RUMOR(S)CENA – Non è facile scrivere di un caro amico e collega stimato, sapendo che ci ha lasciati. Per chi era abituato a sentirti al telefono quando mi chiamavi: “ciao direttore (perché per te era un dovere rivolgerti così a me), che ne dici se vado a teatro a vedere lo spettacolo per scriverne?”. La richiesta formale si trasformava subito dopo in un lungo dialogo, dove, lasciando da parte i ruoli, ti confidavi su quello che stavi meditando di fare, dai saggi critici ai libri, ai pensieri che a volte ti tormentavano la mente. Eri sempre autocritico ogni qual volta uno spettacolo non ti aveva convinto e meditavi a lungo se recensirlo o evitare per non infierire sugli artisti che tu amavi comunque, tanto era la passione che ti portava a peregrinare da un teatro all’altro. Non era facile convincerti della totale autonomia di pensiero che ad ogni collaboratore e collaboratrice io garantivo, segno della riconoscenza per il contributo offerto. E la militanza. È la prima volta che devo scrivere parole di commiato per una persona che ha collaborato per me, testimonianza incredula nel sapere che non ci sei più. Ci eravamo sentiti per l’ultima volta un mese fa quando mi hai chiamato con una voce sofferente e io ho percepito tutta la fatica che provavi, ma senza mai cedere ad una facile richiesta di compassione, hai perfino trovato il coraggio di chiedermi scusa per non riuscire ad andare a teatro. Io non ti inoltravo più le richieste da parte degli uffici stampa dei teatri milanesi che chiedevano di inviare un critico alle prime. Mi faceva stare male dover rispondere l’impossibilità nell’esaudire le tante richieste. Ma non è il collega critico, giornalista e libero pensatore che voglio ricordare, non almeno solo questo, bensì il Claudio che una volta saputo di me ricoverato in ospedale, mi chiamava quasi tutte le sere per testimoniarmi la tua vicinanza e le parole di conforto che sapevi trovare per farmi sentire meglio. Oggi molti mi hanno chiamato per darmi questa funesta notizia, segno che tutti coloro che ti hanno conosciuto e stimato, provano sincero dolore. Spesso ci siamo interrogati sulla funzione della critica e mi ricordo che quando hai debuttato come drammaturgo eri sconfortato nel percepire l’assenza di tanti colleghi che non avevano sentito il desiderio di venire a vedere il tuo spettacolo. Ne parlavamo spesso della funzione della critica e di come potessimo migliorarla, riformarla e continuare ad amarla. Il teatro perde uno sguardo prezioso, colto e appassionato. Mi fa sentire strano ora scrivere queste parole dedicate a te e pubblicarle ma anche felice che resteranno impresse nella rete. Ciao Claudio, grazie di aver offerto la tua sapienza e generosità così a lungo.
Roberto
