CASTROVILLARI – La musica è finita, gli amici se ne vanno, e tu rimani solo, come prima, più di prima. La testa nel piatto, ferma, immobile, la torta con le candeline spente. Una torta intatta. La torta con ancora le fette intatte. Le candele non accese. I quindici anni, tempi difficili, da passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Un succo, rigorosamente analcolico alla destra del padre, un cappellino colorato alla sinistra. La trinità ricomposta in questa triangolazione pagana e popolare tutt’altro che felice.
Il festeggiato ha visto chiaramente più di quindici primavere, forse le ha doppiate, addirittura potrebbe aver fatto il tris. E’ grande ma vorrebbe una festa con coriandoli e cotillon, soprattutto amici. Viene in mente “Tapparella” di Elio e le Storie Tese. C’è responsabilità nella locandina del festival 2014 di Scena Verticale, specializzata in loghi ogni anno evocativi, suggestivi e ficcanti, su tutti il peperoncino che usciva da una buccia di banana, emblema del piccante che esprime la regione, il provocatorio che deve necessariamente albergare nell’arte, il contrasto e l’ossimoro tra colori e gusti, senso e sesso. Una cappa, neanche troppo velata, di solitudine ammanta questa festa singola, party per un solo invitato, un’atmosfera pinteriana (“Il compleanno”, “La festa”) che riserva sorprese amare, nessuna lingua di Menelik a riempire di suono aciduli la stanza con la tovaglia a righe.
Anche la mamma e la nonna sembrano distanti da questo quadretto che tutto regala tranne quiete e tranquillità tra le quattro mura domestiche. Qualcuno avrà fatto la foto, qualcuno che ha atteso la caduta (forse la politica, regionale, nazionale o teatrale) senza opporre resistenza, senza mettere le mani a contrasto con il duro tavolo freddo, puntando più sull’immagine, sullo scatto, sul flash e sul suo clamore conseguente che sul salvare il presente. Hanno atteso che la faccia sprofondasse nella crema chantilly, s’impregnasse di glassa, si riempisse di granella di nocciola. Non c’è stato nemmeno il tempo di mettersi il cappellino triangolare che rimanda a quello, più artigianale e giornalaio, del muratore, mestiere che fa e costruisce, che alza i muri non per dividere ma per dare luoghi e spazi, innesti ed aperture: in una parola sola “il lavoro dell’attore”.
Ed in questo scatto, i capelli neri, il volto nascosto, non per vergogna ma forse soltanto per stanchezza, affaticamento nell’aver atteso troppo, i regali, gli invitati, la festa stessa. Forse addirittura è ipotizzabile un selfie, un autoscatto moderno, una posa creata con il cavalletto a distanza ravvicinata per far credere all’esterno che fosse tutto uno scherzo, una burla. La realtà è un’altra. Dietro questa musica insonorizzata, sorda, dietro queste pareti scarne e grigie e vuote, rimane il silenzio, l’abbandono. Una richiesta d’aiuto, di sostegno, di supporto e di appoggio in questo momento, appunto l’adolescenza dei quindici anni, passati a ben credere, a diventare forti e sani, una fortezza ed una sanezza da non disperdere, da non sciupare né scialacquare, da non sciogliere nel tempo, da valorizzare per altre quindi primavere. “Sarà un uomo”, cantava Luca Carboni.