L’immagine sul manifesto a prima vista trae in inganno. Che c’entra un corpo di uomo con il torace denudato e la testa incappucciata, con la stagione teatrale di Occhiobello, comune alle porte di Ferrara? Un condannato a morte? Una campagna di sensibilizzazione contro la pena di morte? Niente del genere, ma sempre di “morte” si parla. Quella della cultura. Lo dice il direttore artistico Marco Sgarbi nella presentazione del programma del teatro (un posto dove Fellini avrebbe sicuramente girato qualche scena di un suo film), intitolato con.danno: <<….non è solo violenta la decurtazione dei fondi allo spettacolo. È un atto di profonda violenza fare in modo che non si senta più desiderio di cultura, come altrettanto violenta è l’indifferenza che molti provano di fronte alla situazione culturale attuale. Per questo, oggi, il teatro è al muro… mentre si resta come in attesa di assistere a una “pubblica esecuzione” senza riuscire a distinguere finzione e verità>>. Non c’è altra parola che Resistere, per spiegare come L’associazione Culturale Arkadis e il Comune di Occhiobello, sono riusciti a garantire una stagione che non ha nulla da temere con quelle di teatri più rinomati. Sono passati per questo teatro, Fausto Russo Alesi e il Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, con “20 novembre”, Maria Paiato e il Nuovo Teatro Eliseo/Stabile del Veneto, con “Erodiade”, Maurizio Camilli e Ambra Chiarello del Balletto Civile/Fondazione Teatro Due, con “Col sole in fronte”, e tra gli altri la Compagnia di Teatro Sotterraneo con “Post-it”.
Un volume cubico nero ad uso contenitore da cui far uscire uomini-corpi dotati di molle. Entrano ed escono da tagli sulla tela nera, come in uscita e in entrata da situazioni futili. Tagli da cui emergere con un braccio sulla quinta di sinistra e la gamba su quella di destra. Spezzoni di corpi. Perennemente in movimento. Ritmi sincronizzati per gesti dispettosi. Un minipix da cucina che frulla il pacchetto regalo portato in dono. Una bomba a mano lanciata dentro il taglio della stoffa, da cui escono frattaglie di carne sanguinolente ad effetto horror. “Buonasera” dice un’imperterrita voce umana femminile “… situazione delicata… la prognosi è riservata… la permanenza del problema motorio, ..natura lesiva del trauma, … percentuale del settantasette per cento di guarigione”. Sono post.it di frammenti verbali, schegge di un discorso che inizia e finisce come un cerchio che ruota su se stesso. Parole e gesti compulsivi seguiti da una sequele d’azioni d’uso quotidiano, stereotipate. Talmente tanto da apparire senza senso. Eppure così vere e banali nella loro serialità. Post.it è in realtà un funerale alle banalità che si sprecano ogni giorno.
Entra un uomo che piange, poi il morto che si distende per terra. “Regia funebre, elegia funebre- un epiteto di subitanea agape…” Un linguaggio che si ingarbuglia, raffiche di parole che si sbriciolano. Versi gutturali quasi animali. Sembrano scene di disperazione, ma il morto si alza e lascia il posto ad un altro. Un teatro dell’assurdo che assomiglia tanto ad una realtà televisiva dove i sentimenti sono ad uso e consumo del gradimento auditel. A darne vita i quattro performer Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli, Claudio Cirri, bravissimi nel sostenere ritmi vertiginosi, incalzanti, dotati di una tempistica precisa al millimetro. Personaggi un po’ beckettiani, sanno fare di tutto, costruire e distruggere. Impacchettano oggetti per poi scartarli e distruggerli. Prima le monete vanno nel salvadanaio, poi un colpo di martello manda tutto in frantumi. Sono post.it che volano e si sparpagliano. Non è così la nostra società frenetica? Le comunicazioni che durano il tempo di un attimo? Una cosa ci piace e subito dopo la gettiamo via. Non siamo noi tutti dei post.it che si usano e si scartano subito dopo ? E quando uno dei quattro protagonisti finisce sotto un telo di plastica trasparente con le gocce di un psicofarmaco in mano, ti sembra che la nostra vita non è altro che una bolla d’aria che svanisce presto. Sparisce tutto dietro il fondale nero e per finire i quattro si fotografano in gruppo con l’autoscatto. Senza di loro però. La scrittura drammaturgica sottolinea alla perfezione le contraddizioni di una società consumistica, a rischio di disordine mentale, caotica e superficiale. Il lavoro risulta efficace per innovazione del linguaggio e originalità nel cogliere le situazioni paradossali del nostro tempo e trasformarle in un sapiente e calibrato gioco di specchi riflettenti.