GENOVA – Difficile, ostico, pruriginoso, grottesco, comico, scomodo, evocativo. Il teatro di Emma Dante è stato connotato, criticato, sottolineato, esaltato a più non posso, durante gli ultimi quindici anni di carriera da regista; consacrata dal riconoscimento degli Ubu ed il Premio Scenario per il primo spettacolo della trilogia sulla Famiglia, ormai famosa che racchiude i tre lavori-celebri dell’artista: mPalermu, Carnezzeria e Vita mia. Difficile perché il dialetto siciliano o napoletano, come nel caso de La scortecata, se non lo pratichi non lo comprendi bene bene; ostico perché gli argomenti trattati non sono proprio una “passeggiata”: qui abbiamo due sorelle ormai sulla soglia dei novanta anni, che vivono come recluse dentro ad una catapecchia, non si sopportano, ma si devono aiutare; pruriginoso …; certa gestualità ripetuta all’infinito nel silenzio più totale e che fa pensare a tutt’altro come il succhiarsi il dito mignolo avanti indietro, incessantemente per cercare di renderlo il più liscio possibile e così far credere ad un re che passava di lì per caso – invaghitosi della voce di una delle sorelle – che dall’altra parte di quella porta chiusa vi abiti una giovinetta; grottesco ma anche comico ; quando il re e la fantomatica giovinetta si incontrano al buio per dar sfogo all’amplesso che viene mimato al ritmo di Mambo Italiano, da i due attori in scena.
Sì, sono due uomini, Carmine Maringola e Salvatore D’Onofrio, compagni di lungo corso all’interno della Compagnia Sud Costa Occidentale, gli interpreti di questa pièce tratta dalla una delle novelle de Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile, opera della prima metà del ‘600 (anche il regista cinematografico Matteo Garrone vi si ispirò per The Tale of Tales/Il racconto dei racconti): La scortecata, appunto, dove si alternano in ruoli ora da femmina ora da maschio. E poi giunge la favola nei panni di una fatina che trasforma la vecchia in una giovane dai lunghi ed ondulati capelli rossi e le donerà la vita eterna. Trapela un tema socialmente attuale, vivissimo ai giorni nostri e si inizia a comprendere sempre di più il perché di questa scelta della regista; lei che ha sempre rappresentato le crude vicissitudini familiari, l’emarginazione, la miseria ed il rimpianto, ora si aggiunge anche l’esplorazione di quel vizio sotterraneo ma non troppo, che colpisce un po’ tutti noi, chi più chi meno, con la rincorsa scellerata ai giorni della gioventù, ai diktat dell’apparire.
Ma proprio durante le scene finali, quando il sortilegio è avvenuto e la sorella rimasta vecchia realizza – che sarà sola fino alla fine, pronunciando con una disperata stanchezza: “… sono stufa di essere vecchia, perciò mi devi scortecare”; ed è qui che giunge l’incantesimo del teatro di Emma Dante, evocativo e scomodo allo stesso tempo, bello profondo struggente che ti entra dentro, e per davvero. E’ già finito lo spettacolo? Perché quanto è durato? Un’ora? Emma Dante ci ha abituati così, a non prolungare né il supplizio né l’emozione ed a lasciare in sospeso, quando invece si vorrebbe restarne immersi ancora e ancora, senza fine.
Visto a Genova al Teatro Gustavo Modena, sabato 27 gennaio 2018