RUMOR(S)CENA – ROMA – Possono dodici finali fare una grande apertura? Emio Greco ci ha provato inaugurando l’otto settembre la trentasettesima edizione del Romaeuropa Festival con We Want It All, lavoro costruito appunto su finali selezionati dalle oltre 60 creazioni ideate con Pieter C. Scholten. È dal 1995, infatti, che il danzatore e coreografo – originario di Brindisi – fa coppia con il regista olandese, esplorando modi nuovi di fare danza. We Want It All, presentato alla Cavea dell’Auditorium– diciamolo subito – non è il più originale, né il più riuscito. È un pastiche di sequenze che non si legano mai troppo fra loro, un gorgoglìo di slanci, energie, presenze che porta più a esaltare una compagnia di giovani talenti (in mezzo al loro gruppo storico, la Ick Dans Amsterdam, ci sono anche gli esordienti della compagnia junior Ick Next) rispetto al proporre qualcosa di compiutamente nuovo.
L’idea ci poteva stare: un repertorio di venticinque anni trasformato in una passerella da grande soirée. In fondo, non molto tempo fa (2015) Jerome Bel, irriverente ragazzaccio della danza francese, ci ha creato un gran bel pezzo, Gala, sulle sfilate in scena. Lì però c’era una ricetta di base, data dal cast di danzatori amatoriali o casuali addirittura, che proponeva sapori inaspettati. We Want It All, invece, rimescola le sue storie senza un collante davvero efficace. Non bastano a puntellare lo showcase le apparizioni di Emio, sia pure dotato della sua “divisa d’ordinanza” – scarponi neri e la logora vestina di tela bianca un po’ sghimbescia – a ricordo di quando saettava in scena con guizzi nervosi.
E nemmeno i lampi di luce che Scholten riesce a imprimere qua e là con la sua consueta genialità. We Want It All resta un contenitore di memorie, come era negli intenti degli autori, ma senza quell’innovazione che si doveva accompagnare a questa forma-spettacolo. Il giovane “esercito” di danzatori butta generosamente tutto il suo entusiasmo in scena e forse proprio in quella carica di energia – immersa in una sonorità da Bach ai Queen (il titolo è un omaggio dichiarato a Freddie Mercury) – si ritrova l’eredità migliore di Emio e Pieter: una danza liquida, scheggiata, ibrida. A volte, persino sbrindellata, ma questa sembra una caratteristica comune a molte produzioni contemporanee: il disordine esistenziale che turba il mondo e si riflette nell’arte.
Visto al Romaeuropa Festival l’8 settembre 2022