Recensioni — 28/09/2018 at 10:05

Frankenstein: vivere il romanzo e rispecchiarsi nel mostro.

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RUMOR(S)CENA – FRANKESTEIN – CASTEL MAGGIORE (Bologna) – Un gruppo di uomini e donne. Una villa. Un anno senza estate. Una sfida. Sono i giovani che si trovarono nella Villa sul lago di Ginevra nel 1816, l’anno senza estate, o il connubio di artisti che da tre anni si da appuntamento tra Villa Salina o Villa Beatrice? Il ‘gioco del doppio’ è l’incipit che si ripete per tutto lo spettacolo portato in scena dal 30 agosto al 2 settembre da ‘Tra un atto e l’altro’: “Frankenstein. Un anno senza estate”.
Anche quest’anno come già accaduto per Shakespeare, Guerra e pace, il Sessantotto, il gruppo di artisti si è privato volontariamente di un regista anche per confrontare in maniera autonoma esperienze e sensibilità. A Villa Salina, col patrocinio ed il sostegno della Città di Castel Maggiore, dell’Unione Reno Galliera, della Regione Emilia-Romagna e di ATER, il gruppo di artisti guidati da Francesca Mazza ed Angela Malfitano, ha voluto da un lato celebrare un anniversario, la pubblicazione del romanzo al suo duecentesimo, dall’altro analizzarne i temi di un capolavoro universale e suggerire al pubblico riflessioni su argomenti di lunga durata.

Non una semplice rivisitazione del romanzo di Mary Shally in chiave teatrale, un liberamente tratto dà, ma la sua reviviscenza, attuata attraverso un percorso emozionale ed immersivo, nel buio, tra i rami sporgenti degli alberi, i cespugli e statue con mani che fuoriescono vive dal terreno e nenie terrorizzanti all’interno del parco. Ad iniziare e guidare il pubblico nella vicenda e nel percorso è l’attore Bruno Stori, coinvolgente e misurato al tempo stesso. Un percorso emozionale, dunque, nelle atmosfere del romanzo gotico grazie a brani declamati oppure drammatizzati con la precisa ed inappuntabile pratica teatrale che ci si può aspettare da professionisti quali Maurizio Cardillo, Fabrizio Croci, Angela Malfitano, Marco Manchisi, Francesca Mazza, Gino Paccagnella e, appunto, Bruno Stori. Monologhi e dialoghi hanno volontariamente esposto il pubblico a quesiti che illo tempore ed oggi accompagnano il romanzo, primo tra tutti il dolore e la solitudine che è spettata alla creatura di Victor Frankenstein. A lei danno voce man mano gli elementi maschili di questa Compagnia. Ha la voce urlante e rotta per il dolore e per la rabbia: sentimenti entrambi nati dall’abbandono. Ed è la voce la prima protagonista di questo spettacolo, la voce del Prometeo moderno-Croci che si rivolge al pubblico-Valton redarguendolo sull’eccesso della sete di conoscenza che, in fondo, li ha portato lì, così come nel testo fa con l’esploratore.


Mai l’aspetto del mostro è esposto in maniera esplicita agli intervenuti, piuttosto è un intuire attraverso la voce e un vedere in lontananza la sua presenza minacciosa, nell’avanzare e nell’essere ovunque. Gli stessi attori hanno vestito il ruolo del creatore, dell’homo faber, che prima, veemente per la sete di conoscenza ed ambizione ha speso tutte le sue energie per creare ‘l’essere’ e, poi, inorridito dai suoi ‘occhi acquosi’, l’ha abbandonato al suo destino di isolamento dovuta alla deformità. Forze pari e contrastanti, quindi, che nel gioco del doppio hanno animato i quadri: per affinità come quello dello studio e dell’intuizione dell’incipit della scoperta. Qui Manchisi-Frankenstein fa trapelare un’ansia da scoperta (pacata, in verità) che si carica con quella amorosa di Elisabeth-Malfitano. Divertente il dialogo in maschera sui filosofi naturali e magia di Francesca  Mazza e Maurizio Cardillo. Per contrasto invece quello dell’abbandono, perfetto equilibrio tra emozioni: da una parte la disperazione misurata di Frankenstein-Cardillo che sente ed osserva da lontano il mostro-Croci che ora lo imbonisce riportandolo pietosamente al suo dovere di ‘padre’, ora gli scaglia contro i suoi ‘perché’ e le sue maledizioni. A chiudere un’energica Angela Malfitano-Mary Shelly che racconta quanto accade. Accanto a lei, dapprima all’unisono, un’altra Shelly, Francesca Mazza, non la scrittrice, ma la donna che racconta la sua pena di figlia e madre mancata per molto tempo.

 


“E voi da che parte state, da quella del mostro o dello scienziato?” domanda Stori. È risultato difficile agli astanti rispondere perché le scene, tutte, coinvolgono empaticamente nella disperazione uguale nella forma, ma diversa come origine, dei protagonisti. Per chi parteggiare: per l’uomo artefice di una scoperta che poteva e doveva nelle intenzioni cambiare la storia dell’umanità assicurando una vita senza morte e malattie o immedesimarsi nella solitudine deforme, nell’essere reietto della società della Creatura?
È stata intenzione delle fondatrici di “Tra un atto e l’altro”, insieme al gruppo di attori, scavare nel lato oscuro, ossessivo, nelle paure che ancora oggi si annidano nella mente umana verso quel ‘diverso’ che spaventa, ripugna, eppure, in un angolo del nostro cervello, della nostra anima, attrae perché è dentro ogni essere umano. È il gioco del doppio, dello specchiarsi avendo paura di farlo, per non vedere che il Mostro dell’esclusione, della rabbia, della vendetta, ma anche della solitudine o della paura di essa è sempre presente al pari della sete senza fine della conoscenza che porta, se assecondata senza etica e morale, alla distruzione. In questo senso funzionale e inappuntabile anche nella resa recitativa è stata la citazione di Oppenheimer sulla bomba atomica a chiosa di un dialogo metafisico tra personaggi-filosofi mascherati (Cardillo e Paccagnella) sur l’herbe.

 


Quasi in chiusura ritorna l’umanità di Mary (i cui elementi autobiografici si disseminano non solo nel romanzo ma, a maggior ragione, nello spettacolo) e il suo rapporto col padre, il filosofo e politico Godwin: un delicato ed intenso dialogo di riconciliazione reso vivido da Francesca Mazza e Bruno Stori. Un’operazione davvero interessante e ben riuscita, di non facile realizzazione, ma si parla di attori che quanto a professionalità, mestiere e sensibilità non hanno nulla da dimostrare, pur potendolo fare. Sicuramente da riproporre nel tempo per poterlo rivedere.

 

Visto a Villa Salina (Castelmaggiore)  il 31 settembre 2018

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