RUMORS(C)ENA – BIENNALE TEATRO – VENEZIA – Attore/performer, parola/azione: prevale l’uno o l’altro? quale direzione sta prendendo la scena europea? Questi sono gli interrogativi che Antonio Latella, al suo secondo anno come direttore della Biennale Teatro a Venezia, dopo aver affrontato nel 2017 il tema della regia, ha messo al centro dell’edizione 2018. Attraverso mini-rassegne che vedono protagonisti giovani artisti europei di discipline diverse – coreografia, regia, musica, arti plastiche, giocoleria, arte dei burattini, mimo – la Biennale offre allo spettatore un panorama variegato dal quale trarre delle prime, provvisorie, considerazioni.
Al suo esordio sulla scena italiana Davy Pieters, trentenne regista olandese, ha presentato How did I die la storia di un delitto, rivissuto più volte come in un videotape che viene proiettato e poi riavvolto. I tre attori protagonisti (Klara Alexova, Nina Fokker, Joey Schrauwen), con grande bravura, agiscono muovendosi avanti e velocemente indietro, a ritroso, rivivendo la vicenda che però ogni volta, con l’introduzione di piccole variazioni, appare in una prospettiva diversa. È il tema del relativismo, dell’impossibilità di ricostruire una verità univoca, come per primi teorizzarono i Sofisti nell’Atene del V secolo e come in campo cinematografico Akira Kurosawa rese mirabilmente in Rashomon nel 1950. Sulla scena tutto si svolge in maniera ossessiva, sullo sfondo di un’ambientazione – una foresta, la riva di un lago, una stanza – che cambia con lo scorrere di tre tende. Luci (Bob Ages) e musica (Jimi Zoet) creano un’atmosfera allucinata.
Sul rapporto tra essere umano e oggetti invece sono stati giocati, a seguire, Oblò, ideazione e regia di Giuseppe Stellato, e Things that surround us, concept e coreografia di Clement Layes. Il primo mette davanti agli spettatori una lavatrice e due microfoni di fronte ai quali sta il performer che dipinge di rosso una lunga tavola che delimita lo spazio. Artista e pubblico fissano l’oblò della lavatrice, metafora – come spiega Stellato – dell’estraniamento provocato dai display di smartphone e computer. Una denuncia della tecnologia come filtro che ci allontana dalla realtà e lava la nostra coscienza, come fa la lavatrice con i panni sporchi, assolvendoci dall’indifferenza con cui assistiamo a eventi drammatici.
Il secondo presenta una scena affollata di oggetti di uso quotidiano, un tavolino, una scopa, un secchio, una bottiglia, una sedia, un’aspirapolvere e altro, privandoli in parte della loro effettiva funzione, e mettendo piuttosto in luce il ciclo della loro esistenza, dalla creazione al loro divenire spazzatura. I tre performer (Felix Marchand, Ante Pavic, Vincent Weber) movimentano gli oggetti, li fanno interagire con sabbia, sassi, graniglia, che grazie a grandi spazzoloni manovrati a spinta disegnano sul palco linee concentriche a suggerire immagini di apocalittiche mutazioni contro natura, quali le enormi isole di plastica rinvenute negli oceani.
Parola ridotta all’essenziale o addirittura cancellata, come in Oblò, e creazione di un logos per immagini, spesso, anche se non sempre, di grande efficacia.
Visti alla Biennale Teatro di Venezia Teatro alle Tese Foyer Tese – Arsenale di Venezia venerdì 27 luglio 2018