LECCE – Che i Principio Attivo ci sanno fare con il teatro ragazzi, non è cosa nuova, è cosa nota: due premi Eolo, finalisti al premio scenario, spettacoli a ruba, pubblico soddisfatto. Niente smancerie, dati di fatto. Un talento apprezzato non solo dal pubblico giovane, quello senza sovrastrutture, senza convenevoli, ancora non avvezzo a marchette e applausi ammaestrati. Una fare teatro che arriva anche a chi della vita ne sa di più. Perché si evitano lo scimmiottare, il paternalismo di sorta, la pedagogia a tutti i costi. Si trattano i ragazzi come individui, non bambini.
Mannagg’a mort – storia di un uomo e la sua ombra – sembra dettare un’imprecazione, dal titolo. In realtà, al Sud, la forma dialettica popolare rappresenta un topos linguistico: un po’ invettiva per esorcismo (alla morte e alla malasorte), un po’ esclamazione di rassegnata consapevolezza come quando si dice: di più non si può fare.
Due attori, altrettante valigie, uno spazio scenico completamente vuoto. Riempito dall’azione: pantomimica e meccanica; riempito dalla recitazione, completamente silente, fatta esclusione per esclamazioni da baloon, “rumori” fumettistici; colmo di luci e musica: un’altra partitura scenica. Uno spettacolo confezionato al minimo, seppure con un impianto scenotecnico non di poco conto, ma dall’esponenziale successo. Dimostrazione che sul palco non contano gli artifici – a meno che non si voglia stordire il pubblico e ipnotizzarlo di effetti – ma la valenza delle cose, il mestiere, la passione. In termini più naif: il crederci per rendersi credibili. Perché allo spettatore puoi proporre qualsiasi cosa, non per forza devi toccarlo nell’impeto civile, o emotivo, o “equo e solidale”, ma di sicuro non va intortato. Non a teatro.
Due attori e una storia. Una “storiella”, da plot narrativo, che sembra scivolare scorrevole, pulita, semplice, appassionata. Alla maniera delle gag da cinema muto, dall’elasticità delle slapstick. A ben vedere si racconta di bene e male, di morte e vita, di uomo e… la sua ombra. E che ne sanno i bambini di Faust o di Twain, di ombre vendute e personalità smarrite… l’identità è fatta anche di ombra. Dentro e fuori. E allora se uno spazio abitato diventa stretto per un uomo e la sua ombra… uno dei due deve morire (mannagg’a mort!).
Il gesto particolarmente farcito da espressività, da mimica, non sfociante nel cenno ‘pop’, nella meccanica civettuola, nella moina. E scene condensate da una partitura ritmica in crescendo, con soluzioni stile cartoon, strutturate dall’azione, dalla costruzione di un fatto scenico, non semplicemente pantomima (per non confondere il gesto all’azione…). Azione esplicitata dall’utilizzo dell’oggetto con funzione semiotica. La drammaturgia non verbale.
L’interpretazione efficace contribuisce alla resa immediata e lungimirante dello spettacolo. Un resoconto che si esaurisce nella finitezza dell’atto creativo e fa eco.
Corposa l’artigianalità: suoni dal vivo a fare da effetti sonori, frugalità di soluzioni attorali e scenografiche dall’incisività intensa, meccaniche scaturite sul palco, dall’improvvisazione, dalla mise en scene. A equilibrare una regia sapiente. Di mestiere. Geometrie, profondità, esplicitare con il segno, il chiaroscuro, la mimesi (a maggior ragione trattandosi di un lavoro senza parole…).
Divertirsi con poco. Con competente semplicità.
Mannagg’a mort’ – Storia di un uomo e la sua ombra
con Giuseppe Semeraro, Dario Cadei, Leone Marco Bartolo. Regia: Giuseppe Semeraro. Luci: Otto Marco Mercante. Scenografie: Marco Rizzello/ Officine Kata Pelta. Musica originale: Raffaele Vasquez e Leone Marco Bartolo eseguite dal vivo da Leone Marco Bartolo. Prod. Principio Attivo Teatro
visto allo spazio “Freakhouse” circolo Arci – Parabita (LE) il 15 marzo ’15