RUMOR(S)CENA – GENOVA – Nella suggestione narrativa l’uomo (e la donna) non è soltanto ‘straniero’ al mondo che come un enigma lo circonda e lo soffoca, è soprattutto ‘straniero’ a sé stesso, quasi fosse il portatore, più in profondità della stessa maschera sociale, di personalità esternamente e a lui inconsapevolmente determinate in cui cerca, volente o nolente, di riconoscersi, talora riuscendoci ma più spesso andando incontro ad un vero e proprio naufragio esistenziale.
Lo straniero di Albert Camus, proposto al Festival In Una Notte di Estate di Genova da Akroama Teatro di Cagliari, nella regia di Lelio Lecis, in forma di monologo dinamico e prospetticamente organizzato, si concentra così con efficacia intimamente scenica sul momento del processo e della confessione dell’oscuro impiegato Mersault, in cui precipitano in forma onirica le immagini del passato che assumono così, nella loro invisibile ma assai concreta figuratività, il segno della distanza che da sempre le caratterizza.
La vicenda, di cui la Algeri coloniale contiene inevitabili simbologie, appunto, di distanza nel tempo e nello spazio, si svolge dunque come tra due specchi che ne riflettono e insieme ne rifrangono l’insostenibilità dei significati che sembrano perdersi nell’assurdo ma così assumendo i segni della condanna capitale del protagonista, innanzitutto psicologica ed esistenziale, se non metafisicamente esistenzialistica, prima di essere penale, e solo come, di quelle più profonde condanne, inevitabile conseguenza.
Da una parte la morte della Madre in una casa di riposo ed il suo funerale sperso nella lontananza di un deserto in cui era stata confinata e affettivamente accantonata fino alla finale glaciazione di ogni sentimento reciproco, dall’altra l’omicidio casuale e senza apparente ragione del giovane algerino su una spiaggia altrettanto desertica e assolata, forse sotto il doppio, tra l’amico francese Raymond ed il suo rivale arabo, influsso di una inconsapevolmente trascinata e rifiutata omosessualità che lo acceca come un sole a picco.
È un testo giocato sulla indifferenza ed estraneità alla vita, che un po’ ricorda i moraviani La Noia e Gli indifferenti ma anche La Nausea del suo conterraneo Jean Paul Sartre, tipici modelli di una Europa che non riusciva ad elaborare le sue tragedie, ma che paradossalmente però ne esplora un sottofondo perduto di sentimenti che rimbombano come tuoni nel vuoto della mente, un assurdo che svela e fa comprendere. Su tutto domina il Caso, nel segno di quel pessimismo che, ben oltre la semplice psicologia, ha caratterizzato la riflessione di Albert Camus, una casualità più volte richiamata da un impotente Mersault e che, misteriosamente, sembra aver un ben preciso progetto per ciascuno di noi, compreso il filosofo francese che in fondo ne è stato vittima.
La forma del monologo proposta, anche per dolorosa necessità, tra le altre frutto della lunga frequentazione del testo da parte della Compagnia Akròama, forse non dà pienamente ragione di tutte le suggestive rifrazioni che il testo stesso custodisce ma, d’altra parte, ottiene per così dire un effetto di concentrazione significativa che riesce ad esaurire nel coerente transito scenico l’intera parabola della narrazione. La scarna scenografia è dominata dai preminenti simboli della morte, una morte che si esaurisce nella vita stessa del protagonista e che, di questa, non è tanto prodromo metaforico ma vero e proprio sintomo vissuto in cui si esaurisce ogni possibile e diversa vitalità.
In essa si muove il protagonista e su di essa, in un ambiente sonoro e musicale di buon effetto, si proiettano i fantasmi interiori che lo attraversano, lucidissime e fredde immagini di un sé che non riesce ad appassionarsi. Simeone Latini che lo interpreta con professionalità, ne accentua spesso i tratti dell’angoscia, quasi a scapito di quelli della distanza e indifferenza che hanno caratterizzato altre famose trascrizioni anche cinematografiche, e con questo propone una interpretazione scenica che vuole essere più coinvolgente, assecondando la lettura registica di Lecis. Uno spettacolo breve ma abbastanza esauriente dello sviluppo del racconto, ben diretto e ben interpretato per un esito scenico nel solco della consuetudine, ma comunque complessivamente apprezzabile. In piazzetta San Matteo, nel centro storico di Genova, nell’ambito del “Festival In Una Notte d’Estate – Percorsi” di Lunaria Teatro, diretto da Daniela Ardini, venerdì 28 luglio. Pubblico in buon numero e numerosi applausi.
LO STRANIERO. Estratto da Lo straniero di Albert Camus, regia di Lelio Lecis, monologo di Simeone Latini. Costumi Marco Nateri. Scenografia Valentina Enna. Musiche Peter Gabriel // Tradizionali arabe. Assistenti alla regia Julia Pirchl. Assistente costumi e spazio scenico Stefano Cancellu. Sarta Adriana Geraldo. Direzione tecnica Lele Dentoni. Assistenti tecnici Nicola Pisano, Roberto Lamonica. Fotografia Francesca Mu. Direzione Artistica Lelio Lecis.
.
.