Il sibilo del vento sembra un lamento che proviene da molto lontano come una voce che non trova pace. Dinnanzi si erge una collina nelle vicinanze del Passo della Futa, qui c’è un luogo dove riposano i resti mortali di oltre trentamila giovani soldati tedeschi mandati a combattere sulla Linea Gotica. Il cimitero militare germanico più grande d’Italia ospita le loro spoglie per far si che sia luogo di ricordo e di memoria ed esortazione alla riconciliazione e amicizia tra i popoli un tempo nemici. L’aria è fredda a quasi mille metri d’altitudine e il sacrario si erge a forma di spirale senza fine, composto da un muro lungo duemila metri con un percorso parallelo ad esso, che sale attorno alla collina fino alla sua sommità creando delle terrazze che ospitano le lapidi scarne.
Una parete alta si staglia verso il cielo creando un effetto verticale costringendo il visitatore ad alzare gli occhi. Dalle sue mura sporgono 67 croci di pietra e l’ultima spirale crea il Cortile Commemorativo, sotto il quale si trova la cripta con la fossa comune. Il cimitero si compone di terrazze suddiviso in 72 blocchi e ciascuna delle diecimila lastre di granito grigio contrassegna la presenza di due o quattro caduti. Era il 28 giugno 1969 quando venne inaugurato. È qui che Orestea, la trilogia greca di Eschilo, formata da Agamennone, Coefore e Eumenidi, si è materializzata nell’arco di un mese tra Luglio e Agosto, una lunga sequenza di repliche intervallate da ognuna delle tre tragedie alternata dalle Maratone Orestea che comprendevano tutti e tre i titoli.
Una maratona creata e portata fin su al Passo della Futa dall’Archivio Zeta , la formazione artistica e teatrale composta da Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni. Sono loro ad aver deciso di rappresentarla: «Per lo stesso motivo per cui Eschilo decise di scrivere questa trilogia tragica 2500 anni fa, noi oggi decidiamo di metterla in scena. Per farne un atto Politico, nell’accezione greca del termine, un atto della Polis in cui, attraverso il mito si narra il passaggio da una società di vendetta ad una società fondata sulla giustizia degli uomini. L’intero percorso del drammaturgo greco disegna la possibilità che l’essere umano riesca a darsi delle leggi, fondando un tribunale e allontanando da sé il potere del sangue.» Orestea è l’unica delle trilogie di tutto il teatro greco classici che sia sia conservata per intero, e rappresenta una storia che prende origine nella tradizione mitologica dell’antica Grecia. Racconta l’assassinio di Agamennone per mano di Clitennestra, sua moglie. La vendetta lavata con il sangue del figlio Oreste che toglie la vita a sua madre; la persecuzione del matricida da parte delle Erinni e la sua assoluzione decisa del tribunale dell’Areopago.
La terza tragedia della trilogia – a cui abbiamo assistito – assume il nome dalle Erinni, le dee della vendetta, chiamate anche Eumenidi (“le benevole”) quando decidevano di assolvere e di avere quindi un atteggiamento benevole nei confronti di chi aveva commesso un reato. La storia spiega della persecuzione delle Erinni nei confronti di Oreste, in veste di quello che oggi è chiamato Pubblico Ministero e ha come epilogo il processo. Apollo riveste il ruolo di difensore e Atena presiede la giuria. L’assoluzione di Oreste, si deve al voto di Atena, che vota a suo favore perché non ha madre. Veniamo accolti da figure ieratiche vestite di nero. Sono le dee Erinni e intorno a loro il vento spira incessante e riverbera suoni musicali metallici come di lamiere che stridono. Lamenti come echi di voci rinchiuse da secoli. C’è un’atmosfera da tregenda che aleggia sopra le nostre teste e circola tra gli astanti convenuti per assistere all’ultimo atto della trilogia. L’aria tersa da la sensazione di ricevere uno schiaffo in viso.
Il teatro a cui assistiamo assume un valore diverso dalla rappresentazione consueta. Tutto viene scarnificato portato alla massima essenzialità compositiva e scenica dove la parola detiene il potere assoluto. Parola che si fa verbo e spezza i silenzi che sono prologhi introduttivi al dramma. Lentamente e con gesti misurati veniamo condotti in alto. Rapiti. La voce è femminile e ha il sapore di antico, quasi di ancestrale, la declamazione epica è suggestiva e ammalia l’udito. Costringe ad ascoltarsi dentro e scuote le coscienze. La tragedia greca è universale e la sua straordinaria potenza è capace di rievocare come il male sia insito nell’uomo stesso fin dalla sua genesi. Veniamo introdotti in un antro oscuro e sacro. È il cuore del Cimitero, il sacrario che custodisce la memoria collettiva di una tragedia mondiale dove l’uomo ha ucciso i suoi simili. Emergono dal buio figure che raccontano e tessono la storia. La potenza visiva è di una suggestione incomparabile. Tutto appare e scompare come visioni oniriche come quando emerge un viso di donna al di là di una finestra dove sul fondo scorrono le nubi ammantate dalla luce del sole in procinto di calare e lasciare spazio alle tenebre.
Il nero della spirale di vendette che si ripercuote e fa scorrere sangue. La recitazione degli attori si fa sempre più concitata. Oreste è un vecchio ed interpretato da Luciano Ardiccioni che dovrà essere giudicato per il suo delitto. L’agorà diventa il tribunale dove gli spettatori sono investiti del ruolo di giuria popolare e hanno un mano un sasso per decretare l’assoluzione o la condanna. Pietre a rappresentare la sentenza a favore o a sfavore dell’imputato. Il suono sempre più stridente e ferrigno dei violini, degli strumenti a fiato e delle percussioni salgono dalle viscere della terra e danno la misura di come sia grave il momento dell’attesa. Archivio Zeta ricostruisce la vicenda contrassegnandola con una forte connotazione drammaturgica visuale, dove c’è spazio per interiorizzare nelle coscienze individuali, il portato psicoanalitico dell’intera vicenda, e non ultima la straordinaria attualizzazione della responsabilità politica, alla base di ogni gesto o decisione che si assume la responsabilità di amministrare il bene pubblico.
La legalità e la morale pubblica come valori universali usurpati da chi detiene il potere. Atena interpretata da Enrica Sangiovanni, manipolerà il verdetto e la conta dei sassi deporrà a favore dell’assoluzione di Oreste. Apollo è Gianluca Guidotti.Le Erinni (recitano Marianna Cammelli, Luigia Savoia, Giulia Piazza, Rosanna Marcato, Giovanna Villa, Gianni Piazza, oltre Alfredo Puccetti, subiscono la sconfitta tale da dismettere i loro abiti per tornare ad essere delle donne di oggi. Le stesse costrette a subire la supremazia maschile, sembra dire il messaggio che arriva a noi seduti su panche di pietra, dove c’è ancora tempo di lasciar emergere sensazioni ed emozioni che si addensano, mentre tutti i protagonisti della rappresentazione sfilano via lentamente. Archivio Zeta si avvale del contributo di attori anche non professionisti formatisi ai laboratori di teatro condotti dai fondatori del gruppo, che dichiarano bene il senso del loro lavoro quando scrivono: «La trilogia ha bisogno di un tempo lungo per costruirsi, di lento respiro. Il nostro teatro di Parola in montagna ci insegna e ci impone una riflessione sul tempo e sui tempi, sull’ostinazione, una attesa di resistenza sulla Parola che contrasta con tutto quello che è industria culturale. Il nostro non è un evento, il nostro è un rito: un rito culturale nell’accezione pasoliniana del termine.»
L’invito agli artisti coinvolti da parte dei registi e drammaturghi è stato quello “di immaginare il loro lavoro proiettato nell’arco dei quattro anni e dei tre testi (Agamennone, Coefore, Eumenidi) differenti ma consequenziali e legati a doppio filo l’uno all’altro”. Il senso di compiutezza del progetto emerge dalla partecipazione corale dell’intero gruppo di attori. Chi c’è stato può capire. Il luogo scelto con il suo valore umano e morale di tramandare il ricordo di chi ha sacrificato la propria vita in una terra straniera. La guerra portatrice di devastazione, dolore e sofferenze indicibili.
La montagna che custodisce e da riparo a coloro vogliano capire per dimenticare. Il teatro portavoce di esperienze umane significative, riconducibili al senso di “fare insieme cultura”. Al termine della rappresentazione si ritorna sui propri passi con la sensazione di aver partecipato ad un’esperienza di vita oltre che artistica e le parole, quelle di uso comune, non hanno più significato. L’eco del suono creato dall’abile talento di Patrizio Barontini sembra risuonare ancora fino a perdersi nell’infinito e giunta la notte cala il sipario.
PROGETTO LINEA GOTICA/ORESTEA 2013
ORESTEA di Eschilo
Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa (Firenze)
andato in scena dal 19 luglio al 18 agosto 2013
regia Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni
partitura sonora Patrizio Barontini
con Enrica Sangiovanni, Gianluca Guidotti, Marianna Cammelli, Luigia Savoia, Giulia Piazza, Rosanna Marcato, Giovanna Villa, Alfredo Puccetti, , Gianni Piazza
percussioni Luca Ciriegi, Duccio Bonciani
sartoria Made in Tina
assistente alla regia Niccolò Livi
foto di scena Franco Guardascione