RUMOR(S)CENA – SOS CINEMA – Esegesi del film FLEE di Jonas Poher Rasmussen – FLEE ovvero fuggire , da tutto, persino da se stessi . È l’odissea di Amin Nawabi, che seguiamo da bambino nella Kabul degli Anni 80′ fino a oggi, divenuto docente universitario sposato in Danimarca col suo compagno. In mezzo l’orrore della Guerra, quella con la lettera maiuscola scritta col sangue, la più atroce, quella che ti sradica dalla propria casa, dalla propria terra e ti rende insicuro e spaventato ovunque andrai, forse per sempre. Fuggito con la madre le sorelle e il fratello maggiore, dopo l’arresto e la sparizione del padre, a un soffio dalla catastrofe che trasformerà l’Afghanistan in una delle più atroci dittature mondiali, Amin si ritrova adolescente in Russia. In una Mosca terrificante, inospitale, impoverita, preda della corruzione del potere e della polizia. Resteranno nascosti in un appartamento in attesa di fuggire, di nuovo, verso i paesi Scandinavi. In parte finiranno in Svezia, Amin in Danimarca. Tutti dopo aver sperimentato gli orrori dei trafficanti di esseri umani, la disumanità dei container clandestini, le marce nella notte, la disonestà l’inganno la mercificazione, sempre a un passo dalla morte. Fuggire per sopravvivere, per vivere, come un inno alla sacralità della vita calpestata dalla Guerra e dalla brutalità degli esseri umani quando umani non sono più. Il film capolavoro tra disegno animato e documentario , con tanto di filmati rarissimi del tempo, arriva col suo stile ibrido dove un film normale non arriverebbe. Un po’ come qualche anno fa accadde con Valzer con Bashir di Ari Folman. Riuscendo a mostrare col disegno ciò che non sarebbe concepibile altrimenti. Sfumando in poesia astratta orrori su orrori, non altrimenti mostrabili. Strutturando inoltre il racconto come un’intervista-seduta psicanalitica fra Amin e Rasmussen suo amico di vecchia data. Affrontando il pubblico e il privato con la stessa delicatezza e profondità. Sicché quando si passa dagli snodi storici a quelli personali dell’omosessualità di Amin che lo rende ancora più solo, il film si impenna ulteriormente con tocchi assolutamente struggenti,complessi, approfonditi. Siamo di fronte a un film-miracolo che mentre lo vedi ti si incolla addosso e non ti lascia più. E che in questo momento in cui l’eco dell”orrore bellico è cosi forte fra noi, accomunando Kiev a Kabul, la sua visione è assolutamente indispensabile. E la sua tripla candidatura ai prossimi Oscar nelle categorie miglior documentario, miglior cartone animato, miglior film straniero non potrà lasciarlo senza il più ambito premio internazionale.
FLEE di Jonas Poher Rasmussen
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