VIE Festival nasce con l’obiettivo di attraversare la contemporaneità, di intercettare nuove identità nell’ambito dello spettacolo dal vivo. Da tredici anni è un appuntamento importante e atteso per il pubblico emiliano. VIE Festival mette al centro del suo programma la creazione contemporanea, la forza del nuovo, gli artisti capaci di esplorare le zone di contatto fra le arti sceniche, la danza, la musica, le arti visive, il cinema. L’idea di contemporaneità si coniuga immediatamente con quella di complessità. Questa la riflessione su tre momenti diversi di un festival che tiene sempre alta l’attenzione alla sperimentazione.
Ispirato al poema incompiuto Hérodiade del simbolista Stéphane Mallarmé, Erodiade – Fame di vento presentato a VIE festival è il riallestimento dello spettacolo che la coreografa Julie Ann Lanzilotti propose nel 1993. La pièce fa parte del progetto RIC.CI/Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni ’80-’90, dedicato alla memoria storica della nostra danza contemporanea. Questo spettacolo spicca per la forte sinergia fra gesto, danza, parola, musica e tratto visivo; la scenografia, firmata da Alighiero Boetti, crea in scena quasi un recinto sacro giocato su invenzioni visive, un luogo di ricerca e di approfondimento del rapporto tra linguaggio coreografico e linguaggio teatrale. Parola e danza si affiancano, espressionismo ritmico e musicalità si integrano, solitudine ed evanescenza percorrono ogni centimetro della scena.
Il personaggio protagonista, la principessa Salomè, è il collettore di figure archetipiche (lo Spirito del Male, lo Spirito del Bene, la Nutrice, Giovanni Battista), che, vissuto il dramma, vengono incanalate da un angelo verso un percorso catartico. La voce fuori campo di Gabriella Bartolomei accompagna la narrazione coreografica e conferisce un’atmosfera surreale all’azione scenica, che si chiude un po’ banalmente con un messaggio di speranza.
Chekhov’s first play (Platanov), prima nazionale del collettivo Dead Centre di Dublino, è una pièce destrutturata. Uno dei due registi sale sul palco e presenta il lavoro, che poi commenterà fuoriscena durante l’intera recita. Lo spettacolo è in inglese con sovratitoli in italiano, e le cuffie in dotazione permettono di seguire le riflessioni irriverenti e sagaci e i commenti di uno dei registi. Che cosa amava inserire nei suoi drammi Cechov? Il manoscritto dello spettacolo del drammaturgo russo, ritrovato nel 1921, ma scritto tra il 1880 e il 1881, è un’opera complessa quasi impossibile da mettere in scena per i troppi personaggi, temi ed azioni.
La rilettura dei due registi irlandesi ha disintegrato il dramma nel corso dello spettacolo. Si fatica a ritrovare l’autore, fantasma tra i tanti fantasmi. Sul palco, un dottore che non sa curare, una proprietaria terriera che non sa amministrare. Sullo sfondo una campagna russa arretrata, logora, apatica. Il maestro elementare Platanov è il perno attorno a cui ruota il dramma. Il protagonista è un uomo comune, non ha niente di speciale, eppure fa innamorare le donne e ammalia gli uomini di questa decadente borghesia russa. Non parla, è eterodiretto dalla stessa voce che sentiamo in cuffia. La decadenza pervade tutto. I personaggi sono grumi di vita. I Dead Centre indagano la forma in quanto comunicazione: tra pizzi, merletti e samovar, invaghimenti e frivolezze, emergono i personaggi, minacciati dalla latente depressione. Lo spettacolo oscilla tra vacuo divertimento e amaro disincanto, consapevolezza dell’assoluta inconsistenza del piccolo mondo e disperazione, che sfocia alla fine nello sparo di una pistola. E’ uno spettacolo non immediato, pieno di colpi di scena, sarcasmo e spunti comici. Gli attori sono bravi, i costumi e le scene interessanti.
Il regista georgiano Levan Tsuladze, direttore del Kote Marjanishvili State Drama Theatre di Tbilisi, ha presentato a VIE Festival Begalut – In esilio. In questo lavoro in cui non ci sono parole, c’è un chiassoso silenzio. Azioni, plasticità, coreografie, gesti, musica e suoni e rumore, tanto silenzioso rumore, raccontano la storia. Come attraverso un vetro, osserviamo le vite di due famiglie ebree grandi e felici: non sentiamo le loro voci, ma percepiamo il loro umore, la loro gioia, speranza, passione, il loro timore del sopraggiungere di drammi e di tragedie intensi. E’ facile immaginare che si tratti di due famiglie ebree che si conoscono in esilio. Il destino sembra lentamente modificare la loro esistenza, e un giorno la loro vita tranquilla e felice viene improvvisamente minacciata, rischia la distruzione totale, il futuro pieno di speranza si trasforma in un tempo pieno di ansia, ma è impossibile sconfiggere coloro che anche nelle avversità si preparano per un futuro trionfo. La storia degli ebrei come nazione in esilio da secoli, è un tema cruciale.
La generalizzazione però non manca, una metafora per la distruzione e la sopravvivenza, la storia eterna di un boia e di una vittima, del bene e del male, della disperazione e della speranza. Le scene sembrano essere dettate dalle esigenze di una ripresa cinematografica. Il regista usa le caratteristiche specifiche dei film muti, tra cui la composizione della scena, la rapida concatenazione degli episodi e chiaramente la recitazione mimica per creare una poetica illusione coperta di leggera foschia, ricca di umorismo e felicità, reale, ma irreale.
Fame di vento ispirato a “Herodiade” di Stéphane Mallarmé visto al Teatro Storchi di Modena il 14 ottobre 2017 VIE Festival
Chekhov’s first play (Platanov) visto al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena il 14 ottobre 2017 VIE Festival
Begalut – In esilio visto al Teatro Storchi di Modena il 21 ottobre 2017 VIE Festival