RUMOR(S)CENA – MILANO – Ecco il Milano off Fringe Festival con il suo cumulo di proposte raccolte andando in giro per il mondo, almeno per quella parte del mondo che ha voglia di guardare un po’ oltre la consueta sintassi. O almeno così dovrebbe essere, rischiando magari, e riuscendo a trovare qualcosa su cui valga la pena di puntare lo sguardo. Per capire cosa sta accadendo nel mondo di chi fa teatro e non vorrebbe piegarsi a regole e convenienze. Eccolo il Fringe Festival milanese del 2022, con tanti spettacoli e tanto diversi l’uno dall’altro. 56, scelti tra più del triplo di quelli che si erano proposti. Testimonianza della lungimirante pazienza avventurosa di Francesca Vitale che ne costruisce percorsi ed incontri. Quelli degli spettacoli e quelli delle conversazioni che riempiono le ore della mattinata scandagliando argomenti e problemi di un mondo visto sempre con aria di sufficiente tolleranza, o a volte indifferenza infastidita, dalla politica e poi messo a tacere con pochi soldi che non danno certezze e nemmeno riescono ad essere motore per corse sempre in affanno.
Sono molte volte poveri di mezzi questi piccoli donchisciotte del teatro ma non di fantasia, anche se si sa che la fantasia non è sempre sufficiente per fare di una idea uno spettacolo e si rischia il naufragio o la noia o anche lo stupore ed il rammarico per tanto lavoro e tante frecce che non colgono il segno. Ma questo è il gioco, prendere o lasciare. E al richiamo ci corrono in tanti, anche se magari il pubblico non è tanto numeroso come si vorrebbe in questa Milano affollata di gente, di elezioni imminenti, di belle occasioni in offerta. E ci tocca così intravedere, invidiosi, elegantissime e stupende indossatrici per incontri di gran moda che si tengono nello spazio vicino o uomini vestiti con abiti che farebbero la fortuna di qualcuno degli attori in cerca di segni indimenticabili da dare ai loro personaggi fantasiosamente e faticosamente creati per la nostra gioia di spettatori. Cinquantasei spettacoli sono tanti, distribuiti in un paio di settimane ed in spazi accoglienti e distanti della grande città.
Ed alcuni sono belle scoperte davvero, e accoglienti come La Fabbrica del Vapore che fa da quartier generale all’impresa ed accoglie giovani in voglia d’incontri e parole e spettacoli da vedere con qualche indulgenza. O il Museo d’Arte e Scienza piccolo e bellissimo per intelligenza e sintassi. O la Società Umanitaria, la Fabbrica di Lampadine, Imbonati11 Art Hub, Teatro Guanella, C.I.Q. di Milano, Isolacasateatro, Cantina Piemontese, Il Martinitt, tanti e distanti così che sarà difficile, anzi impossibile frequentarli tutti. Ma si potrà scegliere chiedendo consiglio o lasciandosi guidare dall’intuito dell’esploratore ardimentoso. Qualcosa ne verrà fuori, sempre e comunque, ché il teatro è gran gioco e piacevole scoperta di differenze.
Nei pochi giorni che mi sono concesso, quasi fosse una vacanza, o una fuga dai programmi delle stagioni appena iniziate, ne ho visti quanti ne ho potuto vedere cercando di farmi spazio tra gli affannosi ed affannati percorsi di metropolitana e traffico impazzito. Si va a fiuto, rischiando cantonate ed eroici sussulti d’emozione. Una bella fortuna se ti capita uno spettacolo come quello che Peppe Macuda, ragusano di evidente talento e fantasia, realizza e porta in giro. Shuma, favola compiuta e visionaria, ben scritta e soprattutto giocata con una passione e precisione di gesti ed un gioco di mani e braccia e corpo che incanta. Prende spunto dalla storia di quel ragazzino del Mali giunto sulle coste siciliane con dentro la tasca la pagella, testimonianza del suo intelligente e piccolo sapere. Macuda fonde verità con storie marine fantastiche della sua terra, e lo porta negli abissi popolati da pesci e creature misteriose.
A vivere però non a morire, per fare amicizia con un cavalluccio marino, a incontrare pescatori e regnanti, a conoscere perfino il mitico Colapesce sotto la grande colonna che regge l’isola bella. Spettacolo rapido e intenso, una cinquantina di minuti, con disegni belli e luci perfette con cui l’attore agisce costruendo il suo percorso d’immagini vive. Sarà bello, credo, per ragazzi non sciocchi, ma anche per adulti che vogliano concedersi un piccolo tempo di piacere con i segni del teatro. Sussulti del cuore e dell’intelligenza. Come quelli che mostra al suo pubblico Sergio Del Prete che da Napoli porta in scena il suo Sconosciuto. In attesa di rinascita, spettacolo carico di ansie, racconto molto energico e fisico di un’infanzia infelice, di un’adolescenza complicata, di una famiglia non esemplare, di una vita spesa a sussulti e desiderio d’amore, con l’angoscia di un fratello non nato a cui si rivolge chiedendosi come sarebbe stata la sua vita se invece quella nascita ci fosse stata e il fratello potesse essere al suo fianco a osservarne le tappe. Percorso lucido e solido per attore ben maturo e generoso, e scena di Carmine De Mizio con giochi eleganti di led luminosi che tracciano spazi da percorrere e bui che cancellano il tempo.
Ci sono differenze di stile e di sintassi che stridono con forza in questo percorso milanese dove i temi sono spesso dolorosi e rancorosi ed in cui l’attore sembra preferire la solitudine in scena (necessità fatta virtù o dannazione) e si lancia volentieri a rincorrere il narciso nascosto in se stesso che si fa spazio davanti al pubblico e l’aggredisce e sommerge come un uragano scomposto. Accade nel Dio non parla svedese di Diego Frisina che la regia di Ludovico Buldini non riesce a tenere a misura, assecondandone l’ipercinetico racconto o delirio, la storia torbida e pazza di giovane condannato da un male inguaribile. Lui, l’attore, attraversa a rotta di collo quel poco di vita che l’autore concede al suo personaggio e dentro ci mette di tutto come per un catalogo d’infelicità trucidamente autolesionista. Mentre misura e rigore ha il Tea ceremony di Achim Wieland, anche protagonista e regista, Marios Ioannou e il SrslyYours Ensemble; solido spettacolo di lungo percorso, racconto “en travesti” di seducente liquidità, con Ioannou che è geisha di lingua inglese, composta in perfette misure di tempi e gesti e volto di biacca a cancellare ogni impeto od emozione, bugiarda o veritiera che sia nell’affrontare un argomento complesso come il rapporto tra società capitalista e colonialismo.
Sempre solo, con due grandi ritratti alle spalle, a parlare di giovinezza, di musica e di calcio, di una città, Foggia, di cui pochi conoscono la vita e le storie quotidiane, di passioni d’adolescente lontane nel tempo, Pierluigi Bevilacqua fa scorrere il fiume dei suoi ricordi nel suo Frichigno!. Ed intreccia la sua storia personale con quella di anni ormai lontani nella Foggia della sua adolescenza nel tempo in cui l’Italia soffriva le angustie politiche, della musica che faceva sognare rivoluzioni di note e comportamenti, dei sogni e le illusioni della squadra del cuore attraverso l’esaltata passione per Zdenek Zeman e Kurt Cobain, in capriole e sussulti di ricordi e di cronaca a volte sgangherate, eccessive, ma calzanti sempre e anche emozionanti. Mentre sempre di ricordi si nutre Rusina costruito per passaggi fantastici da Rossella Pugliese nel via vai intermittente della memoria personale e dell’amore per una nonna fantasiosa e impertinente. Racconto che procede a sussulti, rinchiuso nell’invenzione di un armadio-palcoscenico che si trasforma e da catafalco diventa spazio domestico e trasgressivo rifugio. Belle invenzioni d’attrice, visioni che divertono, ritmi, intrecci, sorprese, e una lingua che diventa suono per giocare col mondo di una donna che attraversa il tempo. E ricordi cupi da favola nera hanno i personaggi di Terra e polvere, scritto e messo in scena da Vene Vieitez per Cecilia Scrittore con le sue maschere che ne moltiplicano sentimenti e vibrazioni e una lingua che dalla Spagna offre colore e significati a queste sue creature e avventure e dolori.
Così ci rendiamo ben conto che non soltanto la lingua ma il corpo intero del teatro sembra stringersi sul corpo dell’attore solo, in una sintassi di anni avari e di necessità oppressive, di sopravvivenze necessarie e di assenza concreta di spazi fantastici ed operativi, oltre che produttivi e distributivi, che siano voce della pluralità dello spazio-palcoscenico inteso come somme e interazioni, contrapposizioni e contrasti, composizioni di forme e linguaggi in espressione di solitudini affannate. È parte importante e forse indispensabile del teatro del nostro tempo che si accumula e cresce sulle spalle dell’attore-solo. Ci si chiederà se per scelta o per necessità e non avremo risposta che non rischi di essere irrispettosa per tanta fatica messa in mostra. Ma per dovere, e necessario rispetto degli incontri, dirò di due spettacoli visti in questo generoso percorso di fringe milanese in cui almeno gli attori si misurano in coppia. La gabbia di Massimiliano Frateschi, autore e anche protagonista insieme con Fabrizio Traversa, in spazio angusto ed evidenti economie a discutere incessanti in metafisiche sopraffazioni ed aspirazioni figgitive a cui la regia di Massimiliano Mado non riesce a dare misura e ritmo adeguato alle intenzioni, e Raccontami Shakespeare in cui Andrea Cioffi costruisce il suo racconto ed intreccio in imprudenti atmosfere ottocentesche con Charles e Mary Lamb, fratello e sorella folli e assassini. Storia gotica di ambizioni letterarie e familiari, con contorni nutrienti di pazzia criminale e ambizioni compresse in bel gioco d’invenzione. Ed anche denuncia di comportamenti e frustrazioni ottocentesche (o contemporanee) che proiettano la loro ombra da verità lontane verso possibili intrecci fantasiosi. Andrea Cioffi e Sara Guardascione, fratello e sorella in sopraffazioni crudelissime che sembrano impossibili e forse non lo sono, tenerezze possibili, bugie indispensabili, in bel gioco di teatro con recitazione appropriata e per lo più generosa, prudente scenografia fantasiosa, ricchezza d’invenzione e, finalmente, equilibrato lavoro di coppia.
Poi qualcuno di questi spettacoli andrà al Fringe Off Festival di Catania, altri, premiati da giurie costruite ad hoc per e da collaboranti occasioni e geografie, vinceranno la possibilità di andare in scena nelle capitali del fringe del mondo. Ed è un bel modo certo di amare il teatro facendolo amare, con tutte le sue fragilità dichiarate e magari impudiche, con la vanità indispensabile per potersi reggere in confronti anche dispari, con la passione vera e grande che fa del teatro una ragione di vita nel mondo, e in Italia molte volte ci vede distratti. (giulio baffi)
Visti al Milano Off Fringe Festival – 18 settembre 2 ottobre 2022