LARI (Pisa) – Lontano dalle urla del passato, lontano dal pornografico provocatorio di “Lolita”, lontano dalla rabbia che li ha contraddistinti nel loro decennale percorso, i Babilonia Teatro, qui con Enrico Castellani alla regia, al mixer, alla drammaturgia, deus ex machina e grande burattinaio di questo “Pinocchio”. Il titolo pare essere fuorviante, almeno all’inizio. Tre persone stanno sulla scena, si muovono a fatica, incespicano sulle parole, le strascinano così come gli arti inferiori tremolanti, hanno subito un grosso trauma in un incidente nel passato, più o meno lontano, sono stati per mesi in coma e quando ne sono usciti erano diversi da quello che si ricordavano essere. Quindi il coma come momento di passaggio, anche di crescita personale, e di scarto tra quello che erano e quello che, malvolentieri, sono dovuti diventare.
Erano farfalle e adesso sono bozzoli? Erano di carne ed ossa e sono diventati burattini guidati dai fili di famiglie, operatori, psicologi, aiutanti, badanti? Erano liberi e adesso sono pesi per se stessi e per la società? La loro sembra una condizione opposta diametralmente rispetto al romanzo di formazione collodiano che, attraverso la punizione e il perdono, portava Pinocchio sulla retta via pronto a godere dei sacrifici e della giusta ricompensa morale e tangibile. Qui, abbiamo di fronte questi tre “sopravvissuti”, autoironici e pronti, assolutamente antibuonisti e antipatetismi, che si mettono in gioco davanti ad una platea voyerista (è impossibile non pensare al dramma che li ha triturati e l’azione artistica passa inevitabilmente in secondo piano senza comunque scadere nel teatro-terapia). Hanno difficoltà oggettive, nella parola e nella deambulazione, ma c’è chi è ancora rabbioso nei confronti del proprio passato, chi lo ha superato, chi sta cercando con tutte le forze di uscirne. Il percorso è lungo e forse indefinibile.
Dal mixer Enrico tira i fili dei tre (mentre sul palco non agisce ma sta il tecnico dei Babilonia, pingue e con il naso allungato pinocchiesco bugiardo) li provoca, li istiga con domande, una sorta di intervista tripla, di botta e risposta, tre personalità ed età differenti che emergono, tra testo-canovaccio e improvvisazione, si sovrappongono, si rincorrono, si stimolano, si contraddizione a vicenda. Raccontano di un altro mondo, quello loro attuale dove sono finiti come in un grande incubo dopo il grande sonno che ha azzerato speranze normali. Sta di fatto che non vogliono sentirsi di legno, non vogliono essere visti come intoccabili, o peggio ancora invisibili, oggetti da spostare da un luogo all’altro. Urlano con forza che sono di carne ed ossa, con desideri carnali, con idee viscerali, che hanno voglia di ridere, scherzare, godere, in una parola sola: vivere. Come ognuno di noi.
Non sono menomati, se non nel fisico, che è e rimane una piccola parte di ciò che è una persona. Aspettano una magia per trasformarsi nuovamente. Aspettano una fata che gli regali l’amore, l’ascolto, l’affetto, una carezza che non sia quella della mamma o dell’infermiera. Sono ansiosi d’amore, bisognosi d’amore, carenti d’amore, bulimici d’amore. E lo dicono, e lo dimostrano, senza paure. Sono senza pelle, senza filtri, veri proprio perché non hanno più niente da perdere. Sono rimasti sospesi come Pinocchio quando era impiccato, tra la terra ed il cielo, tra la vita e la morte, tra l’ieri e il domani. Non si sentono capiti, realizzati, reintegrati. Si sentono di cartone, nelle loro parole c’è gioia ma anche tristezza, dolore, disperazione ma mai rassegnazione. Sono imbrigliati, invischiati, imbracati in un corpo che non sentono loro, che non sentono appartenergli.
La ballata beatlesiana “Yesterday” però non chiarisce la tesi e l’antitesi iniziale e di fondo. Erano Pinocchi o sono adesso Pinocchi? Avevano prima fili invisibili che li trainavano e muovevano a loro insaputa, triturati nel flusso indistinto delle cose, oppure lo sono adesso mossi da altri, presi e non del tutto autosufficienti? Il dubbio rimane e le parole finali sono nostalgiche e tremende, sono squarci che tutti toccano. Forse l’affermazione più vera è che “Pinocchio è tornato Pinocchio”, forse siamo tutti pezzi di legno intrappolati dentro corpi semoventi, ci crediamo liberi quando la nostra libertà è piccola ed infinitesimale, non scegliamo ciò che crediamo di aver scelto, non andiamo dove crediamo di voler andare ma dove altri ci vogliono far andare come greggi, pensiamo conformi al nostro vicino, alla nostra società di riferimento. In questo il dramma toglie le scartoffie, lo scafandro delle sovrastrutture, la paura del giudizio. Si è più liberi, come giullari a corte liberi di qualsiasi verità, difesi dalla vulnerabilità della propria condizione. Il prezzo da pagare è altissimo per non sentirsi più Pinocchi. “La vita spericolata” di Vasco però rimane un’illusione. Non tornerà più, se mai c’è stata.
“Pinocchio”, Babilonia Teatri, visto al festival “Collinarea”, Lari (Pisa) il 28 luglio 2014.