RUMOR(S)CENA – PERGINE (Trento) – Un festival radicato nel proprio territorio di appartenenza deve essere percepito dalla propria comunità, il cui intento è anche quello di favorire forme di inclusione sociale, al fine di promuovere una sua identità riconoscibile. Tra i festival visti nel corso dell’estate 2021, Pergine Festival ha il pregio di coinvolgere attivamente la cittadinanza residente, ancor prima del pubblico, con progetti mirati capaci di favorire la partecipazione collettiva. La sua vocazione è rintracciabile leggendo la presentazione della 46 esima edizione che si è conclusa nel mese di luglio scorso: « (..) il contatto fisico, la vicinanza. La possibilità di incontrarci e condividere esperienze ed emozioni, un invito alla riconnessione, al contatto e alla relazione dopo il blackout sociale e culturale. Abbiamo immaginato questa edizione come un grande abbraccio sociale: un abbraccio tra le persone, gli artisti, il pubblico e tutto il settore dello spettacolo e delle arti performative».
Una strada intrapresa fin dall’inizio della direzione artistica assunta da Carla Esperanza Tommasini: quella della ricerca e sperimentazione, ma viste le criticità del comparto messo a dura prova da restrizioni e chiusure, la domanda d’obbligo è: la politica nei confronti della cultura in generale sa affrontare con soluzioni efficaci il futuro incerto che attende anche il settore dello spettacolo?. Mantenere alta l’attenzione sull’evoluzione dei processi sociali non è compito anche del teatro? La sua capacità di indagare il presente e non solo, tramite le poetiche degli artisti, è o non è la sua missione? Forse si sta smarrendo questa importante vocazione. Non è facile rispondere a interrogativi che ne generano degli altri come forse è giusto che sia, ma è altrettanto importante non eluderli mai.
«Teatro, danza, performance, musica, cinema e installazioni, tante proposte diverse per attivare pubblici differenti, rafforzare il dialogo con la città e riconnettere la dimensione emotiva di ciascuna con quella sociale e collettiva», è l’incipit dell’edizione 2021 del festival più longevo del Trentino, fondato nel 1976, su cui si era basato il programma presentato nella scorsa estate. Scelte artistiche di differenti generi, trasversali tra di loro, basate principalmente sul coinvolgimento attivo degli spettatori chiamati ad interagire in modalità partecipative. Spettacoli dal vivo nelle sue molteplici forme: teatro, danza, performance, creazioni per lo spazio pubblico dove sono state create condizioni di accessibilità nell’intero territorio della città e dei suoi luoghi circostanti.
Site specific come la visita guidata alla scoperta dei paesaggi che compongono il territorio limitrofo di Pergine: dal torrente Fersina alla miniera dell’Erdemolo a 1700 metri di altitudine. Un viaggio immersivo con l’intento «di ritrovare le tracce del dialogo secolare tra l’essere umano e la natura». Esperienze socializzanti utili per ritrovarsi insieme e condividere quel senso di appartenenza ad una comunità, come menzionato all’inizio, e di quella che vorrebbe essere una riflessione a posteriori. Una partecipazione non intesa come semplici invitati ad assistere alle diverse performance, quanto dei protagonisti attivi nel condividere il vissuto emotivo esplicitato nelle intenzioni dell’artista che ha ideato e sviluppato il progetto. Non un semplice modo di uscire dagli schemi tradizionali, in alternativa ad una proposta artistica consueta, come potrebbe essere frainteso facilmente.
Il Pergine Festival 2021 ha visto la presenza tra gli altri anche del Circolo Bergman, un collettivo apprezzato negli anni per la loro capacità di dialogare con le varie associazioni locali. In questa edizione ha proposto “Vista interno”, una visita guidata alla scoperta di luoghi urbani altrimenti inaccessibili e facente parte di una serie di progetti accomunati dallo stesso obiettivo: far si che l’esperienza vissuta sia itinerante e mai statica. Una proposta dinamica capace di rappresentare un valore aggiunto al fine di permettere a tutti di condividere con gli artisti il senso dell’agire performativo. Una relazione che si viene a creare sulla base dello scambio reciproco dove si annullano la distanze, normalmente vissute in altri spazi teatrali convenzionali.
Lo ha fatto anche Leonardo Delogu con il suo “Silenzio precedente” dove l’intento era quello di entrare in contatto con le «creature non umane, le piante, immaginando possibilità nuove per la specie umana di pensarsi e sentirsi immersi in un sistema di relazioni». Un filo conduttore capace di intrecciarsi fino a creare una rete tra esperienze diverse e progettualità artistiche, se pur differenti tra loro, accomunate, però, dalla volontà di creare delle relazioni estemporanee. O forse anche capaci di andare oltre, se animate dal desiderio di dare un seguito, come a volte accade quando ci si ritrova dopo aver assistito ad uno spettacolo per il collaudato rito del dopo teatro. E di riti se ne è occupato anche il Collettivo Cantabile 2 con la performance “Tre Riti” un estratto di RE(W)RITE ! ideato per la partecipazione attiva, dove ognuno dei presenti veniva invitato a sperimentare su di sé la capacità di svelare caratteristiche individuali della sua personalità a chi stava accanto.
Una sorta di rito collettivo forse ispirato a ben altri metodi analitici di gruppo con finalità terapeutiche. Il parlarsi, scambiare vissuti esistenziali, interagire se pur sollecitati da un conduttore/mediatore, è qualcosa che può suscitare un beneficio al di là del riscontro temporaneo? Non è semplice poterlo dire ma è altrettanto vero che il ritrovarsi in situazioni di questo genere può determinare, anche per un osservatore abituale, forte della sua esperienza pregressa (stiamo pensando più al critico piuttosto che ad un operatore) una reazione diversa da quanto provato da un partecipante/spettatore comune. Una reazione percepita nel momento stesso (in chi scrive ora) è stato coinvolto al pari di altri, con la difficoltà di vivere il “rito” con uno sguardo più disincantato per individuare le caratteristiche stesse della creazione da parte di Nullo Facchini che ne firmava la regia e la presenza dei performer Elisa Menon, Sara Vilardo e dello stesso regista.
Forse un risultato può essere anche il provare una certa “conflittualità” tra l’essere partecipante e allo stesso tempo occhio critico, nel riuscire a confrontarsi con chi, invece, dimostra maggiore adesione ed entusiasmo, senza altri fini se non quello di farsi coinvolgere. Il porre in discussione il proprio ruolo a fronte di una soggettività altrui decisamente meno contaminata da stereotipi, convinzioni, o pre-giudizi, tipici di chi svolge un ruolo professionale. Lo sguardo distaccato a volte impedisce di poter sentire e vivere con maggiore adesione tali esperienze. “A certian value “ aveva come scopo principale quella di «invitare a riflettere sulle tante forme che la condivisione può assumere»: un progetto ideato e curato da Anna Rispoli e Martina Angelotti, frutto di un lungo lavoro di ricerca su quattro collettivi di altrettante città europee.
Famiglie di emigranti in una situazione di occupazione abusiva in Francia, professionisti del mondo dell’arte che condividono un unico conto in banca in Belgio. Un gruppo di detenute del carcere femminile di Rennes (Francia) e, infine, bambine e bambini eco – attivisti dell’Ungheria, le cui sorti del nostro pianeta sono motivo di preoccupazione. L’interazione con il pubblico avveniva tramite la lettura di schede estratte a sorte con dei numeri, in cui erano riportati dialoghi originali desunti dai colloqui effettuati con i soggetti originali. Un progetto singolare per certi versi, la cui possibilità era rappresentata dalla possibilità di confrontarsi con le problematiche sociali, culturali, e anche politiche, di chi realmente le vive, con una autoidentificazione collettiva in cui era necessario calarsi. Sottrarsi significava non cogliere il senso reale della performance.
Con tutte le difficoltà del caso: l’interpretazione e l’immedesimazione giocate sul filo di una presenza attiva nell’accettare l’invito e farlo diventare azione consapevole. Come possono essere le dinamiche esistenziali e quotidiane in una società sempre più refrattaria nel difendere forme di coesione sociale, viste le reazioni su temi divisivi e laceranti contrapposizioni; da cui scaturiscono ideologie capaci solo di creare sempre più una frattura all’interno di una società già colpita da una crisi globale in cui cui è ancora difficile vederne l’uscita.
Esperienze partecipate nel mese di luglio 2021 al Pergine Festival
crediti foto di Elisa Vettori e Giulia Lenzi