoso, viene spezzato dall’arrivo di Martin un ragazzo tedesco in fase di rieducazione sociale e l’apparizione di una donna Milly Catena interpretata da una convincente Monica Bellucci nei panni di una fata bianca “etrusca”, donna malinconica di professione presentatrice di un improbabile – quanto surreale – concorso televisivo a premi.
Per il cinema italiano è un riconoscimento importante: non era mai successo prima che una regista italiana conquistasse il Palmarès. Alice Rohrwacher nel 2012 si era fatta conoscere con l’opera prima Corpo Celeste (2011), presentata a Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs. Un film basato su atmosfere quasi arcaiche dove traspare una certa malinconia per una vita agreste e semplice ormai scomparsa. Un uomo rude e autoritario ma capace di regalare alla figlia un cammello, strenuo difensore di un’etica esistenziale e socio economica che non deve cedere mai a facili guadagni. La sua cultura va a scontrarsi con quella effimera della televisione quando si imbatte, quasi per caso, in un programma televisivo che fa l’occhiolino al cinema di Fellini.
Costretto a cedere su insistenza della figlia e della moglie ( Paola Rohrwacher) parteciperà con tutta la famiglia ad un concorso che premia il miglior produttore di specialità gastronomiche. Una società rurale genuina e vera come non se ne vedono più, e dall’altra un mondo delle “meraviglie”, queste sì effimere e artificiali. A determinare un cambiamento relazione e sociale sarò la primogenita Gelsomina, determinata a creare le condizioni di un affetto aperto anche verso gli altri. La madre è nella vita reale la sorella della regista e per stessa ammissione di Alice Rohrwacher intervistata dopo il premio c’è una buona dose di autobiografia famigliare nel connotare il suo film “agreste”, cresciuta nella campagna umbra e la difesa ad oltranza dei valori di una comunità solidale. Il film coglie alcune dinamiche interessanti nel rapporto padre-madre-figli, rievoca una cultura contadina patriarcale dove l’uomo (gran lavoratore) quanto autoritario nei confronti dei famigliari, un padre padrone a cui portare ubbidienza cieca.
Gelsomina scardina tutto questo e ci riesce con la sua dolcezza e caparbia. Qualche ingenuità viene perdonata nella sceneggiatura e quel tanto di naif come l’apparizione del cammello. C’è come una volontà di narrazione fiabesca insita nel descrivere il candore di scene come quella della bambina che da il latte con il biberon all’agnellino nascosta tra la paglia, il gioco con le mani per creare figure animali in una grotta, quando Gelsomina ritrova Martin fuggito durante la trasmissione televisiva scioccato a causa di un tentativo di essere baciato dalla zia della giovane ragazza. Film in cui non mancano le metafore su cui ci si può soffermare e riflettere. Il maggior pregio de Le meraviglie sta nel lasciar emergere ricordi ancestrali e storie di vita di chi vuole ancora ricordare una vita genuina e sincera com’era un tempo.
LE MERAVIGLIE
Un film di Alice Rohrwacher.
Con Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo, Agnese Graziani, Monica Bellucci
Visto al Cinema Capitol di Bolzano il 24 maggio 2014
(in programmazione)