MILANO – Freddezza laboratoriale, senso di colpa atavico, cappa di sospetti, di punizioni e premi. Un anfratto, di stanza e di sentimento, patologico, un piano inclinato, ed incrinato, dove i figli scivolano nella bocca straziante di una madre-padre, una madre-Medea dura e distruttrice che seppellisce invece che donare luce e vita. Il processo è tanto breve (40 minuti) quanto feroce e si passa da un bianco candido al nudo purificato, ma non pacificato, fino al completo mortuario. Pedine di scacchi in mano ad un burattinaio folle che guida cieco i suoi alfieri all’autodistruzione per infinito sadico ed altrettanto gigantesco senso d’onnipotenza.
La madre (Maurizio Sguotti severo che non cede alla tentazione della caricatura, del falsetto vocale o dell’en travestì) domina il campo, inteso in senso sportivo e territoriale, ring o arena, comunque di sua proprietà, mentre attorno panche da spogliatoio recintano un’area dove ci si scontra e confronta ma dove l’unico vincitore è quell'”Hi Mummy”, evocato non solo come saluto di devozione ma come arma e comune accordo di un manipolo pronto al fronte per il suo capo, come grido di battaglia che rinsalda il gruppo.
Hi Mummy è un ritrovarsi attorno ad un fulcro, ad una pietra focale, ad un totem nel momento esatto della preghiera, della venerazione. Non più figli quelli attorno ma prodotti, non più progenie ma allievi, adepti, fanti, missionari portatrici di un’idea, fanatici di un voto inscindibile. I quattro ragazzi, tonici, atletici, performativi, ben si sposano con il progetto e ruotano, scambiandosi, attorno alla grande divinità che li ha generati in uno spazio angusto e claustrofobico che ci ricorda un mix tra Psycho e Frankenstein. Sono un esperimento riuscito. Hanno assorbito le regole. Adesso sono pronti. A tutto. Anche alla morte, se questa arriva dalla mano che li ha generati.
In un tappeto sonoro da macchinari e scandagli ospedalieri, con la vita che scorre appesa ad un filo, si succedono i vari capitoli nell’evoluzione di questa figura inquietante e spaventosa: la “Madre Amorosa”, “Ora parlatemi di me”, con i guanti gialli da pulizie domestiche, la “Madre Vanitosa”, “Ero bella, ho dato tutto per voi, piacevo agli uomini”, con abbondante crema di faccia ed i figli bendati con scotch, come detenuti o deportati o rapiti, la “Madre Spaventosa”, “Io ho dato il mio sangue per voi, voi che cosa mi avete dato in cambio?”, il sapore dell’incesto è vicino e labile e terreno e carnale e concreto, la “Madre Giocosa” con il gioco macabro del guinzaglio, la “Madre Tenebrosa” dove i colpi vengono inferti con il rossetto dal colore simbolico sanguigno.
Figli come Orazi e Curiazi, figli come Romolo e Remo, figli affetti dalla sindrome di Stoccolma, che innamora il recluso del suo carceriere. E mentre i segni lacerano e macerano, li veste da funerale, tutti uguali, compresa la mamma-padre, in un rituale da setta. “Né con te né senza di te”, diceva Depardieu magro ne “La signora della porta accanto” di Truffaut ad una splendida Fanny Ardant.
“Hi mummy”, Kronoteatro, testi di Fiammetta Carena, regia: Maurizio Sguotti, scene e costumi: Francesca Marsella, luci e musiche: Enzo Monteverde, con: Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Alex Nesti. Visto all’Elfo Puccini, Milano, il 1 febbraio 2014.