Un uomo, Jean. Un servo in livrea, pronto a scattare al comando dei suoi padroni, ma libero allo stesso tempo di dare sfogo ai propri istinti. Un uomo-animale, ambizioso d’una ambizione chiara, avido di ricchezza e successo, retto dal buonsenso e dalla prudenza. Una donna, la Signorina Giulia, nobile, abituata ad ottenere tutto, sempre ed in qualunque modo, ma preda di brame oscure, continuamente frustrate, espresse per negazione. Prigioniera di esse.
Nella notte magica di San Giovanni, nel mezzo dell’estate, Giulia e Jean si incontrano nella cucina del palazzo. E’ questa l’anticamera del regno inferico, dove ogni brama si fonde in un’unica angoscia indistinta. E’ qui che ha luogo l’incontro fra la bestialità dell’istinto ed il pensiero umano più contorto, aldilà delle convenzioni, della classe sociale, del proprio ruolo.
Ha dunque inizio il gioco sottile e perverso dell’incubo-succubo, di due esseri le cui energie esistenziali, scambiandosi in continuazione le parti, sperimentano sottomissione e dominio. Ha radici profonde questo gioco, covato in infanzie ferite, nel delirio da baccante di una madre orgogliosa e crudele, nelle romanticherie vere o presunte d’un figlio del popolo che contempla estasiato le fortune dei ricchi e la bellezza delle loro giovani figlie. Rotti gli argini del senso comune, di quel buon senso che regola la vita degli uomini, non rimangono altro che due belve che si strappano le carni con parole taglienti, che si cospargono di fango, che si accerchiano, si seducono per possedersi. Eppure queste brame abissali sono ben più che animali. Rispetto ad una simile ambiguità, nulla c’è di più umano.
Cadere in basso, bramare il precipizio. Sciogliersi nella vertigine e nel suo richiamo. Questo è il sogno ricorrente della Signorina Giulia. Sprofondare. Una creatura senza pace che risveglia le feroci mire di un suo sottoposto, desideroso di farsi padrone, di farsi predatore. La seduzione fintamente ingenua della padrona e la sua ostentata autorità incontrano il desiderio di rivalsa e la frustrata ambizione di un uomo che ha il campanello di chiamata del padrone al posto del cuore. Una devozione totale che genera dunque anche il suo odio, pronto a scatenarsi in una carneficina della mente dove le smanie represse rivelano l’ impagabile estasi del comando sprezzante e l’immensa liberazione dell’essere comandati, del sottomettere volontà e scelta a qualcun altro.
Giulia gioca con i propri incubi e con i sogni, li confonde, altera i contorni delle cose, per poi smarrirsi nel labirinto dell’indefinito e dell’indefinibile. Battuta dopo battuta, infatti, le parole vengono spogliate d’ogni convenzione e formalità adatte al consueto rapportarsi degli uomini. Questo è il dominio del puro essere, della parola che ostenta la propria scandalosa nudità liberando il desiderio di essere altro da sé. Rivelando dunque allo stesso tempo l’impossibilità del categorizzare l’infinita varietà del singolo.
“Signorina Giulia” non è una tragedia di veglia. E’ opera notturna, momento in cui nell’anima abitano solo sogni e incubi, orrori e delizie. Momento in cui la volontà si abbandona e la mente viene trascinata nei suoi stessi abissi. Ecco, è lì che deve trovare una conclusione ogni cosa, nell’ipnotica sospensione della volontà. L’ordine è infine ristabilito, la signorina post mortem riassunta nel suo rango, gli stivali entro mezz’ora lucidati … la vita insomma può continuare dall’alba che sorge dopo l’infausta notte di mezza estate.
Intensa l’interpretazione di Valeria Solarino, attrice nata nella Scuola del Teatro Stabile di Torino, affermatasi poi anche come attrice cinematografica. Appassionata, affannata, dotata di una fisicità accesa e irresistibile, pura bambina vestita di bianco, desiderosa d’essere sottomessa, ma anche donna feroce, dominatrice. La fronteggia nel ruolo di Jean Valter Malosti, spogliatosi di livrea e compostezza, sedotto seduttore vestito di pelle nera. Viola Pornaro interpreta l’umile Christine, spettatrice sconcertata del delirante gioco, impotente quanto il pubblico.
La regia, curata dallo stesso Malosti, contribuisce a mettere a nudo senza reticenze la meschinità e il sadismo del dramma raccontato. Rende viva e vera la tragedia sempre attuale delle ambiguità umane. Penetra nelle viscere dello spettatore. Non sempre musicale, ma forse in fin dei conti necessario ed efficace l’adattamento linguistico. Molto convincente la scenografia di Margherita Palli: la cucina in cui si svolge la vicenda è costruita come un piano pericolosamente inclinato. Un passo falso e si scivola giù. Si sprofonda nei gorghi senza salvezza della psiche.
Signorina Giulia
di August Strindberg
versione italiana di Valter Malosti
con Valeria Solarino (Signorina Giulia), Valter Malosti (Giovanni), Viola Pornaro (Cristina)
uno spettacolo di Valter Malosti
scene Margherita Palli
costumi Federica Genovesi
luci Francesco Dell’Elba
Produzione della Fondazione Teatro Stabile di Torino
visto al Teatro Verdi di Padova il 26 gennaio 2012