Chi attualmente scrive di teatro che reali conoscenze ha di semiotica del teatro? Su quali basi fonderebbe una credibile ed apprezzabile critica di uno spettacolo senza conoscere lo strutturalismo Praghese, il sistema pluricodico della performance e senza avere cognizione dei 13 punti del polacco Kowzan?
Questa ricerca non è affatto per l’ informazione ma per lo svolgimento dell’ assunzione di responsabilità da parte del critico/spettatore, per aiutarlo nella ricezione della performance a scavare o almeno di far ordine tra i tanti livelli semiotici che si intrecciano nel corso di uno spettacolo teatrale.
Approccio Teorico
La parola critica come sostantivo e il senso che le da la terminologia contemporanea manca dal linguaggio e della percezione degli antichi. Il termine si riscontra in Platone secondo il lessico Liddell Scott, come oggettivo, determinativo dell’ arte (arte critica). Come fa notare Massimo Marino la voce “critica” nell’ enciclopedia dello spettacolo (1), fondata da Silvio D’ Amico non è svolta, ma rimanda ad altri due lemmi: Storiografia e Critica e cronache dello spettacolo. La critica richiede la ricerca argomentata e motivata che controlla e valorizza il valore di un’ opera teatrale e presuppone l’ accettazione del oggetto critico e contemporaneamente la sua capacità di essere oggetto critico, ermeneutico ed analitico. Nel ‘’Dizionario del teatro’’ di Patrice Pavis a cura di Paolo Bosisio, un manuale indispensabile per chi fa il lavoro del critico teatrale, viene citato che “Spazio di critica diventa anche il volume, l’opera teorica, la storiografia e la ricostruzione filologica. Diverse discipline convergono e si parla di semiotica teatrale, come esercizio critico di tipo riassuntivo o strutturale sul teatro e la storia, luoghi e l’ intertestualità.”
Storicamente è possibile rintracciare una storia della “funzione critica teatrale” in testi come per esempio: il “Paradosso sull’attore” di Denis Diderot la cui domanda centrale può mettere al centro del suo libro l’arte attoriale – drammatica quale tecnica per rivelare o nascondere e comunque guidare la passione umana, l’ essere naturale o artificiale dell’emozione. La “Poetica di Aristotele” determinò i rapporti tra il testo e la rappresentazione considerando la rappresentazione scenica dei testi drammatici inferiore al valore del mito. Si può parlare anche di valutazione estetica e storica dell’ evento teatrale.
1 Enciclopedia dello spettacolo, Roma, Casa Editrice, le maschere, 1958.
Approccio semiologico del testo e della rappresentazione
La ricerca del testo drammatico e della rappresentazione nel campo semiologico prende il via con lo strutturalismo ceco nei primi anni del 19302. Il rapporto tra letteratura e teatro e la problematicità ad esso connessa ha visto, per un lungo corso di secoli, la letteratura in una posizione di privilegio rispetto al teatro. Solo in tempi recenti si è assistiti a un rovesciamento di questa tendenza, grazie soprattutto, alla semiotica (3) che negli ultimi anni è diventata una metadisciplina, cioè una materia trasversale ad ogni riflessione sul piano teorico, una sorta di spina dorsale della “teatralogia”, intesa come “studio del fatto teatrale”. Proprio dalla conflittualità tra letteratura e teatro, la semiotica teatrale ha individuato sia un nuovo tipo di analisi non più basato soltanto sulle teorie letterarie, ma anche e in primo luogo un nuovo oggetto teorico: il testo spettacolare. Dal punto di vista semiologico,emerge sempre più che il teatro è una galassia complessa di tanti sottotesti di varia natura e funzionamento.
La concezione dello spettacolo teatrale come testo complesso, sincretico, composto da più testi parziali, o sottotesti, di differente materia espressiva (testo verbale, gestuale, scenografico, musicale, testo delle luci, e così via) e regolato, fra l’altro, da una pluralità di codici spesso eterogenei fra loro e di diversa specificità. Si parla, in proposito, di “texte théâtral”. Un esame della significazione teatrale non può esimersi inoltre da una considerazione approfondita del «testo» teatrale e dei sistemi di codici che producono la performance.
Ma quale potrebbe essere il ruolo della critica?
Il lavoro dell’attore e del regista diventa anche materia di giudizio critico, analizzato dal giornalista specializzato nel settore dello spettacolo in generale, e con la sua recensione valuta l’ esito della messa in scena, e naturalmente, la bravura e la competenza dimostrata dall’artista. La critica teatrale potrebbe e dovrebbe essere uno strumento che da le chiavi di accesso ad un pubblico per entrare nella lingua propria di quel lavoro dalla drammaturgia alla rappresentazione, compreso testo, scenografia, lavoro degli attori, regia e tutto ciò che collabora all’evento teatrale che viene esaminato in modo “professionale” più o meno scientifico dal punto di vista antropologico, sociologico ed artistico. La critica potrebbe e dovrebbe inoltre essere un analisi dettagliata del lavoro di quella traduzione intersemiotica che è la messa in scena. La pluralità della letteratura critica fa del critico teatrale uno scrittore a tutti gli effetti.
Il critico teatrale ed il suo ruolo
La Societas Raffaello Sanzio (forse la compagnia di ricerca più radicale attualmente in Italia), se vediamo lo spettacolo “Sul concetto del volto nel figlio di Dio” e focalizzando precisamente nella scena in cui i bambini bussano pietre al volto di Dio , un esempio estremo. Infatti è vero che nella maggior parte dei casi il teatro che esula dagli stili dominanti risulta incomprensibile a chi non è preparato (sia esso un critico o il pubblico). L’analisi degli spettacoli ideati da Romeo Castellucci, va inserita sia all’interno di un’analisi semiotica e culturologica dell’ imagine, ma anche nel contesto della riflessione sul teatro postmoderno.
E davanti ad un teatro del genere ma anche ad opere decisamente più comprensibili e tradizionali quale deve essere il ruolo del critico?. Il compito è quello di porre questioni non di dare soluzioni. Si può concludere allora la questione affermando, con le parole del teorico della comunicazione Abraham Moles, che la performance è costituita di «messaggi multipli nei quali parecchi canali o suoi modi di utilizzazione per la comunicazione vengono impiegati simultaneamente in una sintesi estetica e percettiva». Peter Brook in “Il teatro e il suo spazio”, scrive a lettere chiare chi è il critico: “Colui che rende sempre un importante servizio al teatro quando va a snidare l’incompetenza… un vero alleato per scoprire chi attraversa il teatro irresponsabilmente… I nostri rapporti con i critici possono apparire tesi, ma in profondità si tratta di rapporti indispensabili’’.
2 L’esito teorico della scuola di Praga è fondamentale perchè riconosce il potere semiotico della messa in scena al di là del testo drammatico e in una maniera che mette in gioco tutte le componenti scheniche.
3 Nell’Estetica dell’arte del dramma, pubblicato da Otakar Zich nel 1931, si pone in luce un aspetto fondamentale della semiosi teatrale, ossia la presenza in essa di sistemi di segni eterogenei ma interdipendenti. Zich non solo non riconosce una particolare prevalenza a uno dei sistemi, ma rifiuta esplicitamente il predominio del testo scritto come oggetto privilegiato della semiotica del teatro. Nello stesso 1931 viene pubblicato l’altro testo fondamentale della scuola di Praga, Tentativo di analisi del fenomeno dell’attore di Jon Mukarovskj (J. Mukarovsky, Tentativo di analisi del fenomeno dell’attore in Il significato dell’estetica, Torino, Einaudi, 1973). Questo testo può essere considerato il primo tentativo di una vera e propria semiotica della performance. L’autore sottopone ad analisi la gestualità di Chaplin inaugurando un’attenzione verso gli aspetti non verbali di fondamentale importanza.
Come si scrive la recensione?
La recensione è, in fondo, un microgenere letterario dunque ha le sue regole. Gli elementi che intervengono in uno spettacolo sono tanti e complessi, dal testo di origine al testo di spettacolare, al lavoro di interpretazione degli attori, il lavoro sul linguaggio, il rapporto con la contemporaneità, luci e costumi, proscenico spaziale, il movimento, gli effeti sonori e le musiche (e sono tutti gli elementi che tentiamo di analizzare in ogni scritto che pubblichiamo su teatro guardato). Per scrivere una recensione funzionale, decifrabile, esplicativa, credibile ed apprezzabile si deve soprattutto conoscere lo strutturalismo praghese, in seguito deve filtare la sistemazione teorica praghese integrando anche i 13 punti di Kowzan in un testo critico dettagliato ed analitico materializzato in un modo espositivo ed argomentativo con tutti gli aspetti generali che deve conoscere il pubblico.
La sistemazione teorica praghese si riassume sostanzialmente in tre punti:
– principio di artificializzazione (semiotizzazione): tutto ciò che è sulla scena è segno;
– principio del funzionamento connotativo: i segni mostrati sulla scena tendono ad assumere una dimensione “ulteriore” dal punto di vista segnico, che li porta a essere dei segni di segni d’oggetto,con valore anche metaforico, simbolico, iconico;
– principio della mobilità : sulla scena i segni possono cambiare di significato a seconda del loro uso semiotico: una canzone o un gesto, una scritta, una battuta possono far parte integrante di una scenografia (intercambiabilità funzionale), uno strumento di scena può significare qualcosa dapprincipio, qualcos’altro in un momento successivo (polivalenza espressiva). Forse la critica praghese ha ecceduto nel considerare il teatro come un fatto puramente semiotico, dove tutto è sempre significante. Con la Scuola di Praga (4) il teatro (e il suo studio) diviene un fatto non solo letterario e acquisisce dignità autonoma.
4 La cosiddetta ‘’Scuola di Praga’’ è ispirata al formalismo russo e lo strutturalismo linguistico di Ferdinand de Saussure. Il formalismo russo (1915-1930 circa) può essere considerato, per la novità delle sue esperienze critico-linguistiche, il primo modello delle metodologie strutturali cui rappresentante più importante è il Roman Jacobson.
Nel 1968 il saggio Le signe au théâtre. Introduction à la sémiologie de l’art du spectacle (5) dello studioso polacco Tadeusz Kowzan, segna una svolta nell’ambito degli studi del segno teatrale e del suo funzionamento. Kowzan chiarisce infatti una volta per tutte che lo spettacolo non può essere ricondotto ad una sola langue, poiché in realtà esso rappresenta un insieme sempre diverso di linguaggi eterogenei e che dunque il suo funzionamento non potrà mai essere spiegato in base ad un unico codice. In una pubblicazione successiva (6) e leggermente ampliata del saggio succitato, Kowzan classifica tredici sistemi di segni che interagiscono nella rappresentazione teatrale: parola e tono, mimica, gesto e movimento, trucco, accessori, costumi, acconciature, musiche e rumori, elementi di scenografia e di illuminazione. Il critico diventa semiologo, traduttore , interprete di una rete complessa, di un sistema pluricodico, diventa colui che cerca di districare un filo da un altro, di scavare o almeno di far ordine tra i tanti livelli semiotici che si intrecciano nel corso di uno spettacolo teatrale, miniaturista che analizza i segni e li rende comprensibili e fruibili.
5 T. KOWZAN, Le signe au théâtre. Introduction à la sémiologie de l’art du spectacle, in «Diogène», n.61, 1968.
6 Il saggio è stato ripubblicato con alcune variazioni e qualche ritocco in T. KOWZAN, Littérature et Spectacle, Mouton,The Hague, 1975.
In una buona recensione si devono trovare: Riferimenti alla regia ( chi è il regista e breve curriculum vitae se è possibile, che tipo di regia ha scelto e perché), interpretazioni degli attori (nomi, talentuosi, scarsi), ambientazione e umori del pubblico, riferimenti al testo (lo segue, lo stravolge, lo rispetta).‘E naturale che chi scrive la recensione deve avere una buona conoscenza del testo e raccontare se è necessario (magari se si tratta di un testo molto vecchio, o al contrario, molto nuovo la trama), propria opinione e motivazione dell’ eventuale favore o sfavore (ad ogni modo ricordarsi di “filtrare” le emozioni senza scadere nel patetico) e lingua corretta e comprensibile.
Il risultato di un lavoro artistico può essere buono o cattivo, ma la critica può essere uno strumento etico, un modo per far avvicinare al teatro chi non parla il linguaggio teatrale e nello stesso tempo un riscontro utile a chi ha creato quell’ opera. Non possiamo negare la soggettività del critico. È impossibile non farsi influenzare nel momento in cui si scrive dai propri gusti, la propria natura, il proprio sentire, ma nel momento in cui questo è esplicitato e distinto dall’ analisi, il lettore / spettatore ha la possibilità di essere informato e non manipolato dal giudizio critico di chi scrive. La critica teatrale consiste in due atti, ben distinti tra loro, lo sguardo e la scrittura. Si tratta di contenuti che impogono conoscenze di base della storia e dei linguaggi teatrali, conoscenze ampie e abilità flessibili a fondamento del lavoro di critica teatrale. È evidente che cambiando i presupposti teorici e pratici dei processi di formalizzazione o di produzione cambia complessivamente la sostanza della ‘’creazione artistica’’. Cambiando la complessità dell’ oggetto artistico cambia il lavoro di destrutturazione e di organizzazione del giudizio critico.