RUMOR(S)CENA – GENOVA – C’è un teatro che non ha paura dell’ansia nel suo raccontare il mondo e la vita crudele. C’è un teatro che mostra e rispetta. C’è un teatro che va in giro ramingo e guarda con gli occhi sgranati lo scandalo da raccontare. Così, senza enfasi, con pudore e dolcezza, ma anche senza fare sconti, Laura Sicignano offre alla realtà molto comoda della vita che a volte ci sembra difficile, le note di un suo viaggio, appuntate con doloroso stupore, in un non luogo del mondo dove vivono nascoste ad un mondo “cvile” migliaia di persone. È in scena al Teatro Modena di Genova “Kakuma. Fishing in the desert”, nuova produzione di questo Teatro Nazionale molto attento alle cose del nostro tempo e pronto a dare spazio e attenzione a quel “teatro-documento” poco presente sui palcoscenici italiani. Mentre invece ad andarci in questo teatro di Sampierdarena che sembra di frontiera ed è accogliente, ne vale la pena, ed ancora una volta il sussulto dell’interrogativo coglie di sorpresa lo spettatore, fermo per poco più di un’ora ad ascoltare la voce dolce e decisa, calda e struggente di Irene Serini al racconto stupito, al percorso con cui le immagini, i suoni, i movimenti del corpo di Susannah Iheme disegnano spazio e sommano sentimenti. Una bella emozione. E il pensiero che non si ferma e va oltre il tempo dello spettacolo a chiedersi e dirsi.
“Questo testo è un poema – reportage danzato, pensato per un’attrice e una danzatrice, in costante relazione. L’attrice è bianca. La danzatrice nera”, scrive Laura Sicignano come incipit del suo lavoro; ci avverte e racconta il suo viaggio, sul fondo della scena proietterà le frasi utili a dire della vita in un posto sperduto del deserto. Cosa c’è dunque in quel posto remoto dell’Africa dove Laura Sicignano ha trascorso il suo tempo di drammaturga e regista, non stanca ma certo sorpresa oltre ogni immagine di cronaca? Cosa c’è sulla scena a fare spettacolo?
Kakuma è uno spazio al confine tra il Kenya e il Sud Sudan, non è villaggio o città, non è nome per carte geografiche. Kakuma significa “nessun posto”. Qui vivono, cancellati dal mondo, circa duecentoventimila persone, uomini, donne, vecchi, bambini, gente fuggita dalle proprie terre in conflitto disperato e perenne. Vivono in microcomunità disperate e senza futuro, ma anche senza presente. Così ci racconta l’attrice che è guida. Qui gli spazi sono grandi e distanti. Ce li mostrano immagini proiettati su schermi dispersi nella scena che è ammasso di trovarobato senza storia e senz’altra funzione che quella di occupare lo spazio secondo le necessità del racconto. È la scenografia disperata di Guido Fiorato, che cerca un senso ed una necessità in oggetti altrimenti inutili e che qui sembrano avere invece una voce e uno scopo, diventano torri da scalare e montagne, strumenti ed aiuti a placare la rabbia ed a dare riparo ai pensieri ed ai corpi. Alle due donne in scena, a noi pubblico in sala, il compito di offrire un senso ed un suono a quegli oggetti, a quelle parole, a quei gesti orchestrati dalla regia accogliendo emozioni, parole, musica.
Realtà impensabile e lontana, ignorata dalle cronache, ce la racconta Irene Serini ed ha commozione e sussulti nervosi, dolcezza stupita e sorrisi rari di speranza. Perché, questo spettacolo sembra voler avvertire, in tutto questo orrore distante e colpevolmente ignorato fino ad ora, che quel Fishing in the desert «è sottotitolo, è un’utopia, ma è anche la direzione verso cui si sono mosse nella storia innumerevoli persone che hanno cambiato il destino del mondo». E così, nell’instancabile movimento che fa del palcoscenico un territorio altro di subbugli e disperazione, il tempo si spinge e s’impenna, si ferma e riprende come ad onde e sorprese e ci dice molto più di cronache avare o scioccamente stupite. Ci mostra l’orrore stupido e violento, ma anche il sorriso di speranza nella storia crudelissima di Fabian, un giovane profugo violato. Uno dei tanti. Perché è evidente che a volte il teatro può essere ancora una voce, un sussurro ed un grido.
Kakuma Fishing in the desert testo e regia Laura Sicignano con Irene Serini e Susannah Iheme scene e costumi Guido Fiorato coreografia Ilenia Romano musica Uhuru Republic Raffaele Rebaudengo, Filo Q luci e suono Luca Serra assistente alla regia e direttrice di scena Francesca Mazzarello
assistenti volontari a scena e ai costumi Beatrice Napoli, Chiara Rossi, Nicolò Tomasi Produzione Teatro Nazionale di Genova
Visto al Teatro Gustavo Modena di Genova il 24 gennaio 2023