Teatro, Teatrorecensione — 30/04/2012 at 10:54

Una “Fine” di una “Famiglia” che sembra finire dentro la nostra vita

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Che brutta Fine fa la Famiglia. È una fine che non lascia scampo. Se ci vivi dentro ti può accadere l’inverosimile o più precisamente un reale molto simile a quello che c’è nelle nostre vite. Chi non ha mai subito o procurato litigi, incomprensioni, separazioni nella propria famiglia , dove l’ordinaria follia degli affetti e dell’amore sembra esplodere da un momento all’altro? Un po’ come succede nel film Parenti serpenti, diretto da Mario Monicelli, dove una famiglia riunita per festeggiare il Natale, con tutti i parenti per il tradizionale cenone, rivela un feroce cinismo carico di odi e rancori mai sopiti, fino ad organizzare un finto incidente domestico allo scopo di eliminare i vecchi genitori. Se questo accadeva al cinema nel lontano 1992, oggi giorno c’è un’altra storia che racconta come la famiglia non poi è poi quella del “si vogliono bene a tutti i costi”, propagandata da una cultura borghese e benpensante che cerca di far credere, compresa una certa morale cattolica, come la famiglia rappresenti l’istituto sociale il più ideale e perfetto possibile, esente da qualunque problematica, o nel caso vi sia comunque, l’importante è tacere e far credere che non accade nulla. Gli psicologi dicono, invece, che e’ opportuno in situazioni di crisi o di sofferenza, consigliare il coinvolgimento di tutti i membri per cercare di sanare i rapporti. In una famiglia molto particolare questo non è accaduto, ed è quella della Compagnia Animanera con il suo spettacolo Fine Famiglia: la “più dannosa e nefasta accezione, partitura di corpo e parole sull’inadeguatezza collettiva, dove l’esaurimento degli errori possibili non lascia più spazio alle relazioni umane.”

Quello che accade tra un uomo e sua moglie, genitori di due figli ( gli attori Debora Zuin, Natascia Curci, Nicola Stravalaci, Matteo Barbè ) la sera di Natale quando decidono di separarsi per sempre, gli uni dagli altri, pensando fosse facile dirsene di santa ragione, fino a ripudiare ogni forma di affetto o sentimento figliale o e paterno/materno. Invece no. Smentire ogni parola o gesto offerto o ricevuto nel passato e decidere di ripudiarsi diventa sempre più difficile. Uscire e andarsene è più complicato del previsto. Specie per i figli. Le dinamiche si complicano in un perverso gioco di incastri relazionali, rese vivaci ed esilaranti dall’abile regia di Aldo Cassano capace di creare spunti interessanti, anche per una seria riflessione.

Fine Famiglia si basa su una girandola vorticosa di azioni, sempre al limite del paradosso comico ma dove non è difficile scovare riferimenti ad una natura umana, incline a farsi del male e spesso combattuta tra sentimenti di odio e di amore che se poi ci guardi dentro sono complementari e simili. Sono le battute feroci e sarcastiche del testo drammaturgico di Magdalena Barile a far risaltare le provocazioni messe in atto da un quartetto di attori strepitosamente bravi nel caratterizzare i loro “diabolici” personaggi: “ Mangio la torta… oppure mangio la torta e poi vomito” , dove la madre fa di tutto per non essere abbandonata e si cimenta nel cucinare la torta per ricattare la sua famiglia. “Dov’è il micio? L’ho buttato via. “ La figlia confessa: “ Sono incinta… Come si chiamerà?… Per ora feto!…. Quando nascerà? …. Mai. Ho deciso di abortire”. Sono un esempio dei dialoghi che si gettano addosso genitori e figli. E che dire di una madre quando a suo figlio gay spiega: “ Se tu non vuoi andare con le donne perché non la vuoi tradire la tua mamma, io lo apprezzo!” Più cinico di così cosa c’è? Sono legami patologici, resi ancor più stridenti dal dinamismo di un impianto scenico che ruota intorno ad una cucina – forno per la cottura, dove ci finiscono dentro tutti a turno, mentre la madre impasta in una nuvola di polvere di farina, la sua torta sentimental-affettiva- ad uso e consumo, per ricattare i suoi indiavolati famigliari e lei, una madre ossessiva, si dichiara perfino “santa, l’unica che sa amare”, dileggiata subito dopo da suoi famigliari che la definiscono “ una pazza, crede di avere l’aureola in testa”.

Quando i figli tentano per l’ennesima volta di scappare da quella casa -prigione, lei si posiziona a gambe aperte come se dovesse partorire, esclamando come una forsennata. “ Se lo volete voi uscite da qui!”. È come se dicesse:  “Io vi ho creato e vi riprendo dentro di me”. Psicopatologia della famiglia quotidiana. Altro che Mulino Bianco dove vivono in una favola dove non ci credono più nemmeno i bambini, e ti fanno credere che i padri amano i figli che a loro volta amano le madri, mogli felici e appagate e innamorate dei propri mariti. Leggende metropolitane. Fine Famiglia suscita la risata ma quella che ti scuote dentro e lascia un qualcosa di amaro sulla coscienza. Ha il sapore di una medicina sgradevole. Tutto concorre al successo: regia, bravura degli attori, una recitazione brillante che si avvale di una scelta musicale, scelta con l’intento di sottolineare efficacemente, l’ottima drammaturgia. Vale la pena citarla per la sua valenza artistica autonoma, da “Lunedì cinema” di Lucio Dalla a “Per un pugno di dollari” di Ennio Morricone, “Marcia funebre di una marionetta” di Gounod, “Dolce mammina” di Franco Godi, fino a “Che tempo fa-meteo”, sigla della Rai del 1968, senza dimenticare quella di “Casa Vianello” di Augusto Martelli, l’antesignana famiglia dove Raimondo Vianello e Sandra Mondaini erano i precursori di questa Fine Famiglia che quando finisce il pubblico applaude calorosamente e corre a casa. Non si sa mai che accada qualcosa di simile.

 

Fine Famiglia visto allo Spazio Praticabile diPonte Zanano di Sarezzo (Brescia) il 13 aprile 2011 nell’ambito della rassegna Proposta ’12, progetto teatrale per la valle Trompia.

Testo di Magdalena Barile, regia di Aldo Cassano.Con Debora Zuin, Natascia Curci, Nicola Stravalaci, Matteo Barbè. Assistente alla regia di Antonio Spitaleri. Allestimento scenico di Petra Trombini, costumi di Lucia Lapolla, luci di Fabio Bozzetta, audio di Luigi Galmozzi. Produzione Animanera.

 

 

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